Sassari. Continuano gli appuntamenti dedicati all’arte contemporanea nel neonato Centro Culturale il Colombre. Dopo il successo, nei mesi scorsi, della mostra dedicata a Dino buzzati, “Qualcuno perfino sostiene che non esiste”, alla Pinacoteca Nazionale di Sassari, l’associazione continua la riflessione sul perturbante in questa rassegna che attraverserà non solo le arti visive ma anche l’installazione, la performance, il teatro, la musica.
Si è cominciato la scorsa settimana con gli inediti pittorici di Max Mazzoli e questo sabato tocca a Marcello Scalas.
Sassarese, classe 1972. Inizia la sua ricerca artistica agli inizi degli anni Novanta. Dopo una esperienza che lo ha condotto per alcuni anni nel Regno Unito si diploma all’accademia di Belle Arti di Sassari. Cruciali gli incontri con persone del calibro di Patrizia Ferri, Gioia Mori, Marco Rinaldi e Marco Brandizzi che farà da relatore per la sua tesi intitolata “Bianco su bianco tra Oriente e Occidente”.
Il suo lavoro è caratterizzato dal nomadismo dei linguaggi e dagli interventi ambientali. Agisce nello spazio modificandone il punto di vista percettivo, operando sulle superfici, pelle di qualcos’altro. La tendenza è di ridurre al minimo gli elementi costitutivi dell’opera, che sono spesso affidati ad un materiale effimero o semplicemente inusuale. Le tematiche sono universali ma sempre riconducibili all’uomo e alla sua esistenza. Affianca alla ricerca artistica la professione di designer e insegnante di Arte e Immagine presso la scuola statale. Si interessa al teatro di ricerca, alla musica, alla grafica e alla fotografia. Tra il 2009 e il 2011 cura lo spazio espositivo “Il Buco – Artbox”.
In questa mostra l’artista propone delle cartografie dell’anima, caratterizzate da segni grafici, il bianco e il nero.
Che cos’è il perturbante? Un sottile sottointeso al quotidiano e a ciò che chiamiamo reale? Forse.
O forse il perturbante è l’inaspettato, l’inatteso che si fa spazio, dirompente, nel dilatarsi del tempo e dello spazio percepito e conosciuto.
Una partita tra il reale, la soggettività e il mondo.
“EradovevivevodarE” (un palindromo a dare il titolo alla mostra) è un viaggio interiore di ritorno a spazi consueti, a paesaggi di un passato rincuorante per ripararsi da un presente in cui, con forza, irrompe l’incertezza del futuro; perché in quel ritorno i segni e le forme si impongono come rappresentazione del presente e dell’incertezza.
Queste opere nascono in un periodo ben preciso, in un tempo fermo nel tempo: il lockdown del mondo pandemico, dove tutto si è fermato dove il gesto creativo ha dovuto fare i conti con la mancanza di possibilità comuni.
Tuttavia, dove tutto sembra immobile, la riflessione, il pensiero, l’anelito alla relazione si fa urgenza.
L’interiorità diventa luogo di paesaggi emozionali che si trasformano in esercizi di mantenimento in cui il segno, istintivo e immediato, emerge dall’inconscio diventando significante.
Il tratto costituisce le forme di questi paesaggi emozionali: atmosfere che si possono ricondurre al mondo naturale e innaturale in cui l’uso del bianco e nero esprime la necessità dell’essenzialità, garantendo al segno la dimensione fondante di queste opere. Come una grafia dell’anima che prende corpo e forma sulle superfici attraverso la sperimentazione sui materiali: fusaggine, gesso in polvere, tempera, acrilico, china e sumi.
Non resta che entrare in questi luoghi, in queste nuove immaginazioni create dall’artigiano dell’arte Marcello Scalas.