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“In the night”, è uscito il primo album di Gabriella Di Capua, giovane talento del jazz italiano

Una miscela di acid jazz, urban, hip-hop, RnB, nuSoul

di Redazione
9 Luglio 2021
in Musica
🕓 8 MINUTI DI LETTURA
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Una raccolta di storie, emozioni, pensieri, profondamente personali, che raccontano come l’amore e l’ossessione diventano protagonisti dell’evoluzione di una giovane millenial, alle prese con un mondo caotico, eccitante e artistico: tutto questo dentro l’album d’esordio di Gabriella Di Capua, “In the night” uscito per Romolo Dischi (distr. digitale Pirames International, distr. fisica Goodfellas).

Le sonorità spaziano dal jazz/acid jazz al nusoul, popRnB, con contaminazioni di hip-hop. L’artista ha voluto creare un visual che spingesse l’immaginazione verso lo spazio e i pianeti, come dimensione sonora e vitale di calma e infinito, dove rifugiarsi o volare con la mente; un luogo anche spaventoso, dove si combattono i propri alieni e demoni interiori, dove si è faccia a faccia con pensieri e situazioni non sempre piacevoli, dove è sempre notte.

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Gabriella Di Capua (1994) è un giovane talento del jazz italiano, cantante, autrice e compositrice. Attualmente vive a Milano e ha studiato Canto Jazz presso il Conservatorio di Musica Giuseppe Verdi, seguita dal Maestro Danila Satragno. Precedentemente ha studiato con Ada Montellanico, ha frequentato masterclass di artisti come Kurt Elling, Jay Clayton, Maria Pia De Vito, Enrico Pieranunzi, Ashley Kahn, Lionel Loueke Tom Harrell nell’ultima esperienza a Nuoro Jazz, dopo aver vinto nel 2019 una borsa di studio emessa dall’associazione “I Senzatempo” di Avellino; vincitrice, inoltre, nel 2018 della borsa di studio di miglior cantante assegnata da Ornella Vanoni durante la masterclass al Conservatorio G. Verdi.

Nel corso degli anni si è esibita in Festival nazionali come: Fiano Music Festival (2013-2014-2019), Opening Act Fabio Concato (2015), Le passioni di Carlo (2016), Picasso Napoli Parade, con Daniele Scannapieco (2017), Opening Act Lucy WoodWard, Modo Salerno (2018), Festival del Chiostro, Conservatorio G. Verdi Milano (2018), Pietrelcina Jazz Festival (2018-2019), Polimi Winter Gala (2018), Duke Ellington’s Sacred Concerts, con Pino Jodice e ONJ (2019), Napoli Porto Aperto (2019), Festival del Chiostro, Conservatorio G. Verdi Milano (2019), PolimiFest, “La voglia matta” con Fabrizio Bosso (2019), Opening Act Gianluca Guidi (2019), Estate Sforzesca, “La voglia matta” con Fabrizio Bosso (2019), Volcei Wine Jazz Festival (2019) per arrivare in tempi recenti al concerto per JazzMi (2019 e 2020) e al Tributo ad Al Jarreau, con Mario Biondi, Fabrizio Bosso, Pino Jodice al Teatro Dal Verme di Milano (2019 e 2020), Arena del Mare Salerno, Rassegna estiva (2020), Café Street 45, Torre del Greco (2020 – 2021), Interplay – con la Verdi Jazz Orchestra diretta dal Mº Pino Jodice (2021), Veddasca Sound Festival, Varese (2021).

Saka. “Il mio brano preferito, l’unico flusso di coscienza totalmente improvvisato in lingua inglese che io abbia mai avuto. Lo considero la mia terapia di quel periodo, ho buttato fuori ciò che era naturale che buttassi fuori. Tra ricordi e rammarico, ma anche consapevolezza. Voglio essere me stessa, basta farmi paranoie sul non essere abbastanza o non giusta per “lui”. L’ho perso, ma chissà se eravamo mai stati giusti. Resta solo una sensazione strana, nel buio, che ti aspetta, e il desiderio di andare al mare insieme.” L’artista si pone delle domande: tutto intorno sembra spento, grigio, per cosa vivono gli altri? Io come posso smettere di vivere di te? “Il titolo non ha alcun senso, ennesima contraddizione con il brano che invece per me ha più senso di tutti. Spontaneo e non premeditato”.

