Avventurarsi tra le storie di Zerocalcare, che si tratti di fumetti o della prima serie animata in cui si è cimentato, già disponibile su Netflix, significa guardare al mondo con gli occhi di questo amatissimo fumettista e interpretare la realtà con la sua voce, dall’infinitamente piccolo della vita di quartiere, a Rebibbia, all’infinitamente grande di alcuni dei conflitti che attraversano il pianeta (nei fumetti “Kobane Calling” e “No Sleep Till Shengal” per esempio) o della pandemia (con i corti Rebibbia Quarantine andati in onda su La7 per Propaganda Live): occorre lasciarsi andare, accettare il gioco, muoversi tra vignette e scene, battute e citazioni come se si fosse trascinati dal flusso quasi ininterrotto di parole e immagini che incarnano il pensiero dell’autore.
Non è scontata, pur in un’opera di narrazione autobiografica, una voce tanto “reale”, che fonde autore e personaggio -di fumetti e serie- e che evoca un universo ben definito, a cui gli assidui frequentatori, dai tempi del blog fino a quelli del successo nazionale e internazionale, sono ormai affezionati e che considerano familiare, nonostante la specificità geo-linguistica romanesca o, forse, proprio grazie ad essa; attraverso l’animazione, il bacino di fruitori di questo racconto intimo e a tratti così universale si è certamente ampliato –“Strappare lungo i bordi” del resto può essere considerata una a sorta di introduzione al mondo di Zerocalcare- e la narrazione si è arricchita di nuove potenzialità espressive, che la serie “Questo mondo non mi renderà cattivo”, in uscita ancora per Netflix il 9 giugno, promette di sviluppare in pieno.
Le informazioni finora diffuse circa la trama dei 6 episodi sono piuttosto scarne; un vecchio amico torna nel quartiere di Rebibbia e Zero si sforza di aiutarlo a riconoscere un mondo, quello in cui è cresciuto, avvertito ormai come estraneo. Si percepisce dunque, anche dalle immagini del trailer, un confronto complesso, ironico e a tratti doloroso con il mondo esterno, con esperienze e prese di coscienza capaci di cambiarti, di farti tradire gli altri e, soprattutto, te stesso: di renderti, in definitiva, “cattivo”. Tra i pochi indizi utili a interpretare il senso del titolo, la canzone omonima, diffusa dallo stesso Zerocalcare sui suoi profili social, del cantautore nonché Folk-Beat storyteller Path, che ben esplica il senso di queste parole, ripetute quasi come un’amara formula magica attraverso cui sconfiggere il demone di una realtà insidiosa, con cui sembra quasi impossibile, o pericoloso, scendere a patti.
“Questo mondo non mi renderà cattivo” non è il seguito di “Strappare lungo i bordi”: lo ha dichiarato forte e chiaro -e piuttosto ironicamente- Zerocalcare: di certo tornano alcuni dei personaggi più significativi dell’universo narrativo del fumettista, come Secco, Sarah, Lady Cocca e, ovviamente, l’Armadillo, coscienza del protagonista, impegnata spesso e volentieri a castigarlo con la voce di Valerio Mastandrea; torna il doppiaggio eseguito quasi in toto dallo stesso Zerocalcare, che interpreta tutti i personaggi come nella serie precedente: una scelta che sottolinea ancor più nettamente quanto il racconto rifletta sempre una visione della realtà soggettiva, speciale, non sempre “completa”: non è un caso che, nell’ultima puntata di “Strappare lungo i bordi” il personaggio di Sarah parli con una voce diversa, la sua voce, proprio quando rivela a Zero qualcosa che non sapeva, che non aveva capito.
Se però “Strappare lungo i bordi” rappresenta una riflessione sull’identità, sulla difficoltà di essere e costruire se stessi in un mondo dominato dal precariato emotivo e lavorativo, “Questo mondo non mi renderà cattivo” si prospetta come un racconto sulla difesa dei propri principi, di un’onestà di intenti e di convinzioni minacciate dal compromesso, dell’omologazione dinnanzi all’assunto “così va la vita” con cui presto o tardi ci si trova a fare i conti col passare degli anni e l’accumularsi delle esperienze. È possibile restare fedeli a se stessi, nonostante tutto? Sembra questa la domanda fondamentale che pone la serie; l’autore -fumettista, regista, doppiatore – è cresciuto, così pure il suo pubblico: la stessa evoluzione che ha caratterizzato l’opera a fumetti, dunque, si prospetta nella serie animata, a partire da un background culturale, nonché groviglio emotivo, riconoscibile e condivisibile, soprattutto per chi è stato bambino negli anni ’80 e adolescente negli anni ’90.
Come non cogliere le citazioni di manga e anime giapponesi, di film e serie tv iconici – Ken il guerriero, I Cavalieri dello Zodiaco, Star Wars -, come non riconoscere quello straniamento feroce, dinnanzi a un mondo in cui il lavoro è una chimera e le emozioni sono ostaggio di stereotipi culturali e di genere ben radicati, che tuttavia cominciano, con grande difficoltà, a infrangersi? Chi, a partire dall’adolescenza, ha amato la poetica grunge di un cantautore come Kurt Cobain, la ritroverà tra le pagine e le puntate di Zerocalcare, intrecciata con battute fulminanti e ritmi narrativi propri di chi lavora attraverso la sintesi tra parola e immagine: poco importa che i versi risuonino “appena” di un’inflessione romanesca, che caratterizza, ma non limita il messaggio. Si parte da Rebibbia, si viaggia per il mondo, carichi di “accolli” e dubbi, ma sempre sotto la supervisione di una coscienza-armadillo pronta a disintegrare brutalmente le paranoie che ci attanagliano e farci sorridere delle fragilità.