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Attilio Cubeddu: i reati, la fuga e la misteriosa sorte dell’attuale ricercato numero uno al mondo tra i latitanti italiani

Tra i responsabili di alcuni dei principali sequestri che sconvolsero l'Italia negli anni '80 e '90, la primula rossa di Arzana ha fatto perdere le sue tracce 26 anni fa, dopo non essere rientrato da un permesso premio nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros

di Raffaella Piras
24 Gennaio 2023
in Sardegna
🕓 4 MINUTI DI LETTURA
198 11
Attilio Cubeddu
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Lunedì 16 gennaio 2023, giorno dell’arresto del super boss Matteo Messina Denaro dopo trent’anni di latitanza, è una data che resterà nella storia come la grande vittoria ottenuta dallo Stato italiano nella lotta contro la mafia.

Ma se è vero che, come ogni storia che si rispetti, c’è un inizio ed una fine, quella giornata di libertà ha purtroppo segnato l’inizio di un nuovo primato per la Sardegna. Da quel giorno, infatti, l’Isola si trova in cima alla lista stilata dal Ministero dell’Interno per la ricerca dei criminali latitanti indicati come “di massima pericolosità” e formata da quattro nomi: Giovanni Motisi, membro mafioso di Cosa nostra, Renato Cinquegranella, appartenente alla Camorra, Pasquale Bonavota della ‘Ndrangheta e, al primo posto, Attilio Cubeddu, esponente dell’Anonima sarda.

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Un anno fa Graziano Mesina iniziava la sua ultima latitanza

Chi pensava che con l’arresto definitivo dell’ex primula rossa del Supramonte, Graziano Mesina, – avvenuto nella notte del 18 dicembre 2021 a Desulo, in provincia di Nuoro, ad opera dei carabinieri del Ros, – fosse definitivamente archiviata l’era del banditismo sardo, non aveva fatto i conti con la presenza di quest’altro criminale ancora in fuga e diventato ora il ricercato italiano numero uno al mondo.

Nato nel 1947 ad Arzana, un paese dell’entroterra dell’Ogliastra con meno di 2500 abitanti, – lo stesso dell’altro bandito, recentemente scomparso, che si diede alla latitanza per ben 31 anni, Pasquale Stochino, – l’ormai 76enne Cubeddu pare essere diventato un fantasma. L’unica certezza è che da quel 7 febbraio del 1997, quando non fece rientro da un permesso premio nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros, quello che fu definito un “detenuto modello” è svanito nel nulla. 

Una carriera criminale iniziata da giovanissimo per l’arzanese che, dopo vari precedenti penali, raggiunse il culmine entrando a far parte dell’Anonima sequestri. Nel 1981 fu accusato di aver partecipato, in Toscana, a Montepulciano, al sequestro della diciassettenne Cristina Peruzzi, liberata dopo 25 giorni dietro il pagamento di un riscatto da parte della famiglia. Due anni dopo, nel 1983, in Emilia Romagna, prese parte, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, ai rapimenti di altre due giovani, Ludovica Rangoni Machiavelli e Patrizia Bauer, anche loro liberate grazie al pagamento di un riscatto. Dopo essersi dato alla fuga, Attilio Cubeddu fu arrestato nell’aprile del 1984 a Riccione e condannato per questi crimini a 30 anni di carcere, che iniziò a scontare nella casa circondariale di Badu ‘e Carros prima di darsi di nuovo alla latitanza approfittando, appunto, di uno dei permessi premio.

Una fuga probabilmente pianificata per partecipare ad uno dei più noti sequestri di persona a scopo di estorsione degli anni ‘90, quello dell’ormai defunto industriale di Manerbio, Giuseppe Soffiantini, del quale proprio Cubeddu fu il carceriere insieme a Giovanni Farina. Avendo ricevuto un’altra condanna a 30 anni di carcere, mai scontati, il super latitante fu invece assolto definitivamente nel dicembre 2017 dall’accusa di un coinvolgimento nella morte dell’ispettore dei Nocs Samuele Donatoni, rimasto ucciso in occasione di un conflitto a fuoco con i rapitori di quel clamoroso sequestro. Infine, venne incluso tra gli indiziati, ma mai formalmente incriminato, per aver avuto un ruolo anche nel sequestro di Silvia Melis, rapita a Tortolì sempre nel febbraio 1997.

Attilio Cubeddu

Dal 1998, terminata la stagione dei sequestri che hanno funestato gli anni ’80 e ’90, Attilio Cubeddu è ricercato in campo internazionale. Nel 2012 la Procura di Lanusei riaprì le indagini, convinta della sua presenza proprio in Ogliastra, tanto che furono indette una serie di ricerche in una vasta area, senza però trovare alcuna traccia dell’uomo.

Nel 2018 l’ultima novità, i Carabinieri del Ros, in esecuzione di un decreto della Corte d’Appello di Roma, hanno confiscato ad Arzana una palazzina di quattro piani del valore stimato di circa 400mila euro, edificata, secondo gli inquirenti, grazie ai proventi derivanti dalle attività illecite condotte dal latitante e dove vivono la moglie e le figlie, che hanno ricevuto la notifica dello sfratto nel novembre 2022. “È giusto che chi sbaglia paghi per le sue colpe – aveva commentato così la notizia l’ex sindaco di Arzana, Marco Melis -, ma mi rattrista il fatto che le figlie e i nipoti di Attilio Cubeddu stiano pagando per delle colpe che non hanno. Posso dire con certezza che le figlie di Cubeddu e i loro compagni sono persone oneste, che hanno fatto il loro percorso, lavorano e hanno una famiglia. Purtroppo, sono costrette a vivere con lo spettro del padre e questo mi dispiace molto”.

In questi lunghi 26 anni di silenzio, sulla sorte di questa primula rossa sono state fatte diverse ipotesi: che sia morto proprio in occasione della spartizione dei soldi del sequestro Soffiantini, che sia fuggito in Sud America o che sia ancora nascosto, grazie all’aiuto di fiancheggiatori, nelle campagne dell’Ogliastra che lui conosce come le sue tasche. Certo è che, se con l’arresto di Matteo Messina Denaro è caduto nella rete l’ultimo degli stragisti, ora manca all’appello l’ultimo grande nome della buia pagina dei sequestri di persona che ha visto la Sardegna balzare spesso agli onori delle cronache, ma sul quale continua ad aleggiare un fitto mistero.

Tags: Anonima sardaArzanaAttilio Cubeddubanditismolatitanti
Raffaella Piras

Raffaella Piras

“Presentalo brevemente così che possano leggerlo, chiaramente così che possano apprezzarlo, in maniera pittoresca che lo ricordino e soprattutto accuratamente, così che possano essere guidati dalla sua luce”. (Joseph Pulitzer)

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