Il banditismo gallurese è un fenomeno che ha interessato la Sardegna – e nello specifico il paese di Aggius che ne è stato il fulcro – per un periodo di circa tre secoli.
Sospeso tra realtà e leggenda, il Museo del banditismo raccoglie testimonianze documentarie e fotografiche ma anche armi, indumenti, “ferri da campagna” (le vecchie manette) e oggetti che venivano utilizzati durante la latitanza.
Il lasso temporale coperto va da metà del Cinquecento, nel periodo spagnolo, alla metà dell’Ottocento, quando la Sardegna si trovava sotto la dominazione sabauda.
Situato nel cuore del centro storico, nel palazzo della vecchia Pretura, il museo è composto da quattro sale organizzate per temi. All’ingresso, nella prima sala – ricostruzione di un ufficio dei carabinieri dell’Ottocento – si possono trovare diverse foto segnaletiche con relative biografie dei vari banditi. L’impatto scenico permettedi immergersi immediatamente nel contesto trattato. Protagonista assoluto, emblema del banditismo gallurese, a cui è dedicata un’intera teca, è Sebastiano Tansu, ribattezzato il Muto di Gallura, che ispirò l’omonimo romanzo di Enrico Costa.
Occorre precisare che lo scopo di creare un museo storico relativo al banditismo non è quello di idealizzare o fare entrare nel “mito identitario” sardo tale fenomeno, come precisato nel sito internet istituzionale museodiaggius.it: “L’obiettivo di questo museo non è quello di esaltare le gesta dei banditi, semmai, è esattamente il contrario: diffondere valori positivi per la costruzione di una mentalità che favorisca l’affermarsi della legalità e della moralità pubblica ad ogni livello”.
Ma chi era considerato bandito? Il significato della parola è, letteralmente, legato a colui che era stato appunto “bandito” dalla comunità, e costretto perciò a vivere ai margini. Poteva essere colui finito in disgrazia per motivi di onore, un ribelle, oppure un diseredato: la sua figura era comunque meritevole di rispetto e protezione.
Fondamentale, per capire il motivo di questa empatia e considerazione, è conoscere la situazione storica del periodo narrato. Emilio Lussu al riguardo affermò che “Se una tradizione di violenza esisteva, essa era una difesa dai conquistatori perché se lo Stato è sempre stato assente in Sardegna, il suo braccio armato, di contro, fu sempre presente”. L’interesse nato attorno alla figura del bandito sardo affonda le sue radici proprio nel concetto di “Stato dominatore assente”, nella sfiducia nelle istituzioni giudiziarie, nella ribellione – sacrosanta – scaturita davanti alle prevaricazioni perpetue inflitte al popolo e nell’abbandono in cui versavano intere comunità.
Lungi dal voler mitizzare, è necessario comunque contestualizzare il periodo storico al quale si riferisce il fenomeno, quando “La giustizia sabauda”, come si legge nei documenti affissi, non era esattamente “giusta”.
Una visita è fortemente consigliata.