Surreali macchine sceniche ed incursioni artistiche, volte a valorizzare gli spazi cittadini dimenticati dagli abitanti, o avvolti nel degrado. Questo è Theatre en vol, compagnia teatrale nata nel 1989, dall’unione artistica tra Puccio Savioli e Michèle Kramers, formatasi ufficialmente nel 1991. Dal 1992, Theatre en vol diventa una cooperativa, a dimostrazione del fatto che l’arte può essere una professione a tutti gli effetti. Attorno alla compagnia, ruotano diversi collaboratori che curano le fasi di progettazione, amministrazione o l’organizzazione di spettacoli specifici. Spesso vengono coinvolti anche artisti che provengono dalle arti visive, dalla musica, dalla danza, dalla performing art, collaborazione importante per comunicare l’essenza di un messaggio al pubblico. Abbiamo incontrato Puccio Savioli e Michèle Kramers, che ci hanno gentilmente ospitato nella loro sede di Sassari.
Come nasce Theatre en vol?
La compagnia si è sempre occupata di arte di strada, teatro per spazi urbani e per siti specifici. Theatre en vol, nasce dal teatro di gruppo che, in Italia negli anni ’70, è stato fortemente influenzato dal lavoro di Jerzy Grotowski (una delle figure di spicco dell’avanguardia teatrale del Novecento). Altre influenze arrivano da Peter Brook (regista teatrale e cinematografico britannico) e Julian Beck (attore e regista statunitense). Theatre en vol ha come obiettivo quello di confrontarsi col mondo attuale e con quello che accade intorno a noi, rivolgendosi alle urgenze che sentiamo in quanto essere umani, artisti ed esseri sociali. Come diceva Picasso, l’artista non deve chiudersi in una torre d’avorio ma deve confrontarsi con la realtà.
Come nascono i vostri spettacoli?
All’interno di ogni spettacolo c’è sempre stato un tema che ci tocca da vicino, e che sentiamo come un’urgenza sulla quale esprimerci con un messaggio poetico ed effimero. I nostri lavori nascono sull’onda delle nostre esperienze, e sono l’espressione della nostra vita. Non partiamo quasi mai da un testo da mettere in scena, ma arriviamo a confezionare una drammaturgia sulla scorta del nostro bisogno di comunicare qualcosa.
Qual è stato il vostro primo spettacolo?
Si intitola Lassù le ali non hanno ruggine. Il suo tema principale è il volo, come metafora della libertà. Ci siamo ispirati molto alle invenzioni di Leonardo Da Vinci, perché lo spettacolo mette in scena un museo ambulante di macchine volanti. All’interno di questo museo, attraverso l’azione scenica, viene proposta una riflessione su cosa significa libertà nel mondo di oggi, e se tutti noi siamo disposti ad accettare certi sviluppi aberranti derivanti dal progresso, che limitano la libertà dell’uomo. In questo spettacolo compaiono le nostre macchine sceniche, e viene fuori anche il loro aspetto estetico grottesco e surreale.
Quali sono e come nascono le vostre macchine sceniche?
Nella drammaturgia, le macchine sono delle vere e proprie protagoniste a tutti gli effetti. Sono nate prima quelle di Lassù le ali non hanno ruggine, poi nel corso degli anni, se ne sono aggiunte altre. Dal Ferricottero, elegante e futuribile pterodattilo meccanico, alla Suonatrombe, assemblaggio semovente di congegni sonori, al Creatore delle nuvole, fino all’Armonizzatricìclo, macchina nata per essere assemblata in scena, e suonata come uno strumento da un gruppo di quattro percussionisti. Le macchine nascono da alcuni miei studi plastici ed estetici – racconta Puccio – e sono assemblate con materiali di recupero, soprattutto ferro.
Raccontateci di alcuni dei vostri interventi artistici.
