La Sardegna è oggi uno dei laboratori più interessanti per lo sviluppo dell’ostricoltura nel Mediterraneo. Le sue lagune, oltre diecimila ettari di acque ideali per questa attività, ospitano circa cinquecento ettari di impianti che producono oltre 230 tonnellate di ostriche ogni anno. Un risultato impensabile fino a pochi anni fa, quando la produzione sarda non superava le cinque tonnellate. La crescita non riguarda soltanto la quantità, ma anche la qualità del prodotto, frutto dell’unione tra tradizione, competenze locali e innovazione tecnologica.
L’ostricoltura nell’isola racconta una storia di riscatto e di visione. Nei principali centri costieri – da Cagliari a Muravera, da Tortolì a San Teodoro, Olbia, La Maddalena, Porto Pozzo, Alghero e Arborea – le ostriche vengono allevate in ambienti di grande valore naturalistico. In questi luoghi, il legame tra economia e natura trova un equilibrio delicato: gli allevamenti contribuiscono alla crescita del territorio senza compromettere gli ecosistemi lagunari e marini. Anzi, li rafforzano, poiché le ostriche svolgono un ruolo ecologico fondamentale filtrando l’acqua e migliorandone la qualità.
Cuore di questo sviluppo è il lavoro coordinato da Sardegna Ricerche, Agenzia regionale per l’innovazione tecnologica. Dal 2015 l’ente ha investito nella creazione di un sistema solido che mette in rete ostricoltori, centri di ricerca e università. Con il progetto OstrInnova, realizzato insieme alla Fondazione IMC di Torregrande e agli enti regionali Agris e Laore, sono stati introdotti metodi di produzione più efficienti e sostenibili, capaci di rilanciare il comparto e aprirlo ai mercati internazionali.
Le tecniche tradizionali, come le poches galleggianti di origine francese, sono state in parte sostituite da soluzioni tecnologiche più performanti. Tra queste, il sistema Ortac sfrutta onde, maree e correnti per mantenere le ostriche in movimento, favorendo una crescita uniforme e naturale. Il Flip Farm System, mutuato dalla Nuova Zelanda, riduce lo sforzo manuale dei produttori, garantendo allo stesso tempo una qualità costante del prodotto. Queste innovazioni hanno reso la Sardegna un punto di riferimento per l’ostricoltura mediterranea, capace di coniugare produttività e rispetto ambientale.
Le specie allevate sono principalmente due: la Crassostrea gigas, o ostrica concava, originaria dell’Asia ma oggi diffusa a livello globale, e la Ostrea edulis, ostrica piatta autoctona del Mediterraneo. La prima è più resistente e veloce nella crescita, la seconda più delicata e pregiata, ma sensibile ai cambiamenti ambientali. Uno degli obiettivi di OstrInnova è proprio quello di rilanciare la produzione dell’ostrica mediterranea, diversificando l’offerta e valorizzando una specie che rischiava di scomparire. In questo modo, la filiera potrà contare su una gamma più ampia di prodotti, con importanti ricadute economiche e culturali.
L’impegno di Sardegna Ricerche si inserisce in una visione di sviluppo che privilegia la sostenibilità e la cooperazione tra istituzioni, imprese e ricerca scientifica. «Il settore dell’ostricoltura sarda rappresenta un esempio concreto di come la ricerca e l’innovazione possano generare sviluppo sostenibile, valorizzando al tempo stesso le competenze locali e le risorse ambientali del territorio» afferma Carmen Atzori, Direttrice Generale di Sardegna Ricerche. «Il documentario “Ostriche di Sardegna” racconta questo percorso e testimonia il valore di un modello di crescita fondato sulla conoscenza, sulla cooperazione e sulla sostenibilità.»


Quel racconto prenderà forma mercoledì 19 novembre, alle ore 17:00, a Sa Manifattura di Cagliari, con la proiezione del documentario “Ostriche di Sardegna. Produzione, ricerca e innovazione”, ideato e prodotto proprio da Sardegna Ricerche. Il film, scritto e diretto da Davide Melis, dà voce agli ostricoltori e mostra un’ora di testimonianze e immagini girate nei luoghi simbolo dell’isola dove l’acqua, il sole e il vento plasmano ogni giorno una produzione che unisce sapore, sostenibilità e sapere tecnico.
Una narrazione che non celebra solo un prodotto, ma il percorso collettivo di un territorio capace di trasformare la sua vocazione naturale in un modello di innovazione condivisa, dove impresa e ambiente crescono insieme.
































