Ormai chiunque usi Internet sa bene quanto sia importante proteggere i dati personali. I rischi della rete sono ovunque e i criminali informatici sono sempre pronti a inventare nuovi modi per sottrarci le nostre informazioni. In realtà, chiunque usi la rete è sotto un doppio fuoco: non solo hacker, ma anche le stesse società che offrono i principali servizi della rete fanno il possibile per raccogliere il più grande numero di dati possibile.
Con oltre 5 miliardi di utenti attivi sulla rete e circa 4,6 miliardi sui social, le aziende si sono ormai tutte riversate nel web per trovare nuovi potenziali clienti. Interi business model si basano sulle vendite di prodotti e servizi su Internet, così come sempre più società investono sulla pubblicità in rete e sui social (viene stimato che circa 1/3 del budget di ogni azienda venga speso così). Ma quando usiamo la rete, quali sono i principali pericoli per i nostri dati?
Social network, il buco nero dei dati personali
I social network stanno vivendo un boom senza fine: gli utenti aumentano anno dopo anno e passano sempre più tempo sulle piattaforme social (un utente medio sta circa 2 ore e 27 minuti sui social ogni giorno). Eppure, nonostante i social siano diventanti imprescindibili per la vita di molte persone, vanno usati in modo oculato a salvaguardia della nostra privacy online.
I social network, essendo gratuiti, funzionano principalmente grazie a una sola cosa: i dati che raccolgono sui propri utenti (dati che spesso non cancellano nemmeno dopo l’eliminazione dell’account). Tutti questi dati vengono usati per ottimizzare l’algoritmo pubblicitario che si occuperà di mostrare le inserzioni e annunci delle aziende che pagano per la pubblicità.
Sui social chiunque condivide qualsiasi cosa e riempie il proprio profilo di dati sulla propria vita personale. Gli algoritmi sono in grado di profilare ogni utente, ovvero raccogliere sufficienti informazioni da comprendere cosa vuole e cosa cerca la persona quando usa i social. Questi algoritmi sono creati ad hoc per fare il cosiddetto effetto “bolla sui social”.
In pratica, gli algoritmi sono capaci di mostrare contenuti simili e che avranno maggiori chance di piacere agli utenti. L’obiettivo è infatti quello di tenere l’utente sulla piattaforma: quante volte vi siete ritrovati a “scrollare” all’infinito, perdendo la concezione del tempo? Gli algoritmi capiscono su quali contenuti ci soffermiamo di più e anche in quale momento della giornata.
Incrociando poi questi dati con tutta la mole di dati che raccolgono al di fuori delle app di social, oppure dati che vengono forniti dopo averli comprati da altri rivenditori (i cosiddetti data broker), questi algoritmi diventano dei software molto efficienti nel catturare l’attenzione degli utenti.
Smartphone, il dispositivo che sa tutto di noi
Oltre ai social, la grossa parte dei dati che generiamo quando usiamo la rete avviene sul nostro smartphone. D’altronde, si tratta di uno dei dispositivi digitali più usati ovunque nel mondo: a casa, fuori a lavoro o scuola, quando si viaggia per piacere o per lavoro. Non ci separiamo mai dal nostro smartphone, così come da tutti i relativi accessori, e comportandoci così, generiamo un sacco di dati.
Molte app, infatti, tracciano l’utilizzo che facciamo del nostro telefono non solo all’interno delle app stesse, ma pure al di fuori. Per esempio, le app (inclusi i social) possono sapere quali app apriamo sul nostro telefono, quando le apriamo e per quanto le usiamo ogni giorno.
Per non parlare poi dei dati raccolti sulla geolocalizzazione ed eventuali dati (e metadati) dalle foto e video che effettuiamo con i nostri smartphone. Su Internet, veniamo profilati e seguiti a vista d’occhio grazie ai cosiddetti “cookies”: i siti che visitiamo, quanto li usiamo, cosa ci facciamo e cosa acquistiamo. Tutti questi dati vengono poi incrociati fra loro e usati spesso per fini pubblicitari, ovvero per creare degli annunci mirati alle nostre esigenze e capaci di farci cliccare su tali annunci.
Cosa possiamo fare per limitare la raccolta dei dati?
Il termine adatto è proprio “limitare” e non “bloccare”: è praticamente impossibile usare Internet e i suoi servizi senza lasciare qualche dato qua e là che viene prontamente raccolto e archiviato. Di base, ogni servizio (e soprattutto i social) permette di modificare le impostazioni sulla privacy. Non parliamo solo di togliere l’iscrizione alle newsletter, per esempio.
Sui social si può rendere privato il profilo, limitare chi può vedere le cose che pubblichiamo e chi può interagire con noi, così come si può nascondere il nostro profilo dalle ricerche su Internet e pure limitare fortemente la raccolta dei dati per fini pubblicitari. Anche le app sugli smartphone forniscono le stesse impostazioni.
Non solo, alcuni sistemi operativi, come iOS, hanno iniziato a mostrare degli avvertimenti per ogni app installata, chiedendo direttamente agli utenti se vogliono permettere all’app di tracciare l’attività al di fuori dell’app stessa. È possibile anche bloccare la geolocalizzazione delle app, rendendola possibile solamente quando si aprono e usano le app in questione.
Invece Android raccoglie molte più dati rispetto a iOS, anche se pure qui esistono delle impostazioni da poter usare per limitare la raccolta. Altre misure che possiamo mettere in atto è bloccare il tracciamento su Google per non fornire gli annunci mirati, così come anche su YouTube.
Vale poi la solita regola d’oro di non lasciare la propria e-mail in giro per Internet, o il proprio numero di telefono, altrimenti dei bot automatici potrebbero raccogliere tali dati e poi fornirli a chi sta usando il software (spesso e volentieri gruppi di criminali informatici oppure grosse società di data broker, che si occupano di raccogliere, impacchettare e poi vendere tali dati al migliore offerente).