Changes. “Nasce come una poesia in un certo senso, senza attribuirmi delle capacità poetiche (lol) la cui idea eterea si spezza con il “f**k with you” sul finale; solito contrasto.” Il brano parla di una persona che vuole cambiare, o almeno sarebbe disposta a farlo, per poter stare con la persona desiderata. Prima la pelle, poi gli occhi, poi braccia e gambe, perché niente è abbastanza per raggiungere l’altro. Qualsiasi cosa per raggiungere la sua anima, anche senza un corpo da offrire, anche dopo essersi destrutturati per non sentirsi, forse, mai all’altezza, chi lo sa.

Kind of Happiness. “Il brano si intitola Kind of Happiness, che io traduco come “un certo tipo di felicità”, che ritengo solo una persona può darti, il famoso “you” a cui si riferiscono tutte le canzoni. Le persone della nostra vita sono i personaggi della nostra storia, con i quali, in vari modi e in varie prospettive, si può anche sviluppare una dipendenza affettiva: di questo parla il brano. Un tema sempre forte quello dell’addiction, di solito accostata alle droghe, sostanze, che tutti noi in forme diverse abbiamo. Personalmente, in tutto l’album pongo sempre equazioni tra persone, sentimenti, contrasti, distrazioni e sostanze; infatti, tutto ciò è diventato ispirazione per costruire tutte le tracce.” Tutti abbiamo chi ci rende felice, anche se ci fa star male a volte; ci sono tipi e tipi di sostanze e se trovi quella perfetta in una persona, diventa il tuo dealer, da cui vai a prendere la tua dose di felicità. Ognuno con la propria forma. Ci si preoccupa tanto degli effetti sulla salute fisica, ma altrettanto ce ne possono essere sulla mente, si può entrare in brutti pensieri e in brutte dinamiche, ma, dopotutto, potresti vivere pensando che non sarà tutto ok un giorno? “One day everything will be ok, could you live thinking it will not? […] Everybody has his dealer, will you be mine?”

Lot of Questions. “Ho sempre pensato, come tutti, o almeno sperato, che in me ci fosse qualcosa di diverso dall’enorme quantità di persone che fanno parte di questo mondo. Ecco, senza voler togliere nulla a nessuno, credo che davvero tutti cerchino quella cosa che li rende speciali nella vita, se non è così, dico io, what for? In ogni caso, ciò che ho sempre notato di me è l’immensa quantità di interrogativi e domande che mi pongo da sempre”. Da qui, infatti, il titolo “Lot of Questions”. Le classiche domande tormentone, spesso da piccoli sono le prime che rivolgiamo. Da dove veniamo? Perché siamo al mondo? Che senso ha la vita? Come è possibile che esista la terra, cos’è l’universo, lo spazio, i pianeti? Il tempo? E si può continuare. “Notavo e noto che ci sono persone che sono al mondo e sentono che tutto è di loro proprietà, che l’arte sia inutile, che oscurano le loro menti dietro credenze o giudizi verso chi non segue questo modo di vivere. Io invece speravo e spero di vivere una vita sempre entusiasta, piena d’arte e bellezza, amore, e si, le solite mille domande le cui risposte daranno anche un senso alla mia esistenza.”

In the Night. “Title track dell’album, rappresenta proprio un immagine di me molto chiara nella mia mente, ben definita. Io, di notte, presa male, pensando a “lui”, arrabbiata, sola. Bugie, poca chiarezza, attenzioni non soddisfatte, lunghe assenze. La notte è sempre stato un momento per me molto nostalgico, il pensiero passa sempre sfuggente e mi ha sempre coinvolto a livelli troppo alti, anche a costo di perdere la concentrazione per tutto il resto che non riguardasse “lui”. Direi che è tutto molto chiaro dalle parole “I hate you, but I miss you”, coerente no?”

