Nicolò Barella, “Su piccioccheddu de Casteddu” che si è preso l’Europa

UEFA Euro 2020: Nicolo Barella. Italia vs Inghilterra @ Wembley 11 luglio 2021. 📷 Claudio Villa/Getty Images

UEFA Euro 2020: Nicolo Barella. Italia vs Inghilterra @ Wembley 11 luglio 2021. 📷 Claudio Villa/Getty Images

Chissà se i genitori, gli allenatori, gli avversari di Nicolò Barella quando aveva cinque anni e iniziava a tirare calci al pallone, immaginavano di aver a che fare con chi vent’anni dopo trascinerà l’Italia sul tetto d’Europa.

Un talento precoce, una passione quella per il calcio nata in casa seguendo le gesta di papà Luca, calciatore nel San Sperate, e da lì la voglia di imitarlo che lo porta alla Scuola Calcio Gigi Riva, la scuola calcio più antica d’Italia. Lì il biondissimo e paffutissimo Nicolò avrebbe dovuto giocare con gli amici sul campo in terra battuta alternando qualche calcio a qualche castello di sabbia, invece il piccolo inizia a correre col pallone incollato al piede e non si fermerà più per vent’anni.

Tutti lo ricordano come un bambino vivacissimo e intelligente, capace di palleggiare con qualsiasi cosa gli capitasse tra i piedi, e di fare subito amicizia strappando un sorriso anche ai più grandi. E a guardarlo oggi su piccioccheddu, come lo hanno sempre soprannominato, non sembra essere particolarmente cambiato.

A sette anni arriva la svolta, quando ad un torneo viene notato da un osservatore del Cagliari e segnalato a Gianfranco Matteoli. Pochi anni dopo passerà a giocare per i rossoblù in pianta stabile, seguendo tutta la trafila delle giovanili, per poi esordire in prima squadra diventando il centrocampista tutto cuore e grinta che conosciamo oggi all’Inter e nella nazionale italiana.

L’esordio con la prima squadra del Cagliari avviene a soli 17 anni in una gelida e piovosa serata invernale al Tardini di Parma in una sfida di Coppa Italia tra Parma e Cagliari. Il campo è fradicio e pesante, l’avversario ostico, e mister Gianfranco Zola per ribaltare le sorti del match lo manda in campo. Per Nicolò l’esordio è complicato, si mette in mostra per lo spirito di sacrificio, si butta su ogni pallone, s’infanga senza paura contrastando giocatori più anziani e strutturati di lui, ma alla fine la squadra perde.

Dopo una breve parentesi al Como in Serie B, nella stagione 2017/2018 torna a Cagliari, appena risalito dalla B, dove diventa titolare e contribuisce alla salvezza della squadra. Negli anni cresce fino ad assumere i gradi di capitano, diventando il calciatore più precoce ad indossare la fascia nella storia rossoblù, e attirando l’attenzione di tutte le big del campionato. Alla fine, sarà l’Inter a spuntarla e per Antonio Conte, Barella sarà l’insostituibile motorino del centrocampo che riporterà lo scudetto ai nerazzurri dopo 11 anni.

Nel frattempo, Nicolò si fa strada anche in nazionale, sotto l’ombra del ricordo di giocatori sardi di nascita e d’adozione che hanno contribuito alla storia azzurra. Da Gigi Riva a Gianfranco Zola, la storia del Cagliari e della Sardegna s’intrecciano e si legano ancora una volta con la maglia azzurra, che finisce sulle spalle di Barella, ancora biondo e paffuto come vent’anni prima.

Nelle notti magiche di quest’ultimo Europeo, Barella si fa notare non solo per gli scherzi e la complicità coi compagni diventati in breve tempo meme virali, ma soprattutto per le prestazioni di qualità e il gol contro il Belgio che porta l’Italia in semifinale. In quel gol c’è tutto Nicolò Barella: il dribbling, la forza e la testardaggine di vincere tutti i contrasti, il mix di rabbia e precisione di un tiro imparabile.

Barella di strada ne ha fatta, partendo dal tirare qualche calcio al pallone col papà a Sestu, a calcare i più prestigiosi campi di calcio d’Europa. E sollevare a Wembley un trofeo che ha un significato speciale per un’intera isola, per un intero popolo, rappresentato da quello che nonostante tutto è ancora “Su piccioccheddu de Casteddu”.

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