Bentrovati amici lettori,
per il nostro appuntamento di #ioraccontoaSH vi propongo un racconto che ho ricevuto proprio ieri e ho deciso di pubblicarlo al posto del mio (ve lo proporrò prestissimo), lui è un autore che avete già conosciuto col suo racconto “L’orsacchiotto venuto dal passato” sebbene sia molto triste (per me lo è) credo che sia il modo migliore di salutare quest’anno complicato, che ci ha messo a dura prova, che ci ha cambiati nel profondo ma ci ha anche fatto capire che possiamo affrontare tutto, non vuole essere una riflessione solo del mio vissuto, ma in questo periodo mi sono sentita parte di una grande community, quella delle persone, amici e parenti ma anche sconosciuti che stanno in un altro emisfero e che vivono alla giornata. Abbiamo compreso che non è possibile fare programmi perché tutto può cambiare.
In questi ultimi due mesi abbiamo passato molto tempo in casa a causa delle quarantene fiduciarie, termini che fanno ormai parte del nostro vocabolario, quante nuove parole… perciò spero che vi piacerà la storia di quest’uomo, il suo dolore è un po’ il nostro… potrebbe essere un cavaliere o forse un semplice ragazzo. Credo che si possa dare una libera interpretazione. Quello che posso dire è che il suo stile è unico e inconfondibile.
L’autore Antonino Trovato è nato a Catania nel 1984, ha vissuto i migliori anni immerso tra le letture di filosofia, la passione per la storia e gli amici con cui ha condiviso il periodo universitario, conseguendo anche la laurea in Filosofia e la specializzazione in Storia della Filosofia. È un grande appassionato di fantasy, horror, manga, anime e videogames, e cerca di coniugare, a modo suo, queste passioni attraverso la magia della scrittura, divertendosi a scrivere racconti e tentando altresì di dar sfogo alla propria creatività e, infine, con essa intrattenere ogni singolo lettore.
L’ho scoperto sulla sua pagina Instagram @darksinfeno84 dove condivide il suo amore per la scrittura e i libri.
Per creare l’atmosfera giusta per la lettura, suggerisco un brano sempre emozionante: U2 – I Still Haven’t Found What I’m Looking For
Buona lettura
Aurora Redville
Cavaliere caduto
di Antonino Trovato
I miei occhi, obnubilati dall’irrinunciabile sete di girovagare intorno alla sfera dei miei desideri imbevuti di sogni, inseguono la quiete in una notte tormentata, fatta solo di lacrime e sangue. Destino che ferisce. Vita di un uomo che convive col fallimento di ogni sua azione, per poi immergersi tra bianche lenzuola alla ricerca di un attimo, un’istante intriso d’eternità.
Parole, queste, che fluiscono dall’incantato percorso di candidi pensieri incastonati nel placido mare di tutte le memorie, ricordi dati in pasto ad una morte che avanza inesorabile alle mie spalle, che mi tocca, m’avvolge, mi stritola a sé. Il debole ticchettio del mio cuore inizia a galoppare furiosamente, mentre le mie pupille, ancore pressoché inermi, con movimenti rapidi fulminano il silenzio di un’anima addolorata.
Il buio invade la mia essenza; cado; scivolo in una dimensione senza tempo, senza confini, proiettato laddove nessun uomo oserebbe mai mettere piede. Sento il corpo frantumarsi, disperdersi in tutte le direzioni, mille molecole divorate da ombre furenti. Pena. Sofferenza. La mia vitalità pulsa adesso sangue amaro che sgorga via attraverso rivoletti anneriti. Lo sento. Lo percepisco.
La mia esistenza, muta e annichilita, crolla sotto i colpi di sentimenti maledetti; schiacciata dal peso di un presente senza futuro, anch’essa getta il residuo gemito proveniente da pagine disciolte in un passato ormai cancellato. Nelle tenebre delle mie percezioni, nel mio essere ormai vicino al nulla, avverto un tonfo: pesante; mostruoso; prolungato; un lento riverbero che pian piano aumenta la forza del proprio incedere sino a diventare martirio eterno; che infine risuona potente come l’urlo di una legione intera in guerra. Non ho occhi. Non ho orecchie. Eppure qualcosa continua a muoversi tra le nebbie delle mie sensazioni.
