Il fascino di una struggente storia d’amore ne “Il Lago dei Cigni, ovvero il Canto” del Balletto di Roma, una suggestiva creazione di Fabrizio Monteverde, che firma coreografia e regia, ispirata al capolavoro di Pëtr Il’ič Čajkovskij e a “Il Canto del Cigno” di Anton Čechov, con la partecipazione di Carola Puddu (nel ruolo del Cigno Nero) e Roberta De Simone (nel ruolo del Cigno Bianco) in cartellone giovedì 23 novembre e venerdì 24 novembre alle 21:00 al Teatro Verdi di Sassari e sabato 25 novembre alle 20:30 e domenica 26 novembre alle 16:30 al Teatro Massimo di Cagliari sotto le insegne del CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna.
Dopo il successo di “Giulietta e Romeo”, balletto in due atti liberamente ispirato alla tragedia di William Shakespeare, sempre con la cifra immaginifica e “teatrale” di Fabrizio Monteverde, che l’ha vista protagonista al Teatro Massimo di Cagliari e nelle più importanti città della Penisola, Carola Puddu, interprete versatile formatasi all’École de danse du Ballet de l’Opera de Paris, dove ha ottenuto il primo ruolo da solista a 17 anni, cimentandosi con le “classiche” coreografie di Roland Petit, Maurice Béjart, Auguste Bournonville, William Forsythe, George Balanchine e Marius Petipa, ma anche (come solista) in “Un Ballo” di Jirì Kylian e “Spring and Fall” di John Neumeier, per trasferirsi poi in Canada, dove interpreta varie creazione di Roman Oller e si apre a nuovi stili come il contemporaneo e il Gaga Movement, conosciuta e amata dal grande pubblico con il programma “Amici” di Maria De Filippi ritorna in Sardegna nel ruolo di Odile, il Cigno Nero. Una creatura seducente e pericolosa, la figlia del mago, che si insinua tra i due innamorati, assumendo le sembianze della dolce e sfortunata Odette per conquistare il cuore di Siegfried: un inganno fatale, perché solo la forza dell’amore puro (e ricambiato) per un giovane avrebbe potuto salvare la principessa e liberarla insieme alle sue compagne dal maleficio di Rothbart, restituendo loro l’aspetto di fanciulle.
La favola nera de “Il Lago dei Cigni”, nella versione di Fabrizio Monteverde, s’intreccia al tema della vecchiaia con il bilancio di un’intera esistenza trascorsa sul palcoscenico, nel tentativo di ammaliare e divertire il pubblico, dell’atto unico di Anton Čechov (cavallo di battaglia di grandi attori, da Vladimir Nikolaevič Davydov a John Gielgud, a Memo Benassi, Glauco Mauri e Mario Scaccia). Sulle note di Pëtr Il’ič Čajkovskij, il celebre balletto che racconta l’incontro fatale tra il principe Siegfried e la principessa Odette, vittima di un incantesimo, e la nascita di un sentimento d’amore che avrebbe potuto spezzare quel crudele sortilegio rivive sul palcoscenico, affidato a «un gruppo di “anziani” ballerini che, tra le fatiche di una giovinezza svanita e la nevrotica ricerca di un finale felice, ripercorrono gli atti di un ulteriore, “inevitabile” Lago» – come si legge nella presentazione – in una estenuante ripetizione dei gesti, come imprigionati essi stessi, come le fanciulle-cigno, in una sorta di sogno a occhi aperti, tra i ricordi di un glorioso passato, nel tentativo di rimandare il più a lungo possibile la fine.
«Condannata ad una perenne metamorfosi, donna a metà tra il bene e il male, Odette/Odile sarà cigno e principessa, buona e crudele, amante fedele e rivale beffarda» – in una emozionante narrazione per quadri, che si traduce in un simbolico gioco di specchi tra verità e invenzione. «Metafora di un’arte che non conosce traguardo, cercherà se stessa in un viaggio tormentato d’amore, tradimento, prigionia e liberazione. In un teatro in cui tutto ha inizio e nulla ha mai fine, andrà incontro agli stracci consumati di una vita d’artista con lo spirito bianco di una Venere per sempre giovane».
“Il Lago dei Cigni, ovvero il Canto” è una avvincente e originale riscrittura di un capolavoro della storia del balletto, perfetta sintesi dell’elegante astrazione della danza classica e dello spirito del Romanticismo, con i costumi di Santi Rinciari (realizzati dall’Opificio della Moda e del Costume) e le maschere di Crea FX effetti speciali, disegno luci di Emanuele De Maria: la trama fiabesca incentrata su un amore impossibile si fonde a una riflessione sulla condizione umana, sulla caducità e la fragilità, i sogni di gloria e il disincanto, in un’amara constatazione della vanità di ogni cosa, ma anche nel desiderio di fermare il tempo, per un’ultima recita, quasi la celebrazione di un rito.
«“Il Lago dei Cigni è una favola senza lieto fine in cui i due amanti protagonisti, Siegfried e Odette, pagano con la vita la passione che li lega. Una di quelle “favole d’amore in cui si crede nella giovinezza” avrebbe detto Anton Čechov, scrivendo nell’atto unico “Il canto del cigno” (1887) di un attore ormai vecchio e malato che ripercorre in modo struggente i mille ruoli di una lunga carriera – Con dichiarata derivazione intellettuale dallo scrittore russo, il “Lago” di Monteverde trova ne Il Canto il proprio naturale compimento drammaturgico in un percorso struggente di illusioni e memoria» – si legge nelle note – . «Persi tra i ruoli di una lunga carriera, i danzatori stanchi di un’immaginaria compagnia decaduta si aggrapperanno ad un ultimo “Lago”, tra il ricordo sofferto di un’arte che travolge la vita e il tentativo estremo di rimandarne il finale. Individualità imprigionate in una coazione a ripetere, sabotatori della propria salvifica presa di coscienza oltre i ruoli di una vita svanita, gli interpreti ripercorreranno la trama di un Lago senza fine, reiterandovi gesti e legami nella speranza straziante di sopravvivere al finale di una replica interminabile».
Tra eros e thanatos, l’attrazione tra i due giovani conduce entrambi alla morte, ma quella felicità che viene loro negata dal destino, e più ancora dalla malvagità di Rothbart con la complicità della figlia Odile, si eterna nei brevi istanti dell’ultimo addio, con la certezza per entrambi del loro reciproco amore che durerà così per sempre. Fabrizio Monteverde reinventa il balletto attraverso un meccanismo metateatrale, così che i ballerini nell’incarnare i loro personaggi in qualche modo danzano la propria vita, quell’incantesimo di perfezione estetica e racconto delle umane passioni che si trasfigura sulla scena, nel segno della bellezza.