Sbarca nell’Isola – sotto le insegne della XXXIX edizione del Festival “La Notte dei Poeti” organizzato dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna – Lodo Guenzi, fondatore e frontman de Lo Stato Sociale, protagonista giovedì 8 luglio alle 20:00 nell’area archeologica di Nora di “Uno spettacolo divertentissimo che non finisce assolutamente con un suicidio”, scritto a quattro mani con Nicola Borghesi, che firma la regia con la consulenza drammaturgica di Daniele Parisi e Gioia Salvatori; scenografia di Katia Titolo, costumi di Cristian Spadoni e disegno luci di Alberto Tizzone – produzione di Pierfrancesco Pisani e Isabella Borettini per Infinito Teatro e Argot Produzioni.
Un originale, coinvolgente e (auto)ironico monologo su uno dei nodi cruciali del presente – dopo la “sospensione” degli spettacoli per il lockdown e la chiusura dei teatri a causa della pandemia – ovvero il ruolo dell’artista nella società, sul senso e forse la necessità di andare in scena, nonostante tutto, per ammaliare e conquistare il pubblico, suscitare emozioni, far sorridere e pensare. Una “provocazione” intellettuale, in un’epoca in cui si discute di “ristori” e Recovery Fund, di emergenza ormai non solo sanitaria ma anche economica e sociale, davanti allo spettro di una grave crisi che potrebbe travolgere l’Europa intera e al miraggio di una ripresa, con i primi timidi segnali di una “ripartenza”, per diversi settori, resa più complicata dalle norme per il distanziamento, il contingentamento dei posti e l’uso delle mascherine, che incidono sull’organizzazione degli eventi e naturalmente sui costi e sui ricavi, con pesanti ricadute per tutto il mondo dello spettacolo.
Un One-Man-Show nello stile ormai diffuso anche in Italia della Stand-Up Comedy, per una riflessione semiseria e “ad alta voce” sulla condizione surreale di chi per mestiere è avvezzo a salire quotidianamente o quasi sul palco, a interpretare personaggi e storie, vere o inventate, almeno in parte, cercando di superare, con la voce e con la mimica, quella fatidica “quarta parete” per trasportare gli ascoltatori “dentro” le vicende, renderli attenti e partecipi dell’azione, affinché diventi “reale” quella speciale finzione capace di mettere a nudo la verità. “Uno spettacolo divertentissimo che non finisce assolutamente con un suicidio” – con un titolo che suona un po’ come un ossimoro, quasi a restituire il paradosso della tragica malinconia del clown, del dramma segreto dietro la maschera del “giullare” (basti pensare a “Rigoletto” se non a “Pagliacci”) – porta alla ribalta il dilemma dell’artista, la sua riluttanza a esibirsi ancora una volta, il suo desiderio di fuga – insito forse nella sua natura, riflesso di quell’inquietudine che lo ha condotto fin lì e che ha indirizzato le sue scelte e la sua stessa vita.
La celebre frase “The Show Must Go On” – il classico diktat del mondo dello spettacolo – è stata improvvisamente e inusitatamente contraddetta quando per contrastare la pandemia sono state vietate le manifestazioni, onde evitare pericolosi “assembramenti” e ora il ritorno ad un’auspicata “normalità” risulta più arduo che mai, dopo che per mesi ci si è dovuti accontentare di platee virtuali riunite davanti allo schermo del televisore o di un computer, perfino le prove son stare fatte “a distanza”, le tournées sono state cancellate o rimandate e i teatri e le sale da concerto sono rimasti chiusi.
“Uno spettacolo divertentissimo che non finisce assolutamente con un suicidio” – si legge nelle note di presentazione – «è’ uno spettacolo sbagliato. Dall’inizio. Fatto in un momento in cui non si capisce proprio perché si dovrebbe farlo, uno spettacolo. È un tentativo di messa in scena che parte dalla stand up e si perde in una storia vera. In più storie, vere». Si apre idealmente il sipario e «l’attore è davanti al pubblico, deve fare il suo show, tocca a lui, è chiamato a portare a termine qualcosa da cui vorrebbe istintivamente fuggire, che è quello che di solito fa, che ha sempre fatto» e in un gioco metateatrale, in cui l’artista è al centro del racconto, il monologo tra varie digressioni e libere associazioni di idee «diventa anche una riflessione sul perché si continui a stare sulla scena oggi». E la risposta? «Per passione forse, per imparare a guardarci e riconoscerci come esseri umani? Per amore? Perché non c’è niente altro da fare? Per dimenticare? Per ricordarsi? Sicuramente per ascoltare una storia».
Il bolognese Lodovico “Lodo” Guenzi – già dj di Radio Città Fujiko, musicista e cofondatore con Alberto “Bebo” Guidetti e Alberto “Albi” Cazzola de Lo Stato Sociale (che scala le classifiche e conquista un ragguardevole secondo posto al Festival di Sanremo nel 2018 con “Una vita in vacanza”, vince il Premio Lunezia Indie Pop con “Primati”, di nuovo all’Ariston nel 2021 con “Combat pop” poi l’uscita di “Attentato alla musica italiana”) – si presenta sul palco del festival nelle vesti inedite, ma non troppo, di “affabulatore”. L’eclettico performer (si) racconta, affronta con humour e leggerezza delicate questioni esistenziali e si (e ci) interroga sul significato dell’arte, sull’esigenza umanissima di ascoltare e raccontare storie, da cui sono nati gli antichi miti ma anche le moderne leggende metropolitane, le novelle di messer Giovanni Boccaccio e “The Canterbury Tales” di Geoffrey Chaucer, e perfino il teatro, il cinema e le moderne serie tv, soffermandosi – in questo curioso “gioco delle parti” – sugli imperativi morali e sulla libertà dell’artista.