Nella primavera del 2020, a pochi mesi dall’inizio della pandemia causata dal coronavirus che sconvolse la vita e l’economia della stragrande maggioranza della popolazione mondiale, si parlava già della corsa al vaccino anti Covid-19. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’ONU e vari Capi di Stato e di Governo, come il Presidente francese Macron e il Cancelliere tedesco Angela Merkel, affermavano che c’era la necessità di unire le forze e di considerare il vaccino come un bene comune universale da rendere disponibile in tutto il mondo, ma in realtà era cominciata una battaglia tra le varie potenze per arrivare prima delle altre alla scoperta di quello che è sempre stato visto come l’unico rimedio possibile per contrastare il coronavirus.
L’11 agosto del 2020, il Presidente russo Vladimir Putin annunciò al mondo che il suo Paese aveva registrato il primo vaccino contro il coronavirus e che era stato provato su sua figlia Maria, un medico endocrinologo di 35 anni. Il nome scelto da Putin per questo vaccino è stato quello di Sputnik V, nome tratto da quello della missione spaziale, grande successo sovietico del 1960, in cui, per la prima volta nella storia, un satellite artificiale portò in orbita attorno alla Terra due cani, riportandoli poi sani e salvi il giorno dopo. Così l’iniziale dominio sulla corsa allo spazio ottenuto dall’Unione Sovietica viene equiparato a quello della corsa alla creazione di un vaccino contro il Covid-19, corsa in cui Putin dichiara di essere arrivato primo.
Il vaccino russo fu da subito sommerso da una pioggia di critiche. Nature, il più autorevole giornale scientifico al mondo, parlò di una mancanza completa di dati, di informazioni e di una sperimentazione di massa, tutti elementi che potevano essere di ostacolo nella ricerca di un vaccino efficace.
Nonostante gli scetticismi, ad oggi, marzo 2021, lo Sputnik è stato approvato e viene utilizzato non solo in Russia, ma anche in altri 38 Paesi del mondo. Questo vaccino prevede la somministrazione di due dosi, tra le quali deve intercorrere un lasso di tempo di 21 giorni, proprio come previsto per i vaccini di Pfizer, Moderna e AstraZeneca, attualmente infatti l’unico vaccino monodose è quello di Johnson & Johnson. Il prodotto si basa su due adenovirus, cioè su due virus diversi disattivati, uno per la prima e l’altro per la seconda dose. Grazie all’inoculazione di una porzione modificata del Dna di questi due vettori virali l’organismo sarà in grado di produrre la proteina Spike e gli anticorpi in grado di distruggerla, dunque sarà in grado di dare una risposta immunitaria contro il coronavirus. Si tratta perciò di un vaccino che sfrutta la tecnologia dei vaccini tradizionali, proprio come quelli di AstraZeneca e di Johnson & Johnson, e non quella dell’RNA messaggero come accade invece con i vaccini di Pfizer e Moderna
L’efficacia del vaccino russo è stata testata al 92% e si conserva più facilmente rispetto ai meno 70 gradi e ai meno 20 gradi richiesti rispettivamente per i vaccini di Pfizer e di Moderna, prevedendo infatti una conservazione ad una temperatura compresa tra i 2 e gli 8 gradi esattamente come per AstraZeneca e Johnson & Johnson.
In base ai dati di uno studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet, il vaccino russo a doppio vettore virale sembra sicuro, la sperimentazione condotta su circa 20 mila volontari ha permesso di rilevare come solo lo 0,1% dei soggetti che hanno ricevuto il vaccino hanno sviluppato la malattia sintomatica, e gli effetti collaterali registrati sono riconducibili a eventi paragonabili a quelli degli altri vaccini.
Nonostante i dati confortanti e l’evidente carenza di dosi di vaccini in tutta l’Europa, l’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, non ha al momento concesso l’autorizzazione per la somministrazione in Europa dello Sputnik V. Proprio per questo motivo ha destato stupore la notizia, comunicata il 9 marzo dalla Camera di Commercio Italo-Russa, che l’Italia sarà il primo Paese in Europa a produrre il vaccino russo. È stato infatti firmato un accordo tra il fondo governativo Russo e la società italo-svizzera Adienne Pharma & Biotech di Caponago, in Brianza, per far partire la produzione, proprio a Caponago, già dal prossimo mese di luglio. L’accordo prevede che entro la fine dell’anno verranno prodotte 10 milioni di dosi.
Immediata è stata la reazione della Commissione UE che ha dichiarato: “Attualmente lo Sputnik V non rientra nella nostra strategia”. Questo significa che se uno degli Stati membri dell’Unione Europea concede l’approvazione allo Sputnik la responsabilità ricadrà sullo Stato membro e non sulla azienda.
La regione Lombardia, il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero degli Esteri dal canto loro hanno subito precisato di non essere stati informati di questo accordo e che l’Italia si muove in linea con l’Unione Europea. Si tratta dunque di un mero accordo privato.
Di “intesa storica” ha invece parlato il Presidente della Camera di Commercio Italo-Russa, Vincenzo Trani, che ha sottolineato come “le imprese italiane sanno vedere oltre le polemiche politiche”.