“Per anni mi sono sentita sola e abbandonata, in preda a dolori senza nome che non mi permettevano di vivere una vita privata, sessuale e professionale normale e soddisfacente. La maggior parte dei medici non conosce la malattia, senza una diagnosi anche chi ci sta a fianco inizia a dubitare del nostro male e lo Stato si è dimenticato di noi”. Così si è espressa sul suo profilo Instagram Giorgia Soleri, la giovane modella affetta da vulvodinia ed endometriosi che da tempo lotta per il riconoscimento di queste “malattie invisibili” e che compie un’importantissima opera di divulgazione sui social.
Giorgia non è la sola. Sono tante, purtroppo milioni, le donne che si sono sentite dire che i propri dolori erano solamente nella testa e che non potevano far altro che sopportarli. Le malattie invisibili sono infatti quelle che non comportano nessun segno evidente sul corpo e per questo gli ammalati vengono accusati di essere ipocondriaci, di immaginarsi tutto e il loro malessere viene visto come un problema di esclusiva natura psicologica. Diventano così invisibili anche alle istituzioni, per lo Stato e per il Servizio Sanitario Nazionale non esistono e non hanno diritto alle esenzioni.
Una di queste patologie è appunto la vulvodinia, una malattia che provoca un forte bruciore alla parte esterna dei genitali femminili tanto da sfociare in un’infiammazione dei nervi dell’area pelvica. Chi ne è affetta soffre. Soffre nell’urinare, nell’avere un rapporto sessuale e qualsiasi momento di leggerezza, come uscire con gli amici o fare una vacanza, diventa quasi impossibile. Nonostante sia stata riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2020 e in Italia ne sia affetta una donna su sette (circa 4 milioni di donne), per le istituzioni non esiste e non se ne trova nessuna traccia nei LEA, cioè i livelli essenziali di assistenza. Per arrivare a una diagnosi di vulvodinia servono in media 5 anni. Un tempo infinito, un tormento fisico ed emotivo che vede le donne sballottate da uno studio medico all’altro e congedate senza diagnosi. Sono infatti veramente pochi i ginecologi che sanno riconoscerne i sintomi e quindi curarla.
Ma la vulvodinia non è l’unica, un’altra patologia è la neuropatia del pudendo che colpisce la zona pelvica e interessa anche gli uomini. Non essendo considerata ufficialmente un disturbo medico, viene esclusa dal Sistema Sanitario Nazionale. Per questo le associazioni italiane hanno presentato il 12 novembre, nel corso di un convegno a Roma, un Disegno di Legge che chiede il riconoscimento istituzionale della vulvodinia e della neuropatia del pudendo come malattie croniche invalidanti. Sono tante, per fortuna, le Onlus italiane che si occupano di divulgazione e sensibilizzazione. Tra queste c’è “Cistite.info Aps” la cui presidentessa, Rosanna Piancone, ha dichiarato in occasione del convegno a Roma che il nome dell’associazione è stato scelto proprio per rendere il sito più raggiungibile da tutte quelle donne che si erano sentite dire di soffrire continuamente di comuni cistiti e hanno invece poi scoperto di essere affette da vulvodinia o dolore pelvico. Infatti, troppe sono le donne che sono riuscite a dare un nome a ciò di cui soffrono solamente grazie alla comunicazione online delle associazioni. Come spiegato dal “GAV – Gruppo Ascolto Vulvodinia”, alla domanda “come hai capito di soffrire di tali patologie?” ben il 77% delle donne ha risposto “grazie alle fonti online”.
Altra malattia invisibile è l’endometriosi che interessa circa 3 milioni di donne in età fertile in Italia. È una patologia cronica che consiste nella crescita di tessuto endometriale al di fuori dell’utero, soprattutto nella cavità pelvica, nelle ovaie, dietro l’utero ma anche nella vescica o all’interno dell’intestino. È l’unica di questo genere di malattie ad essere stata inserita nel 2017 nei LEA (anche se solo per il terzo e quarto stadio che non sono gli unici invalidanti dal punto di vista della sintomatologia). Il ritardo diagnostico dell’endometriosi inoltre continua ad essere di 7 anni e mezzo.
È una sindrome invisibile anche la fibromialgia che colpisce almeno 2 milioni di persone in Italia e per ogni uomo affetto da questa malattia ci sono nove donne, per lo più giovani, che ne soffrono. Il ritardo diagnostico è di 5 anni. I fibromialgici provano dolori muscolo-scheletrici lancinanti e stanchezza cronica, un senso di sofferenza generale che sfocia in rigidità muscolare, insonnia e forti mal di testa. Si tratta quindi di una patologia terribilmente invalidante. A fine ottobre il Ministro Speranza ha dichiarato che la Commissione Nazionale è impegnata nell’esame e nella valutazione della richiesta dell’inserimento ufficiale della fibromialgia nei LEA.
Alla base della complessità del riconoscimento di tali patologie da parte dei medici vi sono principalmente due fattori. Il primo riguarda una componente culturale di normalizzazione del dolore: è infatti considerato naturale che una donna soffra. Il secondo fattore interessa invece un problema di formazione e aggiornamento dei medici. Sono pochi quelli capaci di riconoscerle e rari sono i presidi specializzati in Italia (quasi inesistenti nelle regioni del sud). Coloro che sono affetti da queste malattie invisibili, oltre che a pagare per intero il costo di visite specialistiche e cure, son quindi costretti a sborsare anche cifre esorbitanti per i viaggi, arrivando ad avere spese mensili insostenibili.