Mutilazioni genitali femminili: cosa sono e perché vanno fermate

Cosa dice l’Oms, perché e dove vengono praticate, quali sono le loro conseguenze? Tutto quello che c’è da sapere su un fenomeno che, secondo l’UNICEF, è ancora in crescita

Mutilazioni genitali femminili. 📷 Depositphotos

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Non si tratta purtroppo di un’usanza superata, le mutilazioni genitali femminili sono praticate ancora oggi e non in pochi casi isolati: in Africa, secondo l’ultimo rapporto diffuso il mese scorso dall’UNICEF, sono circa 140 milioni le bambine e le giovani donne sottoposte a questo orrore. Ma cosa sono le mutilazioni genitali?

Circoncisione femminile, clitoridectomia, infibulazione, escissione, taglio genitale, sono solo alcuni dei nomi che si possono usare per far riferimento allo stesso fenomeno: quello delle mutilazioni genitali femminili. La pratica consiste nella brutale mutilazione degli organi genitali esterni di giovani donne, per lo più bambine (dai pochi giorni di vita ai quindici anni), per mantenerle “pure”. Usanze atroci e arcaiche di cui è difficile ricostruire l’esatta origine a causa della molteplicità delle forme e dell’ampia diffusione geografica. Si sa però che si tratta di tradizioni molto diffuse sia in Africa che in alcuni Paesi Medio Oriente e che con i flussi migratori si stanno propagando anche nei Paesi occidentali.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) le definisce come “tutte le procedure che includono la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre lesioni agli organi genitali femminili per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche”. Ne identifica quattro categorie: l’infibulazione, l’escissione, la clitoridectomia e tutte le altre pratiche nocive per gli organi genitali femminili eseguite per fini non terapeutici come incisioni, punture e perforazioni.

Il problema di tale pratica non è solo etico, ma riguarda soprattutto la salute di donne e bambine. Infatti, le operazioni non vengono svolte da medici, ma da donne prive di qualsiasi conoscenza in ambito medico. Di solito ad amputare i genitali delle bambine sono le persone del posto, levatrici o donne anziane dei villaggi che eseguono la pratica in condizioni igieniche scarse o addirittura inesistenti. Inoltre, non viene effettuata anestesia e vengono utilizzati strumenti del tutto rudimentali come vetri rotti, pietre appuntite, coltelli, forbici, rasoi.

Le conseguenze per le vittime sono sia di tipo fisico che psicologico. Oltre al dolore disumano causato dalla lacerazione e la perdita di sangue durante la pratica, possono provocare alla donna delle emorragie e persino portare alla morte. Inoltre, l’utilizzo degli strumenti non sterilizzati favorisce la diffusione del virus dell’Hiv e causa l’insorgere di infezioni alla zona genitale e alle vie urinarie. Possono anche determinare problemi nel periodo delle mestruazioni, dolore durante i rapporti sessuali, calcoli, difficoltà ad urinare e complicanze al momento del parto. Dal punto di vista psicologico, la violenza subita crea un trauma profondo nelle bambine, portandole a vivere in una condizione di forte paura e angoscia.

Le mutilazioni genitali femminili nascondono spiegazioni culturali e sociali. Secondo le tradizioni, mutilare una bambina serve a definire la sua identità di donna. Essere mutilata significa essere accettata dalla società e non esserlo rappresenterebbe venire emarginate per tutta la vita. Una donna mutilata ha una bellezza maggiore rispetto a una donna “integra” che è invece considerata “impura”. Le donne che hanno subito la pratica continuano a sottoporvi le figlie proprio per garantire loro un futuro.

L’usanza rappresenta anche un mezzo di sottomissione femminile. È un modo per controllare la donna, la sua sessualità e impedirne la libertà. Eliminando in questo modo qualsiasi forma di piacere sessuale, la donna non avrà desiderio e resterà fedele al marito. Questo si basa sull’assurdo principio secondo cui la donna non deve provare alcun piacere durante l’atto sessuale perché concepito solo come strumento di riproduzione e di soddisfazione per l’uomo.

La mutilazione genitale femminile è a tutti gli effetti una violazione della donna e dei diritti umani. Si tratta di una violazione del diritto alla libertà, alla vita, alla sicurezza personale, alla salute e all’integrità fisica. È anche violazione del diritto a non essere sottoposti a trattamenti disumani, a non subire violenze e alla non discriminazione. Tutti diritti affermati da Carte internazionali.

Negli ultimi anni sono stati fatti alcuni tentativi per bloccare o almeno far regredire il fenomeno, ma le mutilazioni sono una pratica brutale che viene eseguita ancora anche in Italia nonostante la legge n. 7 del 2006 la vieti espressamente. Secondo i dati, infatti, sono circa 80mila le donne che hanno subito l’infibulazione e il numero è tristemente destinato ad aumentare. Riuscire ad abolire il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili sarebbe un grande passo avanti verso la tutela delle donne e dei loro diritti fondamentali.

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