Negli ultimi giorni hanno fatto tanto discutere e hanno riaperto un complesso dibattito riguardo la pratica del suicidio assistito i casi di Fabio Ridolfi e di “Mario”. Ma cosa è successo?
Fabio, 46 anni, è morto ieri 13 giugno attraverso una sedazione profonda a cui è stato costretto a ricorrere perché le modalità del suicidio assistito non gli erano state comunicate. Da 18 anni era immobilizzato a letto a causa di una tetraparesi e aveva più volte chiesto all’Azienda sanitaria delle Marche di poter accedere al suicidio assistito, in base alla sentenza della Corte costituzionale sul caso di Fabiano Antoniani, conosciuto come dj Fabo, ma nonostante fosse stato stabilito che Ridolfi avesse tutti i requisiti per accedere legalmente al suicidio assistito, non gli era mai stato indicato un parere sul farmaco e sulle modalità della sua somministrazione. “Mario” (nome di fantasia) ha invece 44 anni e dal 2010 è tetraplegico a causa di un incidente. Si tratta della prima persona in Italia ad aver ottenuto il diritto al suicidio medicalmente assistito ma, a causa della mancanza di una legge, lo Stato non si fa carico dei costi dell’assistenza al fine vita e Mario dovrebbe pagare circa 5mila euro per l’acquisto del farmaco e delle apparecchiature per l’infusione.
Ma facciamo un po’ di chiarezza: cosa si intende per suicidio assistito, come funziona e dov’è legale? Il suicidio medicalmente assistito consiste nell’aiuto medico e amministrativo che viene dato a un soggetto che ha deciso di morire tramite suicidio. Il medico è quindi una figura che fornisce gli strumenti per raggiungere lo scopo, ma l’ultimo gesto (ad esempio, ingerire il farmaco letale) spetta a chi ne fa la richiesta. Il suicidio assistito si differenzia dall’eutanasia proprio per il ruolo del medico, in quanto con il suicidio assistito fornisce solo il farmaco necessario per la pratica, mentre con l’eutanasia ha una funzione: nella forma attiva somministra il farmaco, in quella passiva sospende le cure spegnendo le macchine che tengono in vita il soggetto.
Oggi il tema è oggetto di forte dibattito internazionale, sia per questioni di natura religiosa sia per questioni di natura etica e sono ancora poche le nazioni che garantiscono il suicidio medicalmente assistito. Tra queste c’è l’Olanda, il Belgio, il Lussemburgo, la Svizzera, la Colombia, la Spagna e alcuni Paesi degli Stati Uniti (Oregon, Washington, Montana e California). In Svezia, Danimarca e Norvegia invece è tollerato ma non legiferato. Le condizioni variano da ordinamento a ordinamento. In Svizzera, ad esempio, la persona che vuole accedere al suicidio assistito dev’essere in condizioni di “sofferenza inguaribile”, adeguatamente informata sulle alternative, capace di intendere e di volere, ed è tassativamente proibita l’assistenza fornita con scopo di lucro.
La situazione in Italia è differente e molto complessa. Come si legge sul sito dell’Associazione Luca Coscioni, attualmente in Italia l’eutanasia costituisce reato. Al contrario, il suicidio medicalmente assistito (in casi specifici e determinati) e la sospensione delle cure (intesa come eutanasia passiva) costituisce un diritto in base all’articolo 32 della Costituzione e alla legge 219/2017.
Nel nostro Paese però non esistono leggi che riconoscono il suicidio medicalmente assistito in tutti i suoi casi e che lo regolamentano. Lo scorso marzo ha ottenuto il via libera alla Camera un primo disegno di legge sul fine vita, con cui si vuole introdurre in Italia il suicidio assistito, che recepisce la cosiddetta sentenza Cappato (relativa all’aiuto fornito dall’attivista dell’Associazione Luca Coscioni Marco Cappato a dj Fabo, tetraplegico a causa di un incidente, per morire in una clinica svizzera che pratica il suicidio assistito). Il testo, chiamato “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita”, è stato approvato con 253 voti a favore, 117 contrari e un astenuto. Stabilisce che il paziente per usufruire della pratica del suicidio assistito dev’essere “tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Prevede anche l’esclusione della punibilità per il medico, il personale sanitario e amministrativo e per chiunque abbia aiutato il paziente nell’esecuzione della pratica di suicidio medicalmente assistito. Inoltre, medici e personale possono rifiutarsi di eseguire la procedura, grazie alla clausola di obiezione di coscienza inclusa nella proposta.
Ma l’Associazione Luca Coscioni ha tenuto a sottolineare che il testo approvato alla Camera produce discriminazioni sui pazienti, negando la possibilità di accedere al suicidio assistito a chi non è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, come i malati terminali di cancro o diverse malattie neurodegenerative. Inoltre, secondo l’Associazione, l’introduzione dell’obiezione di coscienza per medici e personale sanitario potrebbe significare che in alcuni ospedali ci sarà la totale assenza di personale disposto a mettere in pratica il suicidio assistito. Queste limitazioni potrebbero impedire l’accesso al suicidio assistito o creare forti difficoltà, come attese molto lunghe, a chi ne farà richiesta. Inoltre, il testo non riempie il vuoto esistente in tema di eutanasia, il cui emendamento è stato bocciato in Commissione, non prendendo in considerazione l’iniziativa firmata da oltre un milione e 200 mila persone per il referendum Eutanasia legale.