Il fascino delle canzoni di Enzo Jannacci, da quelle più ironiche a quelle più intimistiche e struggenti, si sposa al talento istrionico di un vulcanico Stefano “Elio” Belisari, fondatore e frontman del gruppo Elio e Le Storie Tese, per un viaggio tra note e parole nella temperie culturale del Novecento, fino agli inizi del Duemila, con “Ci vuole orecchio / Elio canta e recita Enzo Jannacci” in cartellone giovedì 15 dicembre alle 21 al Teatro Comunale di Sassari e poi venerdì 16 dicembre e sabato 17 dicembre alle 20:30 al Teatro Massimo di Cagliari per un duplice appuntamento con la rassegna trasversa “Pezzi Unici”, sotto le insegne della Stagione 2022-2023 de La Grande Prosa organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna.
Un’antologia di brani celebri e altri meno conosciuti del cantautore milanese, che ha scritto pagine fondamentali della storia della musica leggera (e non solo) in Italia, nell’interpretazione di un artista poliedrico e fantasioso come Elio, per un ideale incontro a distanza tra l’eclettico cantante, paroliere e cabarettista, pianista e attore, nonché medico, tra i pionieri del rock’n’roll italiano e l’estroso performer capace di spaziare fra classica e pop, da “L’opera da tre soldi” di Bertolt Brecht a “Pierino e il lupo” di Sergej Prokof’ev, dal pop al tradizionale canto a tenore della Sardegna.
Sotto i riflettori – insieme con Elio – un affiatato ensemble che schiera Alberto Tafuri (pianoforte), Martino Malacrida (batteria), Pietro Martinelli (basso e contrabbasso), Sophia Tomellieri (sassofono e Giulio Tullio (trombone): “Ci vuole orecchio” con drammaturgia e regia di Giorgio Gallione e arrangiamenti musicali di Paolo Silvestri, disegno luci di Aldo Mantovani, scenografie di Lorenza Gioberti e costumi di Elisabetta Menziani, è una produzione AGIDI e IMARTS / International Music and Arts, con uno speciale ringraziamento a Marco Presta, Francesco Piccolo e Michele Serra. «“Ci vuole orecchio” non è un omaggio» – spiega Stefano “Elio” Belisari in un’intervista a cura di Anna Bandettini su Repubblica – «ma una ricostruzione di quel suo mondo di nonsense, comico e struggente (…). È un viaggio dentro le epoche di Jannacci, perché non è stato sempre uguale: tra i brani c’è “La luna è una lampadina”, “L’Armando”, “El purtava i scarp del tennis”, canzoni che rido mentre le canto. Ne farò alcune snobbate, “Parlare con i limoni”, “Quando il sipario calerà”. Perché c’è Jannacci comico e quello che ti spezza il cuore di “Vincenzina” o “Giovanni telegrafista”, risate e drammi. Come è la vita: imperfetta. E nessuno meglio di chi abita nel nostro paese lo sa».
Un progetto originale ispirato alla personalità carismatica e al multiforme ingegno del cantante e pianista dalla personale e inconfondibile vis comica, autore di colonne sonore per il cinema e sigle per trasmissioni televisive, inventore di “tormentoni” come “Vengo anch’io. No, tu no”, che nel corso di una più che cinquantennale carriera ha collaborato con numerosi protagonisti della scena italiana, da Giorgio Gaber – con cui ha creato anche il duo I Due Corsari – a Dario Fo, Adriano Celentano, i Rock Boys, Sergio Endrigo, Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto, Paolo Conte, Luciano Bianciardi, il fumettista Bruno Bozzetto e il giornalista Beppe Viola. Negli Anni Settanta – dopo gli esordi nel cabaret negli Anni Cinquanta e “Milanin Milanon” con Tino Carraro e Milly negli Anni Sessanta (oltre a “La cosiddetta fidanzata” di e con Franca Valeri) – Enzo Jannacci ha portato in scena “Il poeta e il contadino” e “Saltimbanchi si muore”, poi vari recitals come “Niente domande” e “Tempo di pace… pazienza!”, ma anche “E’ stato tutto inutile”, lo spettacolo “Parlare con i limoni” e perfino una insolita versione di “Aspettando Godot” di Samuel Beckett con Giorgio Gaber, Felice Andreasi e Paolo Rossi, tra personaggi stralunati e surreali nello stile del teatro dell’assurdo.