Cos’è? Provo a dire. Ma ciò che vien fuori è solo il triste rintocco di una mente spezzata da una realtà irreale. Non ho corpo, non sento più niente all’infuori di questo frastuono. Una luce oscura, flebile, che trema al contatto con l’immortalità dello spazio etereo; siderale; lontano. Ecco cosa sono adesso: un piccolo puntino luminoso sommerso dagli Abissi più neri.
Istinto è il tuo nome, colui che guida passi evanescenti al soglio di una piccola porta arrecante il nome di divinità smarrite da qualunque essere vivente. Quella sottile linea che divide vita e morte; quel breve filo che collega la mia anima sfinita alla perpetuità senza emozioni. Ma di emozioni, adesso, non ne trovo consistenza tra i filamenti di ciò che mi rimane. L’aria è rarefatta; scorgo tuoni e fulmini all’alba del mio lento cammino. Ma è tutto così… attenuato, quasi inesistente. E intanto la terra s’inaridisce al mio passaggio, lurida sabbia che marcisce e soffoca ogni creatura. Ululati e guaiti germogliano in una pioggia di stille scintillanti, mentre enormi uccelli gracchianti salutano l’avvento della fine…
La mia…
Solitudine cara, vecchia amica di mille battaglie o forse più, tendi la tua mano fredda e decrepita verso me, ti prego, perché adesso il mio essere Solo assomiglia ad una gelida distesa dove fiorisce l’ombra di macabri suicidi; foglie taglienti sminuzzano, trapassano, torturano; e intanto, lupi feroci son pronti a spartirsi la mia carne ormai putrida, priva di ogni significato. Funesto banchetto di fulgide preghiere inascoltate accompagnano l’ultimo mio viaggio.
Ma…
Un soffio di brezza giunto all’improvviso porta con sé un nome, fresco come l’autunno, dolce come tulipani che dondolano al richiamo del sole. Un nome che sfiora la via di tutte le mie reminiscenze. Un attimo. Un istante. La mia anima sembra sentire, ricordare, sorridere.
D….
Non oltre. Una lettera soltanto. È tutto quello che la mia percezione ha generato nel vuoto del sentirmi parte di un tutto imperituro. Ma sufficiente per scuotermi e provare ad abbracciare il caos che mi circonda. Un nuovo risveglio tra le sofferenze di un mondo pregno di fruste d’argento che soffocano, puniscono per sempre. Sommerso dal dolore, socchiudo palpebre inconsistenti. E in quel momento intravedo un raggio azzurrognolo, una lama incandescente che mi trafigge.
Mi sento bruciare, ardere come un tizzone che mai si spegnerà; eppure qualcosa mi attrae, irresistibile.
Risa; schiamazzi; coltelli che oscillano come pendoli invisibili; rabbrividisco. Ma i ricordi di ciò che sono s’affievoliscono sempre più. La luce acuisce la sua forza su di me, proprio come l’ineluttabile fato che avviluppa due corpi sospinti dalla gravità. Mi avvicino, trascinando petali di morte nutriti di colpa, l’unico vero sentimento che trabocca vivido dalle spire della mia essenza.
Colpa…
Ma di cosa?…
Non ricordo…
E tuttavia, obliando nella colpa, gli occhi della mia anima scrutano uno squarcio immenso creatosi in un cielo plumbeo. La luce mi folgora, atterrisce, scuote la mia oscurità; e poi, nell’inferno della mia follia, odo la voce soave di Colei che fu, che è e che sarà. Assaporo ogni parola; mi nutro di quella luce che, a me sembra, prende le fattezze di una Donna meravigliosa. Sublime creatura dal sorriso infinito, che dal tuo volto angelico traspare la gioia di un carattere indomito; gote di pregiata seta, sormontate da iridi opalescenti, dorati, che sanno di miele dolcissimo, nettare di divinità ormai dimenticate, specchiano tutta la loro ineguagliabile eternità dentro la nuda mortalità dell’essere che ero. Un lampo attraversa la mia coscienza; il ricordo sopravanza.
