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Prima alla Scala, domani un 7 dicembre “clamoroso” con Lady Macbeth

di Redazione
6 Dicembre 2025
in Spettacolo
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(Adnkronos) – Il Teatro alla Scala si prepara a un 7 dicembre ad alta tensione emotiva. Domani con ‘Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk’, Dmitrij Šostakovič irrompe nella Prima come un faro sulla modernità, tra la passione febbrile del direttore d’orchestra Riccardo Chailly e l’energia da eroina del soprano Sara Jakubiak, che avverte il pubblico: “Allacciatevi le cinture”. Il sovrintendente Fortunato Ortombina non ha dubbi: sarà una serata “clamorosa”. L’approdo di Sostakovic sul palcoscenico del Piermarini, nel cinquantesimo anniversario della sua scomparsa, non è solo un omaggio ma una presa di posizione chiara: “La Lady Macbeth è tra le opere più clamorose e importanti del ’900, per me una delle più importanti di sempre” ribadisce Ortombina. E aggiunge: “Sono convinto che anche Šostakovičsia sulla buona strada per diventare un profeta nel tempo come Mozart e Verdi”. 

Per il sovrintendente, alla sua prima inaugurazione del 7 dicembre dopo l’era Meyer, il titolo scelto ha una forza simbolica innegabile: “È di capitale importanza, di spettacolarità straordinaria e il rapporto con la cultura russa fa parte della storia di questa città”. Non teme polemiche legate alla scelta di un altro titolo russo, dopo il ‘Boris Godunov’ che nel 2022, con la guerra in Ucraina appena iniziata fece scorrere fiumi di inchiostro. E infatti puntualizza: “Sappiamo tutto della censura. Toscanini ha fatto qui la prima scaligera di Tchaikovsky: i rapporti tra Russia e Scala sono sempre stati importanti e hanno trasceso qualunque momento di crisi politica europea e globale, e questo continuerà per tanto tempo”. 

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Sul lavoro creativo, Ortombina sottolinea lo sforzo del team guidato dal regista Vasily Barkhatov, dal direttore musicale Riccardo Chailly e dal soprano Sara Jakubiak: “Se vediamo sorridere questa bravissima interprete è perché è veramente una cantante straordinaria, così come straordinari sono anche gli altri elementi del cast. La forza di questo soggetto sta nella primordialità delle forze che Šostakovič è andato a indagare”. Il direttore musicale Riccardo Chailly parla con passione quasi febbrile dell’opera: “Portare in scena la Lady Macbeth credo non debba essere preso come un atto di coraggio ma come un atto dovuto di riconoscimento a un gigante del ’900”. L’opera, ricorda, “ha sofferto per anni e deve recuperare il tempo perduto, di una qualità assoluta e alla quale partitura bisogna dare il valore che merita”. 

Chailly stesso confessa la propria soggezione: “Ne ero vittima per la grandezza, l’audacia e la modernità”. E parla del giovane Šostakovič come di un rivoluzionario: quando scrisse l’opera, “un soggetto scabroso che chiedeva coraggio a un compositore di 24 anni”. Sul fronte musicale, il maestro non risparmia elogi a cast, coro e orchestra: “Tutti i cantanti sono uno più bravo dell’altro. Il coro ha trovato una difficoltà forte nella ritmica e nella sillabazione, che richiede una bravura forte. Abbiamo fatto lavoro eccellente con il coro della Scala. Anche l’orchestra… affronta le mostruosità tecniche in maniera formidabile”. 

Il soprano Sara Jakubiak, al debutto scaligero, è la figura forse più “spremuta” – letteralmente – dell’intero progetto. “E’ vero, mi sento un po’ come un’arancia spremuta” sorride, riprendendo le parole di Chailly. Il maestro, infatti, ha riconosciuto la sua bravura “nonostante sia stata spremuta come un’arancia” da una partitura che mette a dura prova qualsiasi interprete. Jakubiak descrive Katerina come un personaggio estremo: “Mi ricorda una McLaren capace di passare da zero a cento in meno di un minuto”. E lancia un messaggio al pubblico per il 7 dicembre: “L’unica cosa che posso dire è: allacciatevi le cinture”.  

Il regista Vasily Barkhatov, firma una ‘Lady Macbeth’ che vuole scavare a fondo nella psiche umana. “E’ in fondo una storia semplice: quella di una donna che si vota con tutte le sue forze alla libertà e alla felicità umana, ma lo fa in maniera violenta e drammatica”. Per Barkhatov, classe 1983 e al debutto scaligero, il primo passo è stato liberare l’opera dai suoi stereotipi sedimentati: “Titoli così frequentati generano spesso dei cliché… Il nostro obiettivo è stato ‘togliere la polvere’ e concentrarci sugli aspetti psicologici di Katerina”. Per questo, l’azione non è più ambientata in un villaggio rurale, ma “in una capitale del secolo scorso”. L’operazione rispecchia la poetica del compositore: “Šostakovič ha cercato la bellezza nei personaggi strani, ambigui, crudeli. Noi abbiamo cercato di fare lo stesso…E abbiamo un cast meraviglioso che ci permette di farlo”. 

