Il recente premio alla Mostra del Cinema è solo l’ultimo capitolo di un percorso artistico eccezionale, che ha visto l’attore napoletano dare corpo e voce a personaggi indimenticabili del cinema italiano contemporaneo.
Il recente trionfo di Toni Servillo alla Mostra del Cinema di Venezia 2025, dove ha conquistato la prestigiosa Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, rappresenta la consacrazione definitiva di una carriera straordinaria. A 66 anni, l’attore napoletano ha ricevuto il premio per il suo ruolo nel film La Grazia, settima collaborazione con il regista Paolo Sorrentino, in cui veste i panni di un Presidente della Repubblica alle prese con complessi dilemmi morali durante il suo semestre bianco.
Questo riconoscimento è l’ennesima conferma di uno status attoriale costruito con rigore, dedizione e un talento capace di spaziare dal teatro d’avanguardia al grande cinema popolare e d’autore. La carriera di Toni Servillo è un mosaico di personaggi memorabili, figure complesse e spesso tormentate che hanno segnato l’immaginario collettivo degli ultimi vent’anni. Ripercorrere le sue migliori interpretazioni significa compiere un viaggio nel cuore del cinema italiano contemporaneo, di cui Servillo è senza dubbio uno dei massimi rappresentanti.
Un altro ruolo che mette in luce la sua capacità di calarsi in personaggi ai margini, consumati da un’ossessione, è quello interpretato nel film Gorbaciòf (2010), dove veste i panni di un contabile con il vizio compulsivo del gioco, il cui soprannome è ispirato a quello del famoso statista sovietico. Il personaggio si muove in un contesto crudo e fisico, giocando a poker nel retrobottega di un ristorante, un mondo all’antica fatto di sguardi e tensioni palpabili che appare lontanissimo dalla dimensione accessibile e digitale a cui oggi molti appassionati si rivolgono tramite i siti di poker online. In quel microcosmo sporco e disperato, Servillo annulla sé stesso per diventare puro istinto, un uomo la cui intera esistenza è ridotta alla ricerca febbrile della prossima puntata. La sua interpretazione è scarna, fisica, e riesce a comunicare senza eccessi la solitudine e l’abisso di una dipendenza che lo sta divorando, confermando la sua abilità nel dare corpo alle più oscure fragilità umane.
Se c’è un’interpretazione che ha consacrato Servillo nell’immaginario collettivo globale, questa è senza dubbio quella di Jep Gambardella ne La grande bellezza (2013). Il suo giornalista mondano, autore di un solo libro giovanile e poi persosi nei salotti di una Roma decadente e magnifica, è diventato un’icona. Servillo riesce a infondere in Jep una miscela unica di cinismo, tenerezza, disperazione e autocompiacimento. Le sue passeggiate all’alba, il suo sguardo critico sulla variopinta umanità che lo circonda e la sua ricerca di un’autenticità perduta sono diventati storia del cinema. La performance è così stratificata da rendere il personaggio incredibilmente affascinante e complesso, un uomo che danza sulle rovine della propria vita e di una città intera. È un ruolo che solo un fuoriclasse poteva affrontare, e che ha contribuito in modo determinante alla conquista dell’Oscar come miglior film straniero.
Infine, un ritorno alle origini teatrali, mai del tutto abbandonate, si manifesta in maniera potente in Qui rido io (2021), diretto da quell’Mario Martone che per primo lo portò al cinema. Nel ruolo del grande attore e commediografo Eduardo Scarpetta, Servillo è letteralmente travolgente. La sua interpretazione è ingombrante, sopra le righe, proprio come il personaggio che incarna. Sfrutta ogni parte del corpo, la voce, lo sguardo, con una presenza scenica magistrale che sfuma i confini tra palcoscenico e set cinematografico. È la celebrazione di un amore, quello per il teatro, che ha sempre nutrito la sua arte e che qui trova la sua espressione più compiuta e spettacolare.
































