Un immenso patrimonio ambientale costituito dal più elevato numero di piante spontanee autoctone, e dunque endemiche, presenti sull’intero territorio italiano. È uno dei primati che detiene la Sardegna, la quale, dalle coste fino alla sua vetta più alta, Punta La Marmora nel Gennargentu, può essere definita un vero e proprio paradiso botanico.
Considerate la sua posizione geografica, la presenza di vaste aree scarsamente antropizzate e la grande varietà di specie vegetali, gli studiosi in materia si sono interrogati, per tanti anni, sull’esistenza o meno nell’Isola anche di piante carnivore, arrivando, tuttavia, inizialmente ad escluderla.
Particolari, affascinanti e intelligenti, in effetti le piante carnivore, il cui periodo di fioritura cade proprio nei mesi di maggio e giugno, sono state da sempre considerate tipiche di altre aree del globo, in particolare quelle tropicali e subtropicali. Vivono prevalentemente in ambienti privi dei nutrienti che sono necessari alla crescita di tutte le piante, si possono trovare sott’acqua, nelle paludi, su rocce spoglie, radicate sui tronchi di altre piante, e riescono a sopravvivere in quelle zone aride e inospitali grazie alla loro natura predatoria.
Anche se di solito sono gli animali a mangiare le piante, in questo caso sono le piante carnivore a nutrirsene per necessità, spinte dalla loro capacità di adattarsi anche alle situazioni più estreme. Si tratta per lo più di insetti che queste piante, definite per questo anche “insettivore”, hanno imparato ad intrappolare per estrarre da loro le sostanze di cui hanno bisogno, riuscendo così a crescere e moltiplicarsi in quei terreni poverissimi.
Pensare però che simili avvenimenti siano tipici solo di scenari esotici rappresenta ormai un falso mito. Non solo nel resto d’Italia, ma anche in Sardegna è venuta meno la convinzione che non siano presenti piante carnivore.
Ciò è stato possibile grazie ad una scoperta senza precedenti fatta nel 2014 da un’equipe dell’Università di Cagliari guidata dal professor Gianluigi Bacchetta, docente di botanica, e raccontata addirittura dalla prestigiosa rivista scientifica Phytotaxa.
Il ritrovamento della prima pianta carnivora “made in Sardinia” è avvenuto sui rilievi del Montarbu di Seui, in Ogliastra. La specie, ribattezzata con il nome di “Pinguicula sehuensis”, è alta tra gli 8 e i 14 cm e presenta una rosetta di foglie basali di una decina di centimetri; rilasciando una sostanza mucillaginosa sulle foglie, è in grado di catturare gli insetti, in particolare mosche, ragni, api e farfalline, assorbendoli poi lentamente per degrado progressivo.
Si tratta di un esemplare rarissimo, che non era ancora stato classificato, e a rischio di estinzione, nella zona dove è avvenuta la scoperta se ne contano meno di un migliaio. Nella vicina Corsica ce n’è una, sorella, ma la Pinguicula sehuensis ha caratteristiche molto particolari. Bacchetta, che già l’aveva avvistata nel 2012 ma che aveva avuto modo di esaminarla solo nell’autunno del 2014, al momento della scoperta aveva, infatti, dichiarato: “Appartiene a un genere mai notato e mai descritto prima in Sardegna. Dall’analisi dei suoi cromosomi è risultato che la pianta è di un tipo ancestrale, la possiamo considerare la madre di una serie di esemplari della stessa specie”.
Ma la correlazione tra la terra sarda e le specie endemiche ha continuato a stupire anche negli anni seguenti.
Nell’estate del 2020, nello stagno di Platamona, in provincia di Sassari, è stata individuata una seconda pianta carnivora che non era mai stata rinvenuta in Sardegna e che è molto rara anche nel resto della penisola. La “Utricularia vulgaris” – questo è il nome dell’esemplare -, è stata scoperta da Giovanni Rivieccio, allora ancora studente di Scienze Naturali e laureatosi poco dopo, insieme alla sua professoressa e docente di botanica dell’Università di Sassari Simonetta Bagella.
In realtà, una prima segnalazione della pianta tra i canneti di quello stagno era arrivata già 33 anni prima, nel 1987, da un altro studente di Scienze Naturali, Marco Giau, ma nessun botanico era mai riuscito a individuarla, tanto da suscitare il dubbio che si trattasse in realtà della “Utricularia australis”, una pianta cugina decisamente più conosciuta. Rivieccio invece non si è mai arreso, sicuro che Giau non si fosse sbagliato, e in occasione di una delle numerose gite fatte nello stagno, in una piccola radura ha trovato una colonia costituita da una ventina di esemplari.
Questa pianta carnivora presenta bellissimi e inconfondibili fiorellini gialli, simili alle bocche di leone, sotto l’acqua ha però delle vescichette (urticoli) sottovuoto che costituiscono delle trappole micidiali, si aprono, infatti, quando si avvicinano le prede – solitamente piccoli organismi acquatici come girini e larve di zanzare -, e le risucchiano completamente. Per queste sue caratteristiche le è stato attribuito anche il nome, molto più comune, di erba vescica.
Sono stati gli stessi Rivieccio e la professoressa Bagella a effettuare i rilievi e ad analizzare e classificare i campioni, inviando poi una nota a Italian Botanist, la rivista della Società Botanica Italiana, in modo che anche l’Utricularia vulgaris fosse inserita nel database delle specie esistenti.
Ora che ufficialmente anche la Sardegna può annoverare tra le sue specie endemiche anche delle piante carnivore, non ci si può non chiedere quali altre meravigliose sorprese ci riserverà in futuro la sua unica e rigogliosa biodiversità floristica.