Le pellicole candidate all’Oscar come miglior film d’animazione, svelate dall’Academy durante la cerimonia dell’ 8 febbraio, raccontano storie molto diverse, per genere e ambientazione, ma sono accomunate da alcuni temi portanti, declinati secondo modalità differenti ma complementari. “Luca”, “Encanto”, “Raya e l’ultimo drago”, “I Mitchell contro le macchine” e “Flee”, infatti, portano sullo schermo cinque famiglie, cinque comunità le cui qualità particolari influiscono sulle storie dei personaggi principali, che avvertono la necessità di intraprendere la propria strada nella vita e si confrontano con le proprie origini.
Luca. Nel film di Enrico Casarosa, prodotto da Disney Pixar, è la famiglia di mostri marini Paguro a vivere una crisi; il giovane Luca vuole scoprire il mondo e esplorare la superficie, ma si scontra con le paure dei genitori, che vorrebbero trattenerlo sott’acqua, nei fondali sicuri del Mar Ligure. Grazie all’incontro con un altro mostro marino, Alberto Scorfano, e con la grintosa Giulia, Luca trova il coraggio di vivere l’avventura che ha sempre desiderato, tra gare di nuoto e ciclismo, alla conquista di una fantastica, vecchia Vespa che, nell’Italia da cartolina del 1959, rappresenta la libertà. Con la sua ribellione, Luca riesce a far capire alla famiglia i propri desideri: in questo modo abbraccia pienamente la sua diversità, pronto a iniziare una nuova vita.
Encanto. Musical targato Disney Pictures e ambientato in Colombia, vede tra gli sceneggiatori Lin-Manuel Miranda, autore delle canzoni insieme al compositore Germain Franco, e racconta la vicenda della famiglia Madrigal, guidata con piglio energico dalla nonna “Abuela” Alma. I Madrigal posseggono dei doni speciali, quasi dei super-poteri, che mettono a disposizione della comunità di Encanto, sorta intorno alla magica “casita” di famiglia, un’abitazione dotata di volontà propria. L’unico membro della famiglia sprovvisto di talento sembra essere Mirabel, che pur impegnandosi per trovare il suo “posto nel mondo”, viene costantemente messa in disparte da Abuela. La ragazzina, però, svela la crisi profonda vissuta dai Madrigal, costantemente sottoposti da Abuela alla pressione di soddisfare le aspettative legate ai loro poteri. Nello scontro generazionale che ne deriva, Mirabel comprende il passato doloroso della nonna, che a sua volta apre il suo cuore alla nipote, liberando finalmente la famiglia dal fardello dei ruoli precostituiti. Candidato all’Oscar anche per la miglior canzone, “Dos Oruguitas”, e la colonna sonora.
Raya e l’ultimo drago. Ancora una produzione Disney Pictures, per questa pellicola fantasy di Don Hall e Carlos López Estrada, ambientata nel regno immaginario di Kumandra; la famiglia, in questo caso, è innanzitutto la comunità da ricostruire, dopo essere stata distrutta dalla guerra in cui sono periti i draghi, che assicuravano prosperità e unità al paese. Sono le giovani generazioni a scontrarsi, memori dei retaggi del passato: Raya del regno di Cuore è stata cresciuta dal padre nel desiderio di pace, mentre Namaari di Zanna, ispirata da sua madre, desidera vendetta per il proprio popolo; il risveglio di Sisu, l’ultimo drago salvatosi dopo la devastazione della guerra, è la chiave che consente alle ragazze di dialogare per costruire la pace e riunire Kumandra.
I Mitchell contro le macchine. Coproduzione Columbia e Sony Pictures, questa pellicola di fantascienza diretta da Mike Rianda e Jeff Rowe racconta, in particolare, lo scontro padre-figlia che sconvolge gli equilibri della famiglia Mitchell. Ambientato tra il Michigan e la California, in un futuro dominato dai robot, il film vede opporsi Rick, padre amante della natura e contrario all’utilizzo pervasivo della tecnologia, a sua figlia Katie, che è in partenza per studiare alla scuola di cinema; durante il viaggio verso il college, i Mitchell scampano alla cattura dei robot controllati dall’intelligenza artificiale PAL e si ritrovano a dover collaborare per salvare l’umanità dalla schiavitù delle macchine. In questo contesto, Rick e Katie hanno occasione per ascoltarsi senza pregiudizi di “ruolo” e per comprendere l’uno le ragioni dell’altra.
Flee. Il docudrama danese, diretto da Jonas Poher Rasmussen, racconta la storia di Amin Nawabi che, in procinto di sposarsi con il suo compagno e di costituire così un nuovo nucleo familiare in Danimarca, sente il bisogno di riallacciare i fili del proprio passato, svelando i dettagli della sua fuga dall’Afghanistan funestato dalla guerra. La famiglia d’origine, abbandonata per cause di forza maggiore, si lega così alla famiglia che è tratteggiata nel futuro di Amin, per diventare un tutt’uno con essa, senza paura o vergogna. Candidato all’Oscar anche come film straniero e miglior documentario, il film mescola l’animazione all’utilizzo di materiale fotografico e video.
Sembra evidente, da questo breve excursus, che per i film d’animazione l’Academy abbia puntato su un tema che ben si adatta al momento storico attuale: dopo due anni di pandemia, la riflessione su origine-famiglia-identità, seppur proposta attraverso generi e stili narrativi differenti, appare come un incoraggiamento all’introspezione, a trovare la forza dentro se stessi, mettendo in discussione le proprie radici per assorbire ciò che di buono hanno donato. La famiglia allora può essere cantata e trasformarsi in un video virale, in cui i tiktokers replicano le coreografie di Encanto; può essere un limite a cui sfuggire per definire il proprio “io”, come per i Paguro o i Mitchell; può essere una comunità da ricostruire, come per Raya e Namaari, o da ritrovare per affrontare serenamente il futuro, come per Amin Nawabi: in ogni caso, la famiglia rappresenta una parte fondamentale della “storia”, poco importa che i suoi componenti abbiano le fattezze un po’ spaventose di un mostro marino.