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S’Incantu: alla scoperta della necropoli di Monte Siseri

di Alba Marini
17 Marzo 2021
in Archeologia
🕓 4 MINUTI DI LETTURA
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Domus de Janas S'Incantu, Putifigari. ? Nicola Castangia

Domus de Janas S'Incantu, Putifigari. ? Nicola Castangia

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Nella Sardegna nord-occidentale, nel poco noto comune di Putifigari in provincia di Sassari, ad un’altitudine di 855 metri sopra il livello del mare, si trova uno dei gioielli nascosti della Sardegna e che prende il nome di S’Incantu. Si tratta della più bella delle quattro domus de janas ipogeiche che compongono la necropoli di Monte Siseri, chiamata così perché situata alle falde del monte omonimo. Il sepolcreto è risalente al Neolitico finale e fu ricavato da un affioramento di roccia tufacea, una particolare roccia magmatica. Il sito archeologico emerse grazie agli scavi eseguiti nel 1989, sotto la direzione dell’archeologo Gianmario Demartis. Oltre a S’Incantu, il sito comprende altre tre domus de Janas, ormai degradate. In queste tombe buona parte dei soffitti è crollata.

Delle tre strutture di Monte Siseri, la domus de janas di S’Incantu (anche chiamata tomba dell’architettura dipinta o tomba I) è quella che si è conservata meglio, nonché la più ricca. S’Incantu (ossia “l’incanto” in italiano) è un monumento eccezionale per gli appassionati d’archeologia e per gli studiosi. Al suo interno l’arte prenuragica si mostra in tutta la sua complessità e il suo splendore, rivelando una tale varietà di decorazioni da lasciare sorpresi. Il culto dei morti dei popoli sardi del Neolitico era infatti molto elaborato e la ricchezza e l’impegno messo per la costruzione e il decoro di questa domus de janas lo dimostrano appieno. Grazie a S’Incantu, il sito di Monte Siseri può considerarsi non solo il sito archeologico più importante del territorio comunale, ma anche quello in cui l’arte ipogeica (ossia lo scavo di tombe nella roccia, caratteristico delle popolazioni che abitavano l’isola già 6000 anni fa) si mostra al suo apice, nella sua massima espressione.

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Precisamente, la costruzione di S’Incantu (nonché delle altre tre tombe, denominate II, III e Domus de Janas Badde ‘e Janas) viene collocata, sulla base dei reperti archeologici rinvenuti, in un arco temporale compreso tra i 3.200 ed i 2.600 anni a.C., a cavallo tra il Neolitico e l’Eneolitico. S’Incantu è l’unica visitabile delle quattro tombe della necropoli, ma da sola vale l’intero viaggio. Ammirarla, infatti, corrisponde a teletrasportarsi indietro nel tempo, perché la tomba conserva tutte le sue parti principali, tanto che attraverso di essa è possibile fare una ricostruzione dell’architettura-tipo delle famose case delle fate. La tomba dell’architettura dipinta ha una struttura a T con dromos (corridoio), è articolata in più vani (alcuni realizzati come le capanne del Neolitico) ed è decorata con tutti i motivi caratteristici dell’età prenuragica. L’ingresso è tipicamente a forma di testa di toro. Ma il quasi perfetto stato di conservazione dell’architettura della tomba non è ciò che più stupisce. S’Incantu, infatti, vanta al suo interno particolari scultorei in bassorilievo e a tutto tondo e dei dipinti, che la rendono paragonabile alla bellezza delle tombe a camera etrusche. In particolare, ad attrarre l’attenzione dei visitatori sono due porte finte, scolpite e pitturate di rosso. Si tratta dei simboli del viaggio dei morti e delle anime verso l’incognita dell’aldilà.

L’ingresso della domus, come abbiamo detto, è a T ed è formato da un anti-cella quadrangolare che porta a un vano rettangolare nelle cui pareti si aprono due celle. A stupire più di tutto è la sala centrale (che misura 5,90 x 3,30 m e 2,20 m in altezza), il cui soffitto accoglie, scolpita a rilievo, la struttura di un tetto a doppio spiovente, dove si alternano i colori rosso e nero. Al centro della camera principale troviamo due pilastri, sui quali possiamo vedere scolpite a rilievo due protomi taurine stilizzate, che testimoniano l’importanza della figura del toro nell’era prenuragica. Le pitture rupestri e le incisioni su roccia delle “teste di toro” non sono un elemento di novità all’interno delle domus de janas. Infatti, a partire dal Neolitico, in Sardegna si sviluppò il culto del toro, animale sacro per la civiltà protosarda, considerato il “signore degli animali”, simbolo di potenza e virilità e secondo solo alla Dea madre. Il fatto che anche all’interno di S’Incantu si rintraccino incisioni relative al toro e in particolare che il toro venga rappresentato per simboli (solo testa e corna) ne accerta la sacralità e l’importanza. Questo culto si sviluppò ancor di più con l’avvento della Civiltà nuragica e si espresse, in modo ancor più scenografico, nella costruzione delle famose tombe dei giganti che avevano – appunto – una pianta a forma di protome taurina.

Continuando il nostro viaggio all’interno della tomba dipinta S’Incantu, possiamo vedere – sempre nell’area principale – una sorta di focolare (forse destinato a raccogliere le “offerte” per i defunti) scolpito sul pavimento e costituito da una serie di cerchi concentrici praticamente perfetti. Questa particolare architettura atta a riprodurre ideologicamente le capanne dei villaggi (quindi con “tetto” e focolare) è dovuta, probabilmente, all’intenzione di garantire ai defunti una vita nell’aldilà che fosse il più “familiare” possibile. Per assicurarsi il miglior mantenimento possibile delle condizioni della tomba (e quindi anche di una vita ultraterrena), all’esterno dell’ipogeo, furono scavate coppelle, vaschette e canalette che avevano la funzione di impedire alle acque piovane di penetrare all’interno della sepoltura. 

In Sardegna sono state scoperte ben 2400 domus de janas, ma S’Incantu è reputata dai più la più bella. Ecco perché anche i sardi – e non solo i turisti provenienti da tutto il mondo – dovrebbero assolutamente visitarla.

Tags: Domus de JanasMonte SiserinecropoliPutifigariS’Incantu
Alba Marini

Alba Marini

Copywriter e giornalista pubblicista, ama viaggiare con qualunque mezzo: gli aerei, le navi, la penna e la fantasia. Per lei la scrittura è una finestra sul mondo, capace di raccontare ogni cosa, anche ciò che non esiste.

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Accusato (forse ingiustamente) del furto di un bue, scelse la latitanza e trasformò una grotta nel Supramonte nella sua casa per 18 anni. Da fuorilegge braccato a eroe popolare, Corbeddu è entrato nella memoria collettiva come un Robin Hood sardo: colto, devoto e spietato solo con chi riteneva disonesto. 
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