La presenza alla Scala per il 7 dicembre è per Barkhatov “un grande onore”. “Ho seguito molte Prime in streaming e ritrovarmi finalmente in sala è un’emozione speciale”. E sul lavoro con Chailly: “Questa partitura richiede un dialogo molto stretto… Abbiamo attraversato un processo di collaborazione durato due anni”. Lo scenografo Zinovy Margolin racconta una scenografia concepita come contrasto permanente: “Abbiamo iniziato a lavorare un anno fa discutendo l’idea di scegliere un ambiente completamente diverso dalle consuete ambientazioni della provincia russa”. La scelta è ricaduta sulla città in cui Šostakovič ha vissuto. “La capitale permette un forte contrasto visivo e simbolico: da un lato l’ambiente sfarzoso del ristorante, dall’altro la povertà dei luoghi in cui lavorano i personaggi”. 

La ‘Lady Macbeth del distretto di Mcensk’ – libretto dello stesso Šostakovič dal romanzo di Leskov – doveva essere la prima parte di un trittico dedicato alla condizione femminile nella storia russa. La vicenda di Katerina Izmajlova, ambientata negli anni 1860, è un vortice di violenza, desiderio e ribellione: avvelenamenti, omicidi, passioni proibite, soprusi familiari. La doppia prima del 1934 a Leningrado e Mosca fu un successo travolgente, “un clamoroso succès de scandale” per la crudezza sociale e l’inedito realismo delle scene erotiche. Šostakovič, abbandonando la satira surreale de Il naso, si avvicinò a Musorgskij con una potenza drammatica che conquistò il pubblico: 200 rappresentazioni in due anni. 

L’opera racconta la vicenda di Katerina Izmajlova, giovane donna costretta a un matrimonio infelice con un possidente debole e sottomessa alle angherie del suocero. La passione proibita per il garzone Sergej sfocia in una scia di omicidi, vendette e tragedia, culminando in un finale di disperazione e morte. Šostakovič, autore anche del libretto, concepì il lavoro come prima parte di un trittico dedicato alla condizione della donna nelle diverse epoche della storia russa, ma la crudezza del racconto e il realismo spietato dei personaggi portarono l’opera rapidamente nel mirino del regime di Stalin. 

Dopo la doppia prima a Leningrado e Mosca nel gennaio 1934, l’opera riscosse un successo clamoroso: duecento rappresentazioni in due anni e l’entusiasmo del pubblico, conquistato dalla modernità della scrittura musicale e dalla combinazione di folklore russo e innovazione orchestrale. Tuttavia, come ricorda la celebre cantante Galina Vishnevskaya nelle sue memorie, la situazione politica stava cambiando rapidamente. I compositori legati all’ex-Proletkult, precedentemente criticati da Šostakovič, avevano assunto posizioni chiave nell’Unione dei Compositori, mentre Ždanov, nuovo responsabile della cultura del Partito Comunista, impose direttive di ottimismo, eroi positivi e finali lieti. 

Nel gennaio 1936 Stalin assistette personalmente a una rappresentazione dell’opera e, poco dopo, un articolo della “Pravda” decretò la condanna di “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk”, imponendo la sua rimozione dal repertorio ufficiale per “pornofonia”. Il compositore fu costretto a subire un lungo periodo di ostracismo, durato fino agli anni di Krusciov, quando accettò di curare una versione emendata intitolata “Katerina Ismailova”, andata in scena a Mosca nel 1963. In questa versione, le scene di erotismo più esplicite furono soppresse e il linguaggio musicale rese più dolce e accessibile, privando l’opera della sua tensione originaria e della violenza emotiva che la caratterizzava. 

Il ritorno alla Scala rappresenta dunque non solo un omaggio al genio compositivo di Šostakovič, ma anche un recupero della sua libertà artistica, violata dal regime sovietico. Riccardo Chailly, alla sua dodicesima inaugurazione di stagione al Piermarini, racconta il suo legame personale con il compositore: “Tutto cominciò nel 1972, quando avevo 19 anni. Assistetti alle prove e alle rappresentazioni de Il naso di Šostakovič dirette da Bruno Bartoletti, con la regia di Eduardo De Filippo. Rimasi stordito per giorni. Mi colpì enormemente la modernità, il coraggio di affrontare un testo di Gogo’ in quel modo”. 

La partitura di “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” si distingue per contrasti drammatici e straordinaria complessità orchestrale. Da una parte, l’uso sapiente della politonalità e la capacità di fondere melodie popolari russe con elementi mitteleuropei, come la citazione dell’Abschied dal Lied von der Erde di Gustav Mahler nel quarto atto, conferiscono profondità psicologica alla protagonista, alla quale Šostakovič riesce a dare un’umanità tormentata e contemporanea. Dall’altra, la presenza del grottesco e dell’umorismo nero emerge in passaggi come il canto del prete dopo l’avvelenamento di Boris, che richiama quasi un’atmosfera da operetta tragica e satirica. 

Tags: adnkronoscronacaItaliaultimora
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