Sul grande schermo Enzo Jannacci ha esordito ne “La vita agra” di Carlo Lizzani con Ugo Tognazzi; poi un episodio, “Il frigorifero”, con la regia di Mario Monicelli nel film “Le coppie” e “L’udienza” di Marco Ferreri; nel cast de “Il mondo nuovo” di Ettore Scola, sul tentativo di fuga a Varennes del Re di Francia durante la Rivoluzione Francese, di “Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada” di Lina Wertmüller e di “Figurine” di Giovanni Robbiano, è uno degli interpreti de “La bellezza del somaro” di Sergio Castellitto. Per la decima musa, ha composto inoltre le musiche di “Romanzo Popolare” di Mario Monicelli, per cui ha contribuito con Beppe Viola alla traduzione dei dialoghi in slang milanese e ha scritto “Vincenzina e la fabbrica” e di “Pasqualino Settebellezze” di Lina Wertmüller; ma anche di “Sturmtruppen”, di “Gran bollito” di Mauro Bolognini e “Saxofone” di e con Renato Pozzetto, “Matlosa” di Villi Hermann e “Piccoli equivoci” di Ricky Tognazzi.
“Ci vuole orecchio” – dal titolo di uno degli album del cantautore milanese – è «uno spettacolo un po’ circo un po’ teatro canzone, dove una band di cinque musicisti… permetterà ad Elio, filosofo assurdista e performer eccentrico, di surfare sul repertorio dell’amato Jannacci, nume tutelare e padre putativo di quella parte della storica canzone d’autore che mai si è vergognata delle gioie della lingua e del pensiero o dello sberleffo libertario» – sottolinea Giorgio Gallione nelle note di regia – «e che considera il Comico, anche in musica, non come un ingrediente ciecamente spensierato ma piuttosto un potente strumento dello spirito di negazione, del pensiero divergente che distrugge il vecchio e prepara al nuovo. Sovversione del senso comune, mondo alla rovescia, ludica aggressione alla noia e ai linguaggi standardizzati e che, contemporaneamente, non teme di creare disagio o generare dubbi». E conclude: «Così, nel panorama infinito delle figure che abitano l’universo Jannacci trovano posto anche personaggi dolenti, clown tristi e inadeguati che spesso inciampano nella vita. Il nostro spettacolo sarà perciò un viaggio in questo pantheon teatralissimo, dove per vivere “ci vuole orecchio” e dove, da saltimbanchi si vive e si muore… Opla!».
Se nella vita reale i loro destini si sono appena sfiorati – «una volta ci siamo incrociati negli studi Rai. Lui ha bofonchiato qualcosa, io pure, lui non ha capito, io nemmeno. Sono un timido. Mai avrei avuto il coraggio di dirgli “sono un tuo fan”. Questo è il solo contatto che ho avuto con Enzo Jannacci» racconta Elio a Anna Bandettini – l’amore e la curiosità di Stefano “Elio” Belisari per le canzoni dell’artista milanese ha radici antiche e familiari. «Mio papà era stato suo compagno di classe, me ne parlava, me lo faceva ascoltare e mi faceva già ridere» ricorda Elio –. «Da adulto mi ha affascinato la dignità del comico che ha portato nella canzone d’autore e lo stile surreale della sua risata, che poi era il clima del Derby, il cabaret di Milano, che per ragioni anagrafiche ho mancato. Col senno di poi rimpiango di non avere avuto dieci anni di più: gli anni 70, dilaniati dal terrorismo, sul piano artistico sono stati tra i più liberi e rivoluzionari. In quegli anni ci sono tutti i miei dèi, uno di questi è proprio Enzo Jannacci».
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