In Danimarca abbiamo lavorato in un quartiere abitato da immigrati e rifugiati, dove esisteva un forte fenomeno di ghettizzazione. Il comune ci ha incaricati di realizzare un progetto per riqualificare e valorizzare la zona, creando un contesto vivibile, affinché gli abitanti potessero tornare a scoprire quei quartieri. È quello che abbiamo cercato di fare qui a Sassari, durante le ultime edizioni di Girovagando dove la parola d’ordine del festival è convivenze. Abbiamo lavorato sulla mutazione urbana e sul cambiamento della composizione della popolazione: iniziammo con Gli Alieni, che era una parata con persone tutte dipinte di rosa, che voleva sensibilizzare sul tema della mutazione urbana attraverso la multiculturalità. Da allora abbiamo cercato di sviluppare questo concetto secondo diverse declinazioni: quest’anno caos e armonie, l’anno scorso generazioni e rigenerazioni.
Cosa sono Habitat Immaginari e Sogni a Spazi Aperti?
Habitat Immaginari nasce nel 2006 come un convegno di confronto tra urbanisti, architetti, con ospiti da tutte le nazioni europee. Si era tenuto nel vecchio Padiglione per l’artigianato. Qui abbiamo disquisito di come la cultura possa influenzare le scelte urbanistiche. Sull’onda di queste riflessioni, è diventato, poi, il laboratorio permanente che conosciamo oggi, con diverse evoluzioni come la street falegnameria e con la modifica di spazi urbani, di carattere effimero. Questo laboratorio trova spazio sempre all’interno di Girovagando.
Se Girovagando è concepito per essere inserito in un contesto urbano, Sogni a Spazi Aperti è stato un festival itinerante che girava per i piccoli paesi della Marmilla. Lo scopo era sempre quello di rivalutare e valorizzare i paesi di una zona della Sardegna molto bella e interessante dal punto di vista ambientale e archeologico, con spettacoli, laboratori di formazione, laboratori artistici che potessero coinvolgere la popolazione. Purtroppo l’esperienza è durata solo cinque anni, per mancanza di fondi da parte dell’amministrazione pubblica.
La scorsa primavera avete portato in giro per la Sardegna “Il Vento”. Di cosa si tratta?
È uno spettacolo molto intenso perché cerchiamo sempre di toccare lo spettatore a livello emotivo. Nasce da un incontro casuale con Gavina Cherchi, docente dell’Università degli Studi di Sassari, che ci ha fatto entrare in contatto con il suo racconto Il viaggio più lungo, riguardante suo zio Gavino Cherchi, partigiano ucciso alla vigilia della Liberazione. Abbiamo deciso di lavorare su quel testo ed è nato Il Vento. Si tratta del primo caso in cui realizziamo uno spettacolo partendo da un testo, grazie a Maria Paola Cordella, che ha fatto un ottimo lavoro di drammaturgia. Lo spettacolo narra una storia strettamente legata ai temi della libertà di pensiero ed espressione, della solidarietà e della democrazia.
Il prossimo anno Theatre en vol compirà 30 anni. Come vi piacerebbe festeggiare?
Sarebbe bello poter organizzare un grande evento, magari invitando tutti gli amici per festeggiare insieme, come si faceva una volta. Tempo fa, durante i festival, si usava invitare diverse compagnie che poi collaboravano per concludere il festival con uno spettacolo collettivo. Riuscire a fare una cosa del genere sarebbe bellissimo.
Quali sono i prossimi eventi in programma?
Il 7 e l’8 dicembre saremo a Bortigiadas dove cercheremo di lavorare sul tema della convivenza. Il 22 dicembre saremo a Sennori con Habitat in gospel, in collaborazione con Narcao Blues, festival dove faremo una rassegna di gospel, unita al contesto di Habitat Immaginari.
Per restare informati sui prossimi eventi e sulle attività di Theatre en vol potete visitare il sito theatrenvol.org oppure la pagina Facebook della compagnia.