Un giovane su 5 in Sardegna è vittima di cyberbullismo scolastico, il tipo più dannoso di attacco online. Il fenomeno è sempre più preoccupante e in continua crescita, richiede quindi un maggiore intervento da parte degli adulti, siano essi genitori o insegnanti. Questo è quanto emerge da un’indagine conoscitiva sul cyberbullismo nelle scuole dell’Isola condotta dall’Eurispes con il contributo dell’Assessorato Regionale alla Programmazione e al Bilancio e la collaborazione dell’Assessorato alla Pubblica Istruzione.
Nella ricerca sono state coinvolte 97 scuole sarde (48 secondarie di primo grado e 49 secondarie di secondo grado), per un totale di 3.586 ragazzi, 1.361 genitori e 837 docenti, che hanno compilato dei questionari anonimi. Dalle risposte raccolte è emerso che un ragazzo su cinque (19,6%) è stato soggetto ad episodi di cyberbullismo. Il 10,3% ha dichiarato di averlo subito “raramente”, il 7,8% “qualche volta” e l’1,5% “spesso”.
La rilevazione ha permesso anche di tratteggiare l’identikit dei “bulli digitali”. Gli autori delle vessazioni sono ragazzi tra i 13 e i 19 anni, sia di genere femminile (49,7%) che maschile (50,3%) quasi in uguale misura. Solitamente si tratta di soggetti insicuri e ansiosi che fanno parte di una cerchia di ragazzi conosciuti. Ma in cosa consistono gli attacchi? Tra quelli più diffusi c’è il sexting, cioè l’invio digitale di messaggi o immagini sessualmente espliciti. Ci sono poi anche battaglie verbali online (flaming), cyberpersecuzione (cyber-stalking), denigration, molestie (harassment), inganno e diffusione di informazioni (outing and trikery), esclusione e sostituzione di persona (impersonation). Tra i gesti più segnalati gli scherzi telefonici, le telefonate mute e l’esclusione dai gruppi WhatsApp. Gli strumenti maggiormente usati dai bulli invece sono le chat di gruppo e i messaggi individuali (WhatsApp, Telegram e applicazioni simili).
Tra le vittime figurano soprattutto le ragazze dai 15 ai 19 anni. Soggetti molto colpiti anche ragazzi e ragazze con handicap fisici, spesso derisi e isolati proprio per questo. A seguito dei soprusi hanno dichiarato di essersi sentiti soli, di aver provato rabbia, ansia, aver perso l’autostima, aver perso la voglia di andare a scuola e alcuni si sono ammalati di vera e propria depressione. Nella rilevazione sono stati presi in esame anche gli spettatori del cyberbullismo, ovvero coloro ai quali è capitato di assistere ai maltrattamenti. Di solito si tratta di coetanei delle vittime e davanti agli episodi hanno dichiarato di aver provato pena per loro e rabbia, di aver disapprovato ma di non aver avuto la forza di prendere una posizione e intervenire.
Quanto ai genitori, secondo la ricerca hanno concesso l’utilizzo del cellulare per la prima volta ai figli e hanno messo a loro disposizione un computer connesso a Internet in uno spazio comune della casa tra i 6 e gli 11 anni. In entrambi i casi hanno dichiarato di aver controllato i contenuti e di aver sorvegliato i dispositivi anche attraverso il “parental control”, cioè lo strumento che consente di tenere monitorata la navigazione e di bloccare l’accesso ad alcuni siti web. È emerso che quando è capitato che i figli sono stati vittime di cyberbullismo, hanno consigliato loro di ignorare i comportamenti dei bulli, si sono rivolti direttamente ai genitori degli autori delle vessazioni, hanno chiesto aiuto al personale scolastico e hanno cercato di analizzare l’accaduto parlandone con i figli stessi. Tra i genitori intervistati è stato pensiero comune che gli episodi di cyberbullismo rappresentino ormai un fenomeno in crescita e sempre più preoccupante, e che per questo necessiti di un intervento mirato degli adulti, genitori e docenti.
Dalle interviste a cui sono stati sottoposti gli insegnanti, è risultato che è stata vittima di cyberbullismo anche una parte (seppur esigua) di loro. I docenti, quando si sono interfacciati con alunni vittime dei bulli hanno suggerito loro di rivolgersi ai propri genitori o hanno parlato direttamente con il responsabile. Inoltre, si sono resi conto che spesso gli autori delle vessazioni tendono a minimizzare le loro azioni, sostenendo che si tratti solamente di uno scherzo.
La ricerca delinea anche alcuni possibili metodi per intervenire per gestire o prevenire i casi di cyberbullismo. Tra questi le attività di formazione rivolte sia a docenti che a studenti ed eventi periodici di informazione da parte di esperti del settore per far fronte a tutte le dinamiche che possano sfociare in comportamenti di cyberbullismo. Inoltre, sottolinea che sarebbe utile che questa formazione avvenisse proprio all’interno delle scuole perché rappresentano i luoghi in cui il triste fenomeno ha origine e quindi dove è più necessario contrastarlo.