Il pubblico che, per questioni anagrafiche, non ha vissuto in prima persona l’epopea di Gigi Riva e la vittoria dello scudetto del Cagliari nel Campionato di Calcio ‘69/‘70, troverà nel film “Nel nostro cielo un rombo di tuono” di Riccardo Milani un’occasione imperdibile per conoscere, prima del campione forse più amato fra i giocatori rossoblù e del prolifico bomber della Nazionale, un uomo capace di espugnare il cuore di un popolo.
Sarebbe facile associare l’amore dei sardi per Gigi Riva alle sue imprese sportive -raccontate nel film con tensione narrativa trascinante, come in un thriller di cui si è impazienti di conoscere il finale-, e di certo il calcio è stato il grimaldello attraverso cui il prodigioso atleta si è fatto strada nel cuore dei tifosi, ma Milani, autore anche della sceneggiatura con la collaborazione del responsabile del montaggio Francesco Renda, è stato capace di far emergere nella pellicola le ragioni intrinseche che hanno fatto di Gigi Riva un sardo “seppure non sardo”, come viene ripetuto più volte nel corso delle 2 ore e 43 minuti del docu-film, nelle sale cinematografiche della Sardegna a partire dal 7 novembre.
La data scelta per il debutto non è casuale: nel giorno del suo 78° compleanno, Gigi Riva torna protagonista, stavolta sul grande schermo, per raccontare la sua storia, voce narrante di un racconto personale che si intreccia a quello della Sardegna e dei sardi tra gli anni ’60 e ’70; arrivato nell’isola poco più che adolescente, Riva è intimorito da una terra che appare incredibilmente lontana dal suo paese natale, Leggiuno, in provincia di Varese, tuttavia passo dopo passo, successo dopo successo, le storie -dell’uomo e del popolo sardo- si sovrappongono, fin quasi a coincidere.
Il calciatore che traghetta la Nazionale Italiana verso la vittoria degli Europei del 1968, rapido e implacabile sotto rete, ha un carattere schivo, eredità di un’infanzia difficile, e misura le parole, che sono sempre improntate a una sincerità schietta e, al contempo, pacata: il mito di “rombo di tuono”, così viene soprannominato Gigi Riva per il particolare rumore del piede che impatta sul pallone nel momento del calcio, è ormai nato, non resta che portare in Sardegna una vittoria che pare un sogno impossibile. Lo scudetto -appannaggio delle grandi squadre del Nord Italia, tra Milano e Torino- arriva in una stagione che vede Cagliari e Juventus scontrarsi al vertice: è la rivalsa di un popolo “di banditi e pastori” -secondo lo stereotipo imperante-, ma anche del Mezzogiorno d’Italia, schiacciato dal peso dell’arretratezza, sul Nord industrializzato.
Nel film, la storia del Cagliari che contro ogni pronostico o “potere forte” vince lo scudetto, si affianca alla tenacia degli abitanti di Orgosolo, che a Pratobello manifestano il dissenso per la nascita del poligono di tiro dell’Esercito Italiano, e rappresenta il riscatto degli emigrati sardi, lontani dalla loro terra e costretti a uno stile di vita che mira a eroderne l’identità: il film di Milani travalica l’impresa sportiva -pure evidenziata con il tono appassionato di amante del calcio- e individua in Gigi Riva il simbolo della sardità più autentica, che diventa ancor più fulgido quando “rombo di tuono” rifiuta di trasferirsi al Nord, alla Juventus di Giampiero Boniperti e all’Inter di Angelo Moratti, e decide di restare in Sardegna, dove guadagnerà meno denaro e, quasi certamente, vincerà meno trofei.
Ancora, sardo seppure “non sardo”: i lineamenti scolpiti del volto, la bellezza ruvida, unita a una malinconia antica, che affonda le radici nel passato, rendono un “semplice” calciatore degno di essere affiancato ai grandi intellettuali sardi, come Antonio Gramsci e Emilio Lussu, sulla parete di una casa come tante della Sardegna. È un’immagine potente, straniante, ma suggerisce un’idea nuova, quasi letteraria, del significato dell’essere sardi: così come per i poeti dello Stilnovismo la nobiltà non poteva dipendere dal rango sociale o essere ereditaria, ma doveva essere misurata dalle azioni dei singoli individui, allo stesso modo, nel film di Milani, la “sardità” non dipende semplicemente dal luogo di nascita, piuttosto è una condizione legata a lealtà, rispetto e coerenza, valori incarnati dall’uomo Gigi Riva, calciatore di talento, nato in Lombardia.
C’è anche la Sardegna “da cartolina” nel racconto di questo campione, amato dal nord al sud dell’isola: dai Mamuthones di Mamoiada ai Tenores di Neoneli, passando per i Giganti di Mont’e Prama; ci sono i banditi, come Graziano Mesina, e gli artisti, come Fabrizio De Andrè, entrambi estimatori del grande campione; c’è, soprattutto, il racconto di un calcio che oggi pare dimenticato. A raccontarlo, insieme a Gigi Riva, Beppe Tomasini, Angelo Domenghini, Comunardo Niccolai, Ricciotti Greatti, Enrico Albertosi, Adriano Reginato e tutti i compagni della “squadra meraviglia” che ha regalato lo scudetto al Cagliari.
Dopo la proiezione riservata alla stampa, abbiamo chiesto a Riccardo Milani se ci sia nel docu-film la volontà di ispirare nelle generazioni più giovani un’idea differente del calcio, slegata dagli ingaggi milionari e dallo show business imperante: “Amo il calcio, nonostante tutto, e vorrei che venisse praticato nel rispetto del rigore etico e morale che ha caratterizzato la carriera di Gigi Riva” ha risposto il regista, “Proprio per questo motivo nel film si parla anche della Scuola Calcio “Gigi Riva”, da lui fondata: l’impianto principale della scuola, non a caso, si trova in un quartiere problematico di Cagliari, a Sant’Elia. La speranza che possa esserci un calcio diverso, dunque, c’è e in queste realtà si sta lavorando per costruirlo”.
Nel segno di “rombo di tuono”, dunque, lo spirito cavalleresco dello sport che rimane il più amato d’Italia resiste: il film di Riccardo Milani suggerisce che non sia definitivamente perduto.