In the Night – Acoustic Version. “Riprende solo la strofa iniziale della versione di In the Night, ma questa volta siamo in trio, con Alessio Busanca al piano, Davide Costagliola al basso e Luca Mignano alla batteria, classico trio jazz. Questa versione è un’idea di Alessio Busanca, perché voleva ricreare l’atmosfera da jazz club molto intima, notturna appunto, fumosa, soprattutto perché noi veniamo da lì. Un tributo alle nostre radici, che mi rimanda con la mente alle tante esibizioni in cui ancora non avevo la mia musica e cantavo standards jazz; però avevo sempre e comunque la mente altrove.”

So high. “È una cover del brano di Doja Cat che ho scoperto tanti anni fa, nei miei viaggi per andare in Conservatorio. Ho una love story con la weed e in questo brano c’è un tributo al mondo delle sostanze, sempre affascinante ma di cui mi è sempre interessato solo il lifestyle che si crea dietro la marijuana, perché è quello con cui sono cresciuta e che ha fatto da sfondo alla storia con “lui”. Mi riporta a quelle serate passate a fumare e ascoltare musica, le prime esperienze da grandi fatte insieme, le serate con gli amici dove sembrava di essere invincibili e unici al mondo o di essere i personaggi di un videoclip musicale. La dipendenza ricorre spesso nei miei brani perché credo sia essenza delle vite di tutte le persone al mondo, in forme diverse. Chi dice no professa solo finti buonismi o giudizi preconfezionati. Ho tanto pensato se esprimere questo lato della mia personalità per paura di non essere ben vista, essendo una sostanza ancora illegale in tanti paesi, ma senza la weed la mia musica non sarebbe la stessa e resta una pianta con cui si possono fare molte cose buone per il pianeta, oltre ciò che ho espresso io per mio gusto personale.”

Nature Boy. Altra cover presente nel disco. Brano di Eden Ahbez, portato al successo da Nat King Cole, che lo ha reso uno standard jazz. Questo brano parla di un ragazzo che gira il mondo e che scopre l’amore e ne capisce il concetto fondamentale di amare e lasciarsi amare. “Ho voluto fortemente con me in questo brano un mio caro amico, Luca De Giuli (Lucaneve); volevo che scrivesse, come solo lui sa fare, la sua esperienza di ragazzo che ha fatto i suoi giri e che ha imparato cose forse diverse e meno disilluse e romantiche sulla vita e sull’amore stesso. Il resto sono fatti suoi ma io volevo creare un ponte tra un Nature Boy di un’epoca lontana e uno dei giorni nostri, ragazzo della porta accanto, le cui lezioni date dalla vita sono state diverse e più introspettive.”

Senza luce. “È l’unico brano in italiano del disco, forse perché è l’unico non dedicato al famoso “you” al quale mi riferisco. Un brano dedicato inizialmente a una città, che è quella dove ho vissuto prima di trasferirmi a Milano, dove notavo un certo atteggiamento passivo e aggressivo verso la vita, sempre cercando di fregarla in un certo senso, con tanta noncuranza. Ho sempre avuto un rapporto odi et amo con la mia terra, non ho mai sentito un’appartenenza viscerale che è classica dalle mie parti, ma adoro il carisma e l’arte che si cela dietro certi modi e cose che solo lì esistono.”

Conversation with Ourselves. “Il titolo letteralmente significa “Conversazione con noi stessi”, come se fosse un invito a riflettere più su di sé e a intrattenere conversazioni con il proprio “inner self”. In questo brano ci sono io che parlo con me; ho sempre avuto varie personalità (non come il famoso disturbo delle personalità multiple) con cui convivo, piene di contrasti e differenze. Mi sono servita anche di un supporto nella scrittura, da parte di Gianluca Marino che ha descritto una parte di me con il suo punto di vista, la parte di me che vuole dedicarsi alla carriera. Poi c’è la seconda parte del brano, che ho scritto io, in cui parlo con un uomo, che si prende invece l’altra parte di me, ovvero quella dei sentimenti, la parte irrazionale.” Tutti abbiamo contrasti e contraddizioni dentro di noi, basta solo che le due parti si incontrino e ciò che ne esce fuori è sicuramente non lineare ma può servirci per essere sempre più a contatto con la nostra mente.

Tags: Gabriella Di Capuamusica
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