“L’ultima ricamatrice” di Elena Pigozzi narra la storia di una coraggiosa schiatta di donne che per quattro generazioni hanno affrontato sole qualsiasi difficoltà, dalla guerra, alle carestie, ai lutti, rifugiandosi nella saggezza antica del ricamo: l’unica arte che avevano conosciuto sin da piccole.
«Lavoro di ago e filo da più di sessant’anni. Ho viaggiato poco, se viaggiare è spostarsi da un luogo all’altro, cambiare paese, gente, città. Se questo è viaggiare, il mio è stato uno spostarsi da un paese a quello vicino per fare subito ritorno nel luogo in cui sono nata, che è sulla sponda del fiume che scorre proprio sotto la mia finestra. Di viaggiare non ne ho bisogno, sono i viaggiatori che vengono da me e mi portano i luoghi che hanno visitato, i sogni e i desideri che rendono rapido il cammino. È quando stringo l’ago, ci passo il filo, afferro la stoffa, che inizio il viaggio. Allora ricamo o tesso le storie che sento dentro e sono certa di imprigionarle nella seta e di ripetere i giorni, i mesi, gli anni. Ripetere finché li ho cuciti nella tela e il ricamo parla di me. Ripetere ciò che vedo attraverso la finestra, il bosco che è macchia di verde, la forma dei rami e dei tronchi, la luce che filtra tra le foglie».
A raccontarci, in prima persona, la propria incredibile vita è la protagonista, un’anziana ricamatrice, sarta e tessitrice, Eufrasia, l’ultima erede della stirpe di abili tessitrici. Tutto ebbe inizio con Esther, vedova di guerra che crebbe, grazie al ricamo sua figlia Clelia, che a sua volta partorì Miriam, la madre di Eufrasia, che lei mai conobbe, accudita da sua nonna Clelia e consolata dal grande amore per Felice, con il quale dette alla luce Libero, un futuro viaggiatore.
Una storia di grandi amori e dolori, che ricordano la violenza dei tempi passati, dove solo chi si conformava ai valori e modelli dominanti, si poteva ritenere al sicuro e in cui guerre, carestie e pandemie decimavano ancora la popolazione.
«“Ciascuno di noi fa l’esperienza della caduta” le confermo, perché la sua voce mi ha raccontato ciò che la sua lingua non dice. “Si cade a terra perché ci ricordiamo che è da lì che proveniamo. Ed è lì a cui siamo destinati.” Sistemo meglio il tombolo e la guardo, ha gli occhi che mi fissano e il volto teso. “Il dolore fa parte dell’andare avanti” proseguo. “È una legge fisica, come lo è la gravità, la velocità, il galleggiamento. È una legge che appartiene al nostro essere nel mondo. Per questo si impara ad affrontarlo, a volergli bene perché ci appartiene e a lasciarlo andare fino a che diventa eco lontana, fruscio di foglie, bisbiglio di fiati. È in quell’istante che si diventa forti”.»