Nel cuore della città di Cagliari si trova un luogo dove le ombre del passato convivono con la luce del presente. Un posto che custodisce una storia fatta di contrasti, in cui il dolore protagonista dei decenni passati è ancora impresso nella memoria collettiva, nonostante abbia lasciato spazio al cambiamento e alla rinascita.
Protagonista di questa trasformazione è Monte Claro, uno dei più grandi parchi cittadini, che si estende per 25 ettari nella periferia orientale di Cagliari, ai piedi del colle da cui prende il nome.
Sulla sommità del colle sorge Villa Clara, un’elegante villa storica che oggi ospita la prestigiosa Biblioteca Metropolitana “Emilio Lussu”, intitolata al noto scrittore e politico sardo. La villa è accessibile anche dal lato ovest della città, attraverso via Romagna, dove si trova la “Cittadella della Salute”, realizzata negli edifici che un tempo ospitavano l’ospedale psichiatrico della città, costruito alla fine dell’Ottocento.
A Cagliari, fino al 1858, le persone affette da disturbi psichiatrici erano spesso abbandonate a se stesse o confinate in due stanze ricavate nei sotterranei dell’antico ospedale civico di Sant’Antonio Abate. Nel 1859, con l’apertura del nuovo ospedale civile “San Giovanni di Dio”, venne istituita al suo interno anche una clinica psichiatrica. Tuttavia, il manicomio del capoluogo fu inaugurato solo nel 1892 sotto la direzione del Professor Sanna Salaris. Infatti, per far fronte alle crescenti esigenze, l’amministrazione dell’ospedale civile prese in affitto una tenuta agricola nella località di Monte Claro, destinando l’edificio che un tempo apparteneva al banchiere Pietro Ghiani Mameli, già conosciuto come Villa Clara, a residenza del direttore e della sua famiglia. Gli orti e le vigne già presenti furono preservati, mentre i rustici della tenuta vennero trasformati in stalle, magazzini e alloggi.
La comunità agricola organizzata intorno alla struttura aveva una duplice funzione: garantire la terapia del lavoro ai ricoverati in grado di svolgerla e assicurare il sostentamento autonomo del manicomio. La colonia comprendeva mandorleti, frutteti, vigne e campi coltivati con legumi e ortaggi, con cui si provvedeva all’alimentazione dei pazienti. Inoltre, questa produzione agricola rappresentava una preziosa fonte di reddito grazie alla vendita dei prodotti a medici, dipendenti dell’ospedale e comuni cittadini.
La costruzione della nuova struttura psichiatrica prese avvio nel 1899 e il progetto venne affidato all’ingegnere Stanislao Palomba, che si ispirò alla tradizione europea. Egli concepì un complesso organizzato come un vero e proprio “villaggio”, con diversi padiglioni dislocati lungo il colle, collegati da vialetti e separati dal contesto urbano attraverso alte mura. Queste mura non avevano solo lo scopo di impedire eventuali fughe dei pazienti, ma soprattutto quello di nascondere alla vista dei cagliaritani ciò che accadeva all’interno.
Si concretizzava così l’idea, tipica dei primi anni del Novecento, secondo cui la cura della malattia mentale dovesse prevedere l’allontanamento dalla società, l’isolamento e la discriminazione. La legge Giolitti del 1904, la prima normativa italiana in materia psichiatrica, stabiliva infatti che “le persone affette per qualsiasi causa da alienazione mentale debbono essere custodite e curate nei manicomi, in caso siano pericolose a sé o agli altri, o qualora siano di pubblico scandalo”.
Il Villa Clara fu inizialmente progettato per ospitare un massimo di 500 pazienti, ma nel corso del tempo arrivò ad accoglierne anche fino a 1800. All’ingresso di ogni nuovo paziente, oltre alla visita medica, era previsto un isolamento di quindici giorni durante il quale il ricoverato veniva legato a un letto e sottoposto ad un periodo di osservazione al termine del quale, in base al suo comportamento, calmo o agitato, veniva deciso se dimetterlo, dichiarandolo sano di mente, o se ricoverarlo definitivamente, riconoscendolo affetto da disturbi psichiatrici.
Nel manicomio, tuttavia, non venivano accolti solo pazienti con patologie mentali, ma anche omosessuali, alcolisti e bambini indesiderati, abbandonati o affetti da malformazioni fisiche. Le terribili terapie praticate comprendevano purghe, clisteri e bagni gelati, mentre a partire dagli anni ‘40 furono addirittura introdotti trattamenti come lo shock insulinico e l’elettroshock.
Nonostante la legge Basaglia del 1978, la quale impose la chiusura degli ospedali psichiatrici in Italia e segnò una svolta nel trattamento della salute mentale, il Villa Clara continuò a funzionare per altri vent’anni. Solo il 18 marzo 1998 gli ultimi ospiti lasciarono definitivamente il loro ricovero, trovandosi improvvisamente liberi da quell’inferno ma senza alcuna forma di assistenza, incapaci di reintegrarsi nella società.
L’archivio sanitario dell’ospedale, che raccoglieva oltre sedicimila cartelle cliniche, è ora conservato presso l’Archivio di Stato di Cagliari. Qui sono custodite non solo le storie mediche dei pazienti, ma anche le drammatiche lettere che essi scrivevano ai familiari e ai dirigenti della struttura.
Alcuni di quei padiglioni abbandonati sono stati successivamente acquisiti e ristrutturati dalla Asl di Cagliari, che li ha trasformati nella Cittadella della Salute, oggi importante polo sanitario nel cuore della città. Questo centro riunisce le attività sanitarie distrettuali, tra cui i servizi di salute mentale che, trattando le persone vulnerabili all’interno dei loro contesti sociali, familiari e lavorativi, ne promuovono l’integrazione piuttosto che l’emarginazione, puntando finalmente a un maggiore rispetto della dignità e dei diritti umani.