The Whale: una storia di caduta e redenzione che racconta la fragilità dell’esistenza umana

Arriva nelle sale italiane il 23 febbraio l’ultimo film di Darren Aronofsky, che segna il grande ritorno sulle scene di Brendan Fraser, candidato all’Oscar come miglior attore protagonista

Brendan Fraser in “The Whale”

Fin dalla proiezione alla 79ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia lo scorso settembre, seguita da 6 minuti di applausi, “The Whale” di Darren Aronofsky ha suscitato l’interesse di pubblico e critica, non solo per la firma di un regista particolarmente apprezzato per il suo stile narrativo (si pensi a “The Wrestler” e “Il cigno nero”), ma anche per il grande ritorno sulle scene di Brendan Fraser, che con la sua interpretazione nel ruolo del protagonista Charlie ha fatto incetta di candidature ai principali premi conferiti dall’industria del cinema.

Il film, che è già stato proiettato negli Stati Uniti e arriverà nelle sale italiane il 23 febbraio, è tratto dall’opera teatrale omonima del drammaturgo Samuel D. Hunter -anche sceneggiatore della pellicola- che nel 2012, con l’uscita della pièce nei teatri dell’Off-Broadway, si è aggiudicato numerosi riconoscimenti, con un testo coinvolgente e ricco di riferimenti autobiografici. Per quasi 10 anni, dunque, Aronofsky ha lavorato per portare sul grande schermo “The Whale”, frenato dalla ricerca dell’attore che potesse restituire adeguatamente al pubblico la complessità di un protagonista tratteggiato fra luci e ombre in tutta la sua umanità.

Le vicende personali di Brendan Fraser, tra il successo di blockbuster come la saga de “La mummia” a cavallo degli anni 2000, l’allontanamento volontario da Hollywood per le molestie sessuali ricevute nel 2003 da Philip Berk -allora presidente della Hollywood Foreign Press Association- e un difficile rapporto con i media, dovuto principalmente alle critiche per un fisico non più conforme agli standard -e agli stereotipi- dell’industria cinematografica, sembrano aver in qualche modo preparato l’attore all’incontro con il personaggio di Charlie, con la sua storia di caduta e di riscatto.

Il protagonista di “The Whale”, infatti, è un insegnante di scrittura e letteratura, afflitto da una grave obesità; tiene le sue lezioni da casa, vivendo una forma di smart working che somiglia a una vera e propria segregazione, e si collega con i suoi studenti senza mai mostrare loro il suo aspetto, oscurando quindi la finestra sulla piattaforma utilizzata per i corsi di studio. Per Charlie l’unico contatto reale con il mondo esterno è l’infermiera Liz (Hong Chau), che condivide con lui anche una sincera e schietta amicizia; quando le condizioni di salute di Charlie precipitano rapidamente a causa di un’insufficienza cardiaca, l’uomo decide di ricucire i rapporti con sua figlia Ellie (Sadie Sink, Max di “Stranger Things”), un’adolescente tutt’altro che disponibile a perdonargli gli 8 anni di assenza pressoché totale dalla sua vita.

La trama del film intesse un suggestivo alternarsi tra passato e presente: i ricordi di Charlie con sua moglie Mary (Samantha Morton) e la piccola Ellie sono luminosi, caldi, e raccontano di giornate al mare trascorse a godersi la luce del sole, mentre l’esistenza nell’appartamento-prigione da cui Charlie tiene le sue lezioni è grigia, fredda, soffocante. Tuttavia, il passato contiene anche le prime tracce del disagio che farà precipitare il protagonista in una spirale autodistruttiva; i segni sono evidenti e la dicotomia tra male e bene è tracciata da Aronofsky con sensibilità, senza banalizzazioni, come in un intrecciarsi di abisso e speranza. La cifra stilistica del regista, dunque, che nelle sue narrazioni è capace di coinvolgere visceralmente il pubblico provocando in maniera impeccabile un turbine di disagio e sollievo, è facilmente riconoscibile, nel racconto di un protagonista che vuole disperatamente ritrovare la luce nella sua vita, ma non per questo dimentica o cancella “l’ombra” che fa parte del suo percorso esistenziale; questa stessa profondità è evidente nel personaggio di Ellie, lacerata tra la rabbia nei confronti del genitore assente e il desiderio di recuperare un rapporto che darebbe senso alla sofferenza, o in sua madre Mary, che con rabbia definisce la ragazzina “cattiva” per le sue intemperanze.

E la balena, “the whale”, a cui fa riferimento il titolo del film? È “Moby Dick”, il capolavoro di Herman Melville su cui Ellie, da bambina, ha scritto un saggio: le parole di questo lavoro hanno accompagnato Charlie negli anni, sono una vera medicina per lui, ogni volta che la malattia minaccia la sua vita, ma la citazione rimanda anche al potere della narrazione, nella letteratura e nell’arte in generale, che quando raccontano di amore e ossessione, di fede e ragione, di abissi tenebrosi e vette luminose, può avere un potere salvifico.

“The Whale”, dopotutto, ha poco a che vedere con il tema dell’obesità: il film è stato accusato di grassofobia, anche per la scelta di un attore che ha dovuto indossare delle protesi per sembrare un uomo di oltre 270 chili, ma tali critiche sembrano fermarsi al significato superficiale del film e ignorarne, invece il messaggio più profondo, legato alla speranza di salvarsi da comportamenti autodistruttivi, non solo con la propria forza di volontà, ma con l’aiuto di una rete di rapporti familiari e d’amicizia capaci di sostenere “il peso” di un momento difficile, un abbandono inspiegabile o una grave depressione, per esempio.

Nella scelta di Brendan Fraser come interprete del protagonista, dunque, paiono essere confluiti finzione cinematografica e realtà; per lui, che già ha vinto il premio come miglior attore ai Critics Choice Awards 2023 ed è candidato all’Oscar, la stampa internazionale ha coniato il termine “Brendanissance”, il “rinascimento di Brendan”. Comunque vada la serata dell’assegnazione degli Oscar il prossimo 12 marzo, “The Whale” rappresenta un viaggio emotivo denso di significati, in cui ciascuno potrà trovare il racconto delle proprie fragilità.

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