Il mio istante intriso d’eternità… Da…
Solo un bisbiglio, nulla più. Poi ripiombo al di là dei neri cancelli della dimenticanza. Rantolo di sofferenza, bramo il bagliore eterno di tal spirito femmineo, anelo il calore di quel corpo desiderato. Ad un tratto, però, tutto si spegne. Il freddo che opprime ammutolisce il pianto di cadaveri senza pace, figli della pena e cavalieri caduti da un mondo senza gloria. Un rombo di tuono echeggia tra quelle lande desolate, e io, preda del terrore, posso soltanto vibrare come una corda tesa di un violino distorto.
Non meriti lo splendore della bellezza senza fine! Non meriti la gioia eterna confinata nelle membra di cotanta magnificenza! Tu hai calpestato il fiore più bello che l’Eterno abbia mai generato, frutto della Sua stessa natura imperitura! E adesso perirai nella colpa e patirai per sempre tra le acque purpuree del castigo senza espiazione!
Almeno un’altra volta!
Provo a supplicare. Le sembianze di un Cavaliere Oscuro m’appare, e la mia ombra vacilla alla vista di uno Spadone scuro e smussato.
No! Nella colpa e nel dolore senza perdono!
Colpa…
Il flebile sibilo di ciò che mi resta si riempie finalmente del simbolo di un amore trucidato dal mio sterile egoismo; ed ecco che in me prende corpo la consapevolezza del mio peccato.
La Mela si è spezzata.
E nel mio ultimo cogitare, la Nera lama scaglia fendenti impietosi davanti a sé. Non reagisco. Non posso. Non voglio. Pago per quel che ho fatto, e la mia sorte si disperde in miliardi di minuscoli frammenti, brandelli che ora vorticano come cenere cosparsa in aria. Saluto l’esistenza con la visione degli occhi di Lei, grandi e misericordiosi, ma l’ultimo sorriso si spande fino a morire nel cammino di una speranza ormai tramontata. Nel mio viaggiare inerme e silenzioso, sento ancora qualcosa: lo sbatter violento di oggetti misteriosi. E poi, ancor più difficile da credere, avverto una mano afferrare il mio essere. Mi trascina sempre più su, come in un tunnel siderale trapuntato di lumi giallognoli. Il rumore incalza ancora, muta in terribile fracasso, e poi…
Spalanco le palpebre di colpo. Disorientato, impaurito, completamente piegato in due sul mio letto, patisco un tormento senza nome, una fitta che mi travolge e sconquassa. Vorrei urlare, ma non posso. La mia bocca, impastata e inaridita, emette soltanto vagiti incomprensibili; e mentre provo a drizzare la mia schiena imperlata di freddo sudore, le ossa scricchiolano, quasi mi fossi svegliato da un sonno millenario. Pian piano i miei sensi riaffiorano in quell’arcobaleno di riflessi cinerei che sfavillano in ogni anfratto della mia camera. Quel gran fragore, avvertito confusamente, era soltanto la porta sbatacchiata dal vento, che intanto era penetrato dalle imposte socchiuse. Tuttavia, nella mia testa rimbomba come un lugubre martello che smembra il cervello in mille frammenti gocciolanti. Perfino il tenue ticchettio dell’orologio sembra la punta di un coltello conficcato tra le budella. Continuo a rabbrividire, mentre i conati di vomito assaltano la mia sanità. Riesco a resistere, chiudo gli occhi e respiro. Un lungo alito di vita che mi restituisce un passato insudiciato dalla mia stupidità. Sospiro, gli occhi vitrei e inespressivi, fin quando una lacrima non solca la mia pallida guancia. Solo allora ho il coraggio di sussurrare:
Mi spiace. Ti amerò per sempre.
Troppo tardi. Le colpe, quando feriscono il cuore, non meritano riscatto. Nessun perdono, solo castigo. Mi alzo con questo pensiero impresso nella mente; esco a piedi scalzi sul balcone e ammiro sognante il cielo stellato. La luna, maestosa e luccicante, regna ancora incontrastata. La brezza della morente primavera fa frusciare il roseto del cortile di casa; il mio volto si dipinge di un sorriso amaro. E in quel momento vedo ancora l’amore racchiuso nel Suo sguardo.
Vivremo il nostro istante intriso d’eternità…
Io Cavaliere caduto…
Tu Principessa senza eguali…
Ghermito dalla mia volontà e imbevuto di una strana estasi interiore, salgo sul parapetto e inizio a librare…
Il vento accoglie il nome di ciò che ero, mentre le rose si colorano di sangue annerito…
Addio…