Ha spaccato l’opinione pubblica la recente proposta dell’assessore regionale al turismo, Gianni Chessa, che prevede l’uso dei costumi sardi da parte dei camerieri nei locali dell’isola, per incentivare il turismo, fiaccato dalla crisi pandemica, e allo stesso tempo riportare in auge la tradizione dei costumi. «Gli abiti della tradizione in ristoranti e bar, opportunamente rivisitati con tessuti più vestibili. Bando pronto entro l’anno» queste le parole dell’assessore che è pronto a inserire la proposta in quella già predisposta per l’istituzione di un registro di piatti tipici sardi.
Chessa si ispira ai modelli sloveni e sudtirolesi, dove abitualmente i camerieri servono ai tavoli con i costumi tradizionali.
Apriti cielo! La proposta ha diviso in maniera netta i sardi, tra i conservatori ben felici di sfoggiare i loro simboli, e i più moderni, dai giovani ai molti lavoratori del settore, che l’hanno giudicata senza mezzi termini una carnevalata. Senza dimenticare l’ilarità che ha scaturito sui social attraverso diversi meme.
Qualcuno però ha anche cercato di trovare una sintesi, come il coordinatore per la sezione del nord Sardegna di Confesercenti, Enrico Daga, che riconoscendo l’intuizione di Chessa ha lanciato la propria proposta di una nuova divisa per i camerieri che riporti simboli stilizzati della Sardegna, e la diffusione nei locali di musica tradizionale sul modello degli esotici “Buddha bar”.
Le idee di Chessa e Daga insomma creerebbero scenari del tutto nuovi, immaginatevi un domani nella centralissima Piazza Yenne a Cagliari, con l’imbarazzo di scegliere il locale in cui fare aperitivo, tra quello in cui si suonano le launeddas o quello da cui proviene il canto a tenore, serviti da camerieri affaticati a dribblare tra i tavoli, con indosso ingombranti e scomodi costumi tradizionali. Uno scenario certamente esotico e suggestivo per i turisti, ma forse ridondante e nauseante per il resto dei cittadini e soprattutto per i giovani.
Ma l’assessore al turismo è noto per le sue tanto lungimiranti quanto criticate proposte, da quella di formare gli edicolanti per farli diventare operatori turistici, all’app ‘Sardinia’ per la scoperta dell’isola a 360° che, finanziata coi soldi pubblici, doveva essere pronta entro quest’estate ma della quale non si è vista traccia. In Consiglio comunale a Cagliari qualche anno fa sognava il modello ricettività di Rimini e Riccione lungo i cinque chilometri del Poetto, eliminando l’ippodromo comunale e “spostando” i fenicotteri di Molentargius, l’area umida protetta che circonda la città alle spalle dell’arenile. Mentre il vicino promontorio di Calamosca sarebbe stato ideale per ospitare un parco acquatico con scivoli a mare. Un uomo, tante utopie.
Il lato positivo della proposta sarebbe quello di creare una sorta di enorme museo vivente dislocato e H24, che probabilmente sarebbe anche gradito ai turisti. Ma che allo stesso tempo sarebbe negativo per i cittadini, che vedrebbero la Sardegna assimilata ad una grande e grottesca vetrina progettata su misura per il turista ma scomoda per gli stessi sardi, che si vedrebbero ridotti ancora a degli stereotipi antichi e grossolani, dimostrando la mancanza di modernità e spontaneità. Senza dimenticare la fatica dei camerieri costretti a lavorare in costumi compositi che, per quanto possano essere di tessuto più leggero, risulterebbero sempre scomodi e inadeguati per il lavoro della ristorazione.
Altrimenti provi l’assessore stesso a fare una giornata di lavoro con un costume tipico femminile composto da camicia, corpetto, giubbetto, gonna, fazzoletto, scialle… Provare per credere!