Grandi occhi azzurri e lunghi capelli biondi, M3gan appare come una deliziosa ragazzina, l’amica ideale per bambini bisognosi di compagnia e protezione e, contemporaneamente, l’alleata migliore che i genitori potrebbero desiderare per affrontare la sfida educativa dei propri figli; particolare non trascurabile, M3gan è anche il prototipo di un sofisticatissimo androide dotato di intelligenza artificiale, programmato per essere associato a un giovane umano che potrà contare su di lui per ogni esigenza psicologica e materiale: la premessa del film, che porta il titolo di questo prodigio tecnologico e che uscirà nelle sale cinematografiche il 4 gennaio, ricalca alcuni temi cari alla fantascienza, legati soprattutto alle narrazioni dell’AI -Artificial Intelligence-, ma fin dal trailer è evidente quanto questa sia contaminata dall’horror.
Non è un caso, dopotutto, che la pellicola sia prodotta da Jason Blum di Blumhouse Productions, che vanta famosi titoli del genere tra i quali “Insidious”, “The Purge”, “Get Out” e “Us”, e da James Wan di Atomic Monster Productions, che ha tra le sue produzioni più significative la saga horror di “The Conjuring”, con i film legati al personaggio della bambola Annabelle: in fatto di giocattoli con le fattezze di inquietanti bambine, dunque, i produttori di “M3gan” possiedono una grande esperienza, ma in questo nuovo titolo la sceneggiatrice Akela Cooper e il regista Gerard Johnstone hanno declinato il tema sondando le angosce e i dilemmi legati all’utilizzo delle nuove tecnologie e all’impatto che possono avere sui fruitori più giovani.
Il film racconta la storia di Gemma (Allison Williams), ingegnere robotico in un’importante azienda di giocattoli, e della sua nipotina di 8 anni Cady (Violet McGraw); la bambina, rimasta orfana, viene affidata alla zia, che si scopre del tutto impreparata alla responsabilità dell’educazione della piccola: le pressioni sul lavoro, causate dagli esperimenti sul prototipo di M3gan di cui è creatrice, rendono Gemma poco lucida e ancora più insicura circa il suo nuovo ruolo di genitore. La donna decide quindi di associare M3gan alla nipotina, nella speranza di regalare alla bambina una compagna che possa alleviare la mancanza dei suoi cari scomparsi e, al contempo, di dimostrare la qualità del suo lavoro, smentendo i dubbi etici sollevati da alcuni colleghi circa l’utilizzo del prototipo.
Il legame instaurato tra Cady e M3gan (acronimo di Model 3 Generative Android) si rafforza di giorno in giorno, ma l’Intelligenza Artificiale si evolve velocemente e l’androide sviluppa un istinto di protezione che supera ogni standard preimpostato: con l’unico obbiettivo di preservare la “sua” umana, M3gan finisce per mettere in discussione l’autorità di Gemma, rendendosi protagonista di una terribile escalation di violenza.
Nella narrazione, così come nell’animo di M3gan, manca dunque l’elemento soprannaturale “maligno”, sostituito da una componente tecnologica altrettanto spaventosa; nelle interviste promozionali, il produttore James Wan ha spiegato questa scelta: “La nostra M3gan si divide fra la bambola Annabelle, simulacro di forze maligne, e Terminator: l’orrore, in questo caso, scaturisce dal progresso nell’applicazione dell’AI”; per il regista Gerald Johnstone, inoltre “Nel DNA di M3GAN è evidente anche l’influenza di Pinocchio, con Gemma nei panni di un moderno Geppetto”.
Di certo gli appassionati di fantascienza e horror si divertiranno a riconoscere nel film più di una fonte d’ispirazione, letteraria e cinematografica, ma indipendentemente dai numerosi omaggi di genere, la pellicola ambisce ad approfondire il rapporto tra uomo e tecnologia, ponendo l’accento sulla genitorialità; la sceneggiatrice Akela Cooper ha sottolineato la volontà di raccontare, col personaggio di Gemma, le insicurezze di una madre single del ventunesimo secolo: “Gemma è totalmente concentrata sul proprio percorso professionale e improvvisamente deve farsi carico della nipotina; piuttosto che affrontare la sfida emotiva che le impone il dover uscire dalla propria zona di comfort, sceglie di usare il lavoro come soluzione. Si nutre dell’illusione di riuscire a prendersi cura della nipote senza effettivamente doverlo fare”.
Il film, oltre a proporre una riflessione generale sull’impatto della tecnologia nella vita quotidiana, analizza il rapporto che le generazioni più giovani instaurano con i dispositivi a cui si affidano con grande naturalezza e in maniera acritica, senza possedere gli strumenti per valutare le conseguenze di una tale dipendenza: “Cosa accadrebbe” si chiede ancora James Wan, “se all’improvviso questi strumenti decidessero di ribaltare i rapporti di potere? Con M3gan abbiamo provato a catturare questa prospettiva”.
L’idea che un tale attacco possa cominciare dall’innocua cameretta di una bambina di 8 anni è sconvolgente, ma, a ben vedere, più plausibile di quanto si possa immaginare, perché suggerisce una penetrazione quotidiana e costante dell’AI nelle nostre vite, della cui reale portata non possiamo avere una consapevolezza immediata. Il tema è stato magistralmente trattato in serie relativamente recenti, come “Black Mirror”, ma già apparteneva alla fantascienza di Isaac Asimov e ai numerosi adattamenti cinematografici che delle sue opere letterarie sono stati realizzati: si pensi, a titolo d’esempio, alla raccolta di racconti del 1950 “Io, robot”.
“M3gan” ambisce a tratteggiare queste tematiche attraverso una rivisitazione dei classici horror legati a una narrazione dell’infanzia perturbante, in cui il brivido scaturisce da uno dei simboli per eccellenza del gioco fanciullesco, la bambola, che si trasforma in un androide ipertecnologico dotato di Intelligenza Artificiale: sarà l’ennesimo, terrificante successo targato Blumhouse?