Il regista Mike Flanagan torna al cinema e riparte da Stephen King. Si potrebbe dire, e sarebbe in parte vero, che riparte esattamente là dove si era fermato, visto che il suo ultimo film -datato 2019- è stato l’adattamento del romanzo “Doctor Sleep”, seguito di “The Shining” firmato proprio da King. Negli ultimi 5 anni, tuttavia, Flanagan ha scritto e diretto alcune tra le serie horror più riuscite e di successo sulla piattaforma Netflix – “The Haunting”, “Midnight Mass”, “The Midnight Club“ e “La caduta della casa degli Usher”- intessendo la propria, riconoscibile poetica tra le trame di racconti di genere, sia originali che ispirati a scrittrici e scrittori come Shirley Jackson e Edgar Allan Poe, capaci di sondare nel profondo l’animo umano, tra gli abissi più oscuri del male e le vette più luminose della speranza.
C’è dunque grande attesa per il ritorno al cinema, e a Stephen King, con “The Life of Chuck”, pellicola in uscita nelle sale il 18 settembre, ispirata al racconto omonimo pubblicato nella raccolta “Se scorre il sangue – If It Bleeds” (2020): si narra, in tre atti distinti, la storia di un uomo comune, così viene definito il protagonista, Charles Krantz, da tutti chiamato Chuck, a cui presta il volto Tom Hiddleston. Il pubblico, così come i lettori del racconto, si ritrova catapultato nella vita di Chuck senza troppe coordinate di riferimento, perché la storia non procede secondo una prospettiva cronologica lineare, ma piuttosto a ritroso, almeno per Chuck; così, nel primo atto, forse il più enigmatico, la vita del protagonista è al tramonto, mentre il mondo appare ferito da sconvolgimenti climatici e astronomici irreversibili e una coppia divorziata, formata da Felicia (Karen Gillan) e Marty (Chiwetel Ejiofor), si interroga sulla fine del proprio amore.
Nel secondo atto, Chuck scatena la propria passione -e il proprio talento- per il ballo: dopo essere uscito da un convegno di contabili, si lascia infatti trasportare dall’energia di una batterista di strada e comincia a ballare, coinvolgendo nella sua gioiosa danza anche uomini e donne sconosciuti e una fanciulla, in particolare, preda di una grande tristezza. Infine, nel terzo atto, Chuck (Jacob Tremblay) ha poco più di dieci anni ed è da poco rimasto orfano; a prendersi cura di lui sono i nonni paterni, Albie Krantz (Mark Hamill) e Sarah Krantz (Mia Sara), che lo crescono con affetto nella loro bella casa, incoraggiandolo a superare il dolore per la perdita subita e a coltivare i propri talenti, compreso quello per la danza. C’è solo una regola che su cui i nonni non transigono con Chuck: non dovrà mai entrare nella cosiddetta “cupola”, una misteriosa stanza chiusa a chiave, che nasconde un grande, pericoloso segreto.
Com’è facile intuire, spetta al pubblico ricostruire, se possibile, la storia di Chuck e coglierne il significato profondo; il protagonista sembra muoversi in una sorta di distopia, in un futuro prossimo che tuttavia, visivamente, ha degli spiccati tratti vintage. Indipendentemente dagli aspetti più misteriosi e inquietanti della vicenda, è il senso stesso della vita a essere messo al centro della narrazione: una vita, quella di Chuck, che non tiene conto del tempo in senso stretto o ordinario, ma che rappresenta un invito a “cogliere l’attimo” e a non sottovalutare l’importanza di ogni singolo momento, e incontro, sul nostro cammino.
Non è un caso, dopotutto, che il terzo atto del racconto sia intitolato “Contengo moltitudini”: è la citazione di un celebre verso del poeta Walt Whitman, che, nel “cantare se stesso”, cantava la vita e la libertà, nelle loro infinite declinazioni; “The Life of Chuck” sembra dunque muoversi con grazia tra linguaggio letterario -narrativa e poesia- e cinematografico, ma anche tra generi diversi, dalla fantascienza al musical, dalla commedia al dramma.
Mike Flanaghan, che oltre ad aver portato su grande schermo “Doctor Sleep” ha firmato anche l’adattamento di un altro celebre libro di King, “Il gioco di Gerald”, si trova forse alle prese con la sfida più complessa della propria carriera: mantenere l’equilibrio tra mistero e bellezza, inquietudine e follia, gioia e lacrime, così come ha magistralmente fatto Stephen King nel suo racconto.
































