Leggende sarde: da Mommotti a Maria Farranca, i racconti per spaventare i bambini

Nell'isola, i racconti popolari avevano una funzione educativa. Scopriamo le figure mitologiche nate per insegnare ai più piccoli a non disobbedire e a stare lontani dai pericoli

Da Mommotti a Maria Farranca, i racconti per spaventare i bambini. Credit S&H Magazine

Da Mommotti a Maria Farranca, i racconti per spaventare i bambini. Credit S&H Magazine

Da sempre, ogni racconto, anche il più tenebroso, custodisce un monito da non dimenticare. 

La Sardegna, terra antichissima e per questo da sempre circondata da un alone di mistero, è costellata di vecchie storie e leggende popolari, tramandate di generazione in generazione. Questi racconti non avevano soltanto una funzione narrativa, ma anche educativa, poiché contribuivano a mantenere l’armonia nelle famiglie e nella comunità, suscitando timore e rivolgendo avvertimenti, soprattutto ai bambini, grazie alle figure mitologiche che ne erano protagoniste.

Quale bambino, dopo qualche marachella o capriccio, non è mai stato avvertito dalla mamma che presto sarebbe arrivato “l’uomo nero”? Nell’Isola, davanti al focolare, gli anziani raccontavano di un essere malvagio chiamato Mommotti o, in alcune zone, Babborcu, un orco famelico che portava via i bambini disobbedienti.

Le origini di Mommotti sono avvolte nel mistero. Alcuni credono che risalga all’epoca precristiana e che il suo nome e le sue sembianze derivino dai Mamuthones, le maschere del carnevale di Mamoiada, dall’aspetto feroce e animalesco. Altri sostengono che sia nato in epoca cristiana e medievale, incarnando una delle tante immagini del demonio.

Anche l’aspetto di Mommotti cambia a seconda dei racconti. C’è chi lo immagina dal volto oscuro e avvolto nell’ombra, chi come un folletto diabolico, chi ancora come un uomo mascherato con barba lunga e cappuccio, che girava armato di un grosso bastone. Ma, a prescindere da quali fossero le sue sembianze, la sua missione era sempre la stessa: portare via i bambini che non si comportavano bene, ricordando a tutti che la disobbedienza aveva conseguenze.

I bambini indisciplinati sapevano che rischiavano di poter finire anche nelle grinfie di Maria Ortighedda, una donna anziana dall’aspetto sinistro. Secondo la leggenda, questa vecchia vagava per le campagne dell’Isola raccogliendo ortiche – da qui il suo nome -, che poi riponeva con cura nella grande tasca del grembiule che indossava.

Durante i suoi giri, si fermava a scrutare le case, ascoltando le voci e osservando ogni gesto, con particolare attenzione ai più piccoli. Si racconta che, quando incontrava bambini capricciosi che gironzolavano di nascosto, non esitava a punirli, afferrandoli e infilandoli nella sua tasca piena di ortiche pungenti, per portarli via con sé. I genitori evocavano, infatti, la sua figura con la frase: “Se non la smetti, ti porta via Maria Ortighedda”, così da convincere i figli a restare vicino a casa per non incorrere in pericoli o incontri con sconosciuti.

Per persuadere invece i bambini ad andare a letto presto e a non fare chiasso durante la notte, evitando di disturbare il riposo degli adulti, gli veniva raccontata la storia di Tziu Masedu. Si trattava di un anziano scorbutico e irascibile, pronto ad arrivare per vendicarsi di chi non rispettava il silenzio, rovinandogli il sonno. Le sue severe punizioni colpivano soprattutto i bambini vivaci e rumorosi, che imparavano così a temere l’arrivo di questo losco figuro come conseguenza della propria irrequietezza.

Un’altra leggenda, raccontata per tenere i bambini in casa durante le giornate di maltempo, era quella di Su Carru de Nannai, un carro guidato da un cocchiere e trainato da imponenti cavalli, carico di pietre e massi. Il suo passaggio provocava un rumore assordante, simile a quello di un forte temporale.

Il nome del carro avrebbe origini antiche: secondo alcune interpretazioni, deriverebbe dai Sumeri, dall’unione del nome del Dio “An” con quello della sua dimora “Eanna”. Con il tempo, la parola si sarebbe poi modificata e adattata alla lingua sarda, diventando Nannai.

Secondo la versione principale della leggenda, il padrone del carro era una divinità capace di controllare tuoni e fulmini. Il fragore del suo passaggio annunciava l’arrivo della tempesta, spaventando i bambini e inducendoli a restare al sicuro in casa. Esistono però anche altre due varianti della storia. In una, il cocchiere era un uomo crudele e implacabile, pronto a rapire col suo carro i bambini che incontrava lungo il suo tragitto. Nell’altra versione, invece, era un vecchietto che, tornando a casa con il suo carretto sgangherato pieno di sassi, produceva un rumore simile a quello dei tuoni. Nella zona del Campidano, infatti, si pensava che Nannai significasse “nonno”, e la storia serviva a rassicurare i bambini spaventati dai temporali: non era altro che il passaggio del carro del nonno.

Ma nelle storie nere della tradizione isolana non poteva mancare, per ultima, la figura di una strega, in questo caso una strega dei pozzi, Maria Farranca. Alcuni la consideravano addirittura la guardiana della sorgente di Su Gologone, a Oliena, o del canale di Mammaranca che attraversa il Cagliaritano.

Questa strega aveva l’aspetto di una vecchia spaventosa, con braccia lunghe e mani simili ad artigli, pronte ad afferrare i bambini che si avventuravano vicino ai pozzi. Si racconta che li facesse precipitare all’interno, dove, secondo la leggenda, lei stessa abitava. Le famiglie narravano questa storia proprio per far sì che i bambini si tenessero lontani da cisterne e corsi d’acqua, evitando così possibili incidenti e trasformando, anche in questo caso, un racconto di paura in una lezione da imparare.

Exit mobile version