Inaugurato a Sassari il 2 marzo, nella suggestiva cornice dei locali dell’Ex Convento del Carmelo, Altri esotismi – Artisti sardi e orientalismo è un ricco percorso tra le arti plastiche e visive imperniato sulla percezione, da parte di alcuni dei maggiori protagonisti dell’arte sarda tra Ottocento e Novecento, delle culture appartenenti a un Oriente reso più vicino dall’orizzonte coloniale, percezione filtrata, oltre che dalle coscienze individuali, dai mutamenti storici di cui essi furono importanti osservatori.
La copiosa quantità di materiali, in mostra sino al 15 giugno, occupa due piani dello stabile: vi trovano spazio un imponente numero di fotografie, dipinti, illustrazioni, manifesti, riviste, sculture e costumi di scena per l’opera lirica. Ad accoglierci, sin dal piano terra, sono le foto del sassarese Giacomo Agnesa, provenienti dall’archivio dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente.
Egli, dal 1900 a capo dell’Ufficio Coloniale, divenne di fatto regista di tutta la politica coloniale attuata dalla penisola; le sue immagini riportano scene di vita quotidiana in un’irriconoscibile Mogadiscio, piccolo villaggio del Benadir – allora sotto il dominio italiano – mentre in una seconda collezione viene rappresentata l’attività della ditta Carpanetti e Brini a Mansura, in Eritrea.
Numerosi altri scatti sono invece firmati dall’artista Melkiorre Melis, chiamato a Tripoli nel 1934 dal governatore Italo Balbo al fine di avviarvi una scuola di artigianato artistico per promuovere la produzione di oggetti dai motivi tradizionali, rendendola più efficiente grazie all’avanzata tecnica italiana. Nelle fotografie di Melis trovano spazio sia momenti della vita pubblica dell’epoca, come l’arrivo del principe Umberto e del governatore Balbo alla fiera di Tripoli, sia vedute e personaggi della quotidianità tripolina, spesso utilizzate dall’artista come base per i lavori pittorici.
Non solo fotografie ad accogliere, al suo ingresso, il visitatore ma anche due pezzi del bestiario bronzeo di Albino Manca. Si tratta delle monumentali Gazzella e fico d’india e Gru coronata, entrambe del 1936. Ma se in esse, il rigore imposto dall’estetica fascista è evidente, al piano superiore, il mondo esotico che prende vita attraverso le tele di Giuseppe Biasi, in Nord Africa tra il 1924 e il ‘27, ha tutt’altro sapore e sembra accogliere in misura maggiore quella fascinazione per la cosiddetta “arte primitiva” che avrà un ruolo importantissimo nell’influenzare le maggiori avanguardie del Novecento. Nelle tre sale contigue dedicate all’autore, vediamo rappresentata un’Africa in cui il parossismo cromatico e la soggettività dello sguardo del pittore giocano un ruolo fondamentale e a partire dalle quali non è azzardato delineare opportuni parallelismi, nell’indirizzarsi verso uno stile più sintetico, con le opere di Gauguin, Matisse, Modigliani.
Al secondo piano, oltre ai locali espositivi dedicati al periodo africano di Biasi, ai lavori di Mario Delitala e al “suo” Bengasi, alle opere di Giovanni Marghinotti e a quelle di Marius Ledda, pittore cagliaritano cronista di guerra durante gli anni dell’invasione della Libia (1911-1913), troviamo i motivi orientaleggianti dei manifesti pubblicitari d’artista, come quelli firmati da Filippo Figari o dal già citato Melkiorre Melis, o come i poster di grande formato dedicati al kolossal Cabiria. Una particolare sezione della mostra accoglie invece i costumi di scena indossati dal tenore Bernardo De Muro, firmati da Luigi Sapelli, per la rappresentazione dell’Aida tenutasi a Roma nel 1915, sezione che si fregia anche di alcuni esempi della produzione dello scenografo di origini sarde Cipriano Efisio Oppo.
Anche la fauna esotica fu fonte di magnifiche ispirazioni, in un periodo in cui gli zoo e le creature che li affollavano si moltiplicavano esponenzialmente: è il caso degli stilizzati e fantasiosi animali ritratti nei graffiti e nelle chine di Salvatore Fancello, della fine degli anni Trenta, in mostra nella parte finale del percorso espositivo.
Un’occasione, quella offertaci da Altri esotismi – Artisti sardi e orientalismo, per documentarci e riflettere sulla percezione, lungo l’arco di un secolo, dell’Altrove da parte di artisti provenienti da una terra che fu essa stessa colonia a cui imporre una modernizzazione “esportata” e contemporaneamente meta di viaggio misteriosa e densa di suggestioni: la Sardegna.