In Sardegna il XIX secolo portò una ventata di sogni e speranze, soprattutto per l’avvento della Seconda Rivoluzione Industriale e le aspettative verso il progresso tecnologico. Questo, invero, fu il frangente in cui ebbe impulso il sistema dei trasporti e fu avviata la costruzione di numerosi edifici industriali, atti ad assecondare lo spirito produttivo del periodo.
Nonostante il generale entusiasmo, entro la collettività isolana continuavano a serpeggiare risvolti problematici, legati per esempio al fenomeno del banditismo. Sviluppatosi specialmente in Gallura, Ogliastra, Baronie e Barbagia, esso attirò a sé figure enigmatiche, tra cui quella di Maria Antonia Serra-Sanna denominata “Sa Reina”.
Vissuta a Nuoro a cavallo tra ‘800 e ‘900, Maria Antonia Serra-Sanna rappresentò un punto di riferimento per il banditismo locale. Si ritiene infatti che spesso fosse la mente dietro le malefatte dei fratelli Giacomo ed Elias Serra-Sanna, latitanti talmente noti da essere chiamati “Sos gigantes” (“i giganti”) o “Sos senatores” (“i senatori”). Sulla scia di tale notorietà fu ribattezzata “Sa Reina” (“La Regina”), giacché dotata di sufficiente influenza per decidere vita e morte altrui.
Il potere decisionale di Maria Antonia non nacque dal nulla, ma si consolidò gradualmente grazie all’operato della famiglia Serra-Sanna a Nuoro. Provenienti da un umile contesto socioculturale, i Serra-Sanna riuscirono ad arricchirsi dando vita ad un’atmosfera di terrore fatta di furti di bestiame, omicidi e minacce contro chi osava opporsi. Con queste modalità, essi passarono dall’essere modesti pastori al diventare agiati proprietari terrieri, condizione che Maria Antonia ostentava continuamente. Si dice che passeggiasse per la città indossando tanti gioielli e che il suo nome fosse così noto che la gente si inchinava a lei, ammirandone la singolare bellezza.
Donna dai tipici tratti mediterranei, Maria Antonia era dotata anche di spiccata intelligenza messa a servizio delle attività delinquenziali dei fratelli. Colpevoli degli omicidi e furti commessi per arricchire la famiglia, essi vivevano in latitanza mentre la sorella faceva da loro intermediario stando in città. Oltre a portare periodicamente provviste e notizie ai fratelli nascosti, il suo status le permetteva di tenere sotto controllo l’intera cittadina nuorese, dove lei stessa attuava furti e corrompeva le autorità. Tutto ciò era possibile grazie al clima di paura creatosi negli anni e causato dalle diverse morti che anche Maria Antonia contribuì a ideare.
Munita di fucile e travestita da uomo per non farsi riconoscere, Maria Antonia sostentò i fratelli fino al 1899, quando le forze dell’ordine avviarono una serrata ricerca al latitante con l’aiuto della città: la notte tra il 14 e il 15 maggio “Sa Reina” e il padre furono arrestati, seguiti da Giacomo ed Elias catturati circa 2 mesi dopo.
La figura di Maria Antonia Serra-Sanna è solo una goccia nell’oceano del banditismo sardo, fenomeno criminale orientato usualmente al furto di bestiame, omicidio, sequestro di persona e rapina. Sebbene abbia origini molto più antiche le cause derivano dal periodo dell’Unità d’Italia, momento in cui l’isola fu lasciata in balia di povertà, disoccupazione, analfabetismo e nuove leggi.
Nell’aprile 1868 il critico panorama condusse per esempio alla rivolta de “Su Connottu” (“Il conosciuto”), legata al desiderio di tornare alla gestione comunitaria dei pascoli. Ad incarnare un modello in tale disordine subentrò il cosiddetto “bandito”, individuo ritenuto capace di eliminare soprusi ed ingiustizie da parte del neo-governo italiano. Questi uomini appartenevano generalmente al mondo agro-pastorale e vivevano “dandosi alla macchia”, – ossia nascosti ed irreperibili – ricevendo cibo ed aggiornamenti dalle donne di famiglia. Protettive ed attente, esse ricoprirono un ruolo cruciale nel processo di latitanza, consentendo ai banditi di rimanere celati per anni.
L’attivo contributo di Maria Antonia Serra-Sanna – e delle donne sarde in generale – aiutò sicuramente ad alimentare la latitanza e il perpetrare indisturbato dei reati. Ancora oggi la sua nomea esercita un fascino tale da generare diverse riflessioni, a partire per esempio da “Sa reina ‘e sos Prinzipales” di Fatima Becchere, con le illustrazioni di Raffaele Piquereddu. Con l’intento di mitizzare il meno possibile, il volume – uscito nel 2020 – racconta “Sa Reina” cercando di delineare sfumature di una donna spinta all’azione dall’affetto fraterno, ma allo stesso tempo artefice consapevole malgrado le amare conseguenze.
































