La pittura visiva come arte capace di comunicare e indurre alla riflessione. Laura Saddi ricorre a diverse tecniche per ottenere tale scopo, poiché convinta che l’arte sia anche “comunicazione” e, di conseguenza «più modi conosciamo per comunicare e più alta è la probabilità di arrivare a chi ci interessa». Appassionata di disegno sin da bambina, i fogli di carta hanno rappresentato per lei l’unico posto in cui sentirsi libera, sui quali raccontare storie e costruire un mondo che la rassicurasse. Il mondo di Laura è costituito da una stregua variegata di messaggi che riescono a colpire per il loro forte impatto visivo, obbligandoci a cercare di risolvere un enigma al quale sembra voglia sottoporci. Ha una produzione frenetica, è un fiume in piena di idee e progetti. Navigando tra le sue opere, ci si trova a fantasticare osservando i collage realizzati per il progetto “Adesso. In sospeso”, lanciato da Annarita Punzo e Giuseppe Serra i quali, durante il lockdown della scorsa primavera, hanno invitato una rosa di artisti a condividere nella relativa pagina Facebook i lavori realizzati o attinenti a quel periodo. Partecipa con “Diario di quarantena”, una serie di immagini realizzate con una tecnica mista: collage di giornali e autocertificazioni in vigore durante quel periodo. «Durante la quarantena ho realizzato delle illustrazioni in cui ho espresso sensazioni ed emozioni del momento – spiega –. La carta che ho utilizzato è l’ultima pagina dedicata alle note di una piccola enciclopedia del ’68 e, solo negli ultimi due lavori, la pagina di rilegatura di un’enciclopedia medica del 1980».
Spiegare con le parole, altro canale comunicativo dell’arte, le sue opere, non è facile. Il rischio è quello di finire con il semplificare un lavoro tutt’altro che semplificabile. Tra le realizzazioni di “Diario di quarantena” scorrono volti opachi, tumefatti, malinconici, imprigionati, eppur, in maniera prepotente, vivi. È una storia che racconta della caccia all’untore, della diffidenza reciproca, della paura di ciò che non si conosce, della sofferenza dovuta all’impossibilità del contatto umano, della capacità di conservazione del corpo e dello spirito. È come un pugno nello stomaco, provocato da un film reale a cui non vorremmo più assistere.
«La velocità dei media assieme ai continui aggiornamenti e dirette ministeriali e sanitarie hanno evidenziato come la nostra vita fosse precaria, in continua evoluzione e pericolo, illuminata ogni tanto da qualche messaggio di speranza – precisa –. Ai continui buoni propositi si accompagnavano azioni da vigilantes e calunnie che hanno rivelato tutta l’ipocrisia e la grettezza dell’animo umano».
Nonostante trovi le categorie un po’ limitanti, la definizione nella quale la pittrice di Sinnai si identifica di più è quella data da Ivana Salis, una delle curatrici con la quale ha collaborato, che l’ha descritta come appartenente a un surrealismo cosmico di matrice leopardiana.

Il suo stile muta e si trasforma, frutto di una ricerca personale che si nutre di nuovi stimoli e nuove sfide, che non si accontenta di fossilizzarsi in uno stile funzionante e accomodante. Una scelta non solo stilistica, che si fonda su valori profondi: «Penso che la ricerca sia il senso della vita ed essendo atea credo che questa non vada sprecata – confida». Tanti sono i messaggi e i temi da lei affrontati. A primo impatto, dei suoi disegni colpisce una malinconia di fondo. Riflettendoci con più attenzione, le emozioni che evoca sono diverse: ironia, irriverenza, inquietudine, calma. È una contemplazione di un mondo in cui ci si può perdere, quello da lei creato, che alterna pitture e illustrazioni che confondono e inducono a fermarsi, per provare a decodificare un messaggio a volte velato e del tutto individuale. «I soggetti che dipingo sono sempre avvolti da una profonda solitudine, perché è solo quando siamo soli che siamo davvero sinceri», afferma.
Uno stile artistico accurato e intenso che sfocia anche nella realizzazione di figure antropomorfe, di animali affascinanti e oscuri, di una natura che pare voglia avvolgere e proteggere l’uomo.
In “E fu la notte”, mostra nata dal progetto a cura di Chiara Manca che vede protagonisti i pipistrelli, esposta nella galleria “Mancaspazio”, Laura Saddi e Paolo Mura si sono confrontati con l’enorme pipistrello di Robert Rauschenberg (pittore statunitense esponente del neodadaismo e della pop art, attivo negli anni Cinquanta). Le similitudini tra i pipistrelli e gli uomini sono diverse. L’aspetto puramente visivo si fonde con le riflessioni di quest’artista che non smette di affascinare, per la varietà di concetti e di significati intrinseci alla sua opera: «Viviamo entrambi in gruppo. Pur mantenendo ognuno la propria individualità – chiarisce – non possiamo sopravvivere da soli, abbiamo la coscienza del singolo e del gruppo e, pur essendo circondati da altri individui simili a noi, moriamo sempre da soli».
Un’arte in grado di sintetizzare la società contemporanea, così come facevano le miniature medievali alle quali s’ispira, che ha l’ambizione di innescare un profondo dialogo non solo con gli appassionati e gli intellettuali ma con chiunque si trovi a poterne fruire. Un lavoro che mira a smuovere le coscienze, far ragionare, mettere in risalto le contraddizioni della nostra epoca e quelle esistenti tra la condizione umana, precaria e infinitesimale, e la natura che ci circonda e di cui siamo parte, spesso inconsapevolmente.































