Efisio Marras: “Dentro ai miei abiti mi piace immaginare la gente che si innamora”

Efisio Marras. Foto: Gianmichele Manca

Ha studiato alla Parsons School of Design di Parigi, alla Central St. Martin di Londra e alla Temple University di Tokyo, e, dopo un internship nello studio fotografico di Mario Sorrenti a New York, è diventato il direttore creativo della seconda linea I’M Isola Marras. Lui è Efisio Marras, primogenito dello stilista Antonio Marras. Abbiamo fatto una chiacchierata con lui per conoscerlo meglio.

 

Raccontaci chi è Efisio Marras.
Domanda difficilissima e senza risposta. Se una risposta esiste, è in continua mutazione. Penso di essere come qualsiasi ragazzo di 25 anni, in continuo cambiamento ed alla ricerca perenne di me stesso. Banale, ma vero!

Come ti sei avvicinato al mondo dell’arte?
Penso di esserci nato; con i miei genitori si disegna prima di iniziare a scrivere, e si va al cinema ma non per passare il tempo. Provare ad essere un artista è un’enorme traversata, non basta avere mille spunti e stimoli in svariati campi delle arti applicate.

Cos’è l’arte per te?
Sicuramente “arte” è una parola della quale abusiamo continuamente. Penso che, oggi, tutto possa essere “arte”, e allo stesso tempo no. Penso sia fantastico, e sicuramente intrigante, avere la possibilità di creare qualsiasi cosa, senza dover rendere conto a nessuno. Forse per pigrizia, o quasi sicuramente per una specie di viltà intellettuale, quasi auto-accetta, ho smesso di cercare una definizione. Certo è che, dell’arte, sento e godo gli aspetti benefici, e la grande spinta auto-interrogativa, alla quale ci spinge ogni volta che si mette in contatto con noi.

Cosa facevi prima di accettare l’investitura di tuo padre?
Vivevo a Brooklyn, lavoravo in uno studio fotografico come secondo assistente. Vivevo, mangiavo, facevo giri nei musei, serate, insomma tutto quello che un ragazzo dell’isola farebbe a NYC.

In che modo ti aiutano queste tue esperienze passate?
Sicuramente l’aver affrontato vari corsi di studi, da quelli letterari/filosofici a quelli più pratici (come la serigrafia e la fusione del bronzo) mi è servito tantissimo. Devo dire che, al momento, sto cercando il modo di far coincidere questa mia nuova vita da “designer”, o “creative director”, con dei nuovi corsi di studi che mi piacerebbe approfondire. Vorrei studiare teatro e anche un po’ di storia contemporanea, della quale sono per la maggior parte all’oscuro, ma mi trovo ad impegnare ogni mio secondo a pensare alla mia prossima collezione: come presentarla, come fotografarla, che musica associarci e come raccontarla ai miei amici. Ogni libro che ho letto, ogni persona con cui chiacchiero la sera, mi aiutano a capire un po’ di più me stesso ed il mondo, ed è sicuramente per il mondo che esiste I’M Isola Marras. Vorrei che fosse una linea quotidiana, easy, un daywear nel quale sentirsi bene, sentirsi fighi ma perfetti per una semplice passeggiata in spiaggia. Sicuramente ogni mia piccola esperienza, dalla scuola a Parigi alle estati alla Valle della Luna, sono fondamentali per le mie creazioni.

Avevi messo in conto di poter seguire le orme di tuo padre?
Avevo sempre affermato con fervore che non avrei mai seguito le sue orme! Ma, come ho detto, cambio di continuo e poi, se tuo padre avesse un forno, sarebbe stupido non imparare a fare il pane.

Parlaci della tua visione della moda. In cosa differisce da quella di tuo padre?
Siamo due persone molto diverse, anche se innegabilmente legate dalla genetica e dalla somiglianza dei tratti somatici, di conseguenza, anche le nostre rispettive visioni della moda differiscono, pur somigliandosi. Vedo mio padre come un maestro, è per me ispirazione continua, è come un punto-luce di esperienza ed innata naturalezza in quello che fa, quasi inarrivabile. Mi trovo più volte a guardare le sue prime sfilate e rovistare nell’archivio di mamma, per cercare qualche vecchio parka del 1998 ed ammirarne la (de)costruzione. Io non possiedo, purtroppo, il suo senso della poesia o la sua vena artistica. Penso vestiti che si indossano, che si strappano ballando e dentro i quali mi piace immaginare la gente che suda, che freme, che si innamora dei passanti e gli corre dietro. Mi piace pensare che la mia sia una moda anti-ispirazionale, non perché non mi piaccia raccontare delle storie attraverso le collezioni, ma semplicemente perché dentro i vestiti di Isola Marras, la storia la scrive chi li ha indosso. Mi piace disegnare abiti giornalieri, con cui vedo le mie amiche andare in spiaggia ad Alghero, uscire la sera a Milano o prendere un aereo per Tokyo e precipitarsi ad un karaoke ad Harajuku. Le collezioni di Isola Marras sono pensate per i viaggiatori che si perdono in posti mai visti prima, per le ragazze che vogliono sentirsi belle e stare comode, per gli amati che se li stappano di dosso con le unghie; sono dei pezzi per viverci dentro, che ti accompagnano nel cambiamento continuo del tuo io.

Quanto conta la formazione nel tuo lavoro?
Tantissimo e pochissimo. Prima di averlo visto in studio da babbo, non ho mai studiato come tracciare un cartamodello a scuola. Non sarei nulla di quello che sono ora, senza i miei studi. Ma ogni mia piccola esperienza mi ha portato a rincasare proprio in quello studio.

Che rapporto hai con la tradizione? Che ruolo gioca nel tuo lavoro?
Un rapporto incasinatissimo. Anche perché penso che la mia generazione sia affetta da una specie di “rifiuto delle radici”. Amo le antiche tradizioni sarde, (proprio in questi giorni sto leggendo un libro bellissimo sulle storie dei Banditi Sardi dell’ottocento) ma, in eguale misura, mi affascinano le tradizioni degli altri paesi: da I racconti del cuscino, al Vimana. Penso che tutte le tradizioni abbiano un fortissimo ascendente su di me, ovviamente a quella della nostra isola ci sono particolarmente affezionato.

Cosa c’è nel futuro di I’M Isola Marras?
Non so, a momenti ho pensato che non avesse senso continuare a produrre altri vestiti. Sui mercati mondiali c’è un’innumerevole quantità di prodotti, tanto che ultimamente mi sono chiesto svariate volte se avesse senso mettersi in coda nella corsa del consumismo. Devo dire, però, che non penso che la fine di Isola Marras avverrà a breve. Ultimamente sto lavorando con uno strettissimo numero di amici e colleghi, con i quali abbiamo intenzione non solo di rivoluzionare, ma anche di migliorare il modo in cui si pensa alla moda, ai vestiti, a noi stessi. Vorrei che Isola Marras diventasse una specie di “casa produttrice”, vorrei che fosse terreno fertile per tante cose, non solo vestiti, ma anche per libri, testi, foto, immagini e sensazioni. Mi piacerebbe fare evolvere la linea in qualcosa di più che il semplice susseguirsi di collezioni stagionali. Ma ancora io ed il mio fantastico team stiamo studiando come attuare questa piccola rivoluzione.

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