Di generazione in generazione, le leggende popolari sarde hanno alimentato e tutt’ora nutrono un forte legame tra l’isola e i suoi abitanti, rendendo sempre più affascinante una già sfaccettata identità. Fate, spiriti, creature misteriose popolano tali racconti, usati a volte per trasmettere insegnamenti ai più giovani e spesso oggetto anche di vere e proprie manifestazioni, come il Carnevale. Un contesto in cui prende vita anche la figura de Su Maschinganna, piccolo diavoletto dall’indole dispettosa.
Detto anche “Su Ingannadore” (“L’Ingannatore”), in genere “Su Maschinganna” appare un essere inquietante dai tratti demoniaci, ma caratterizzato da un atteggiamento assai burlone. Come infatti dice il nome stesso, si racconta che esso avrebbe la tendenza a prendersi gioco degli altri con dispetti e imbrogli, soprattutto a discapito di pastori, agricoltori e abitanti della campagna. Un luogo particolarmente apprezzato da “Su Maschinganna”, che invece eviterebbe simboli cristiani come cimiteri e croci – per esempio presenti in chiese campestri e centri abitati – giacché rischierebbe di dissolversi in una bolla di fumo e di non poter tornare sulla Terra per 33 anni.
Elementi che emergono in vari racconti sulla creatura leggendaria, tra cui quello di Pasquale Demurtas, autore di “Sardegna Paranormale. Racconti del terrore”. Pubblicato nel 2017, il libro narra l’esperienza di Giuseppe e del figlio Federico, intenti quel giorno a tornare al proprio podere. Durante il viaggio, i due si imbatterono in una donna apparentemente normale, ma che una volta mostrato il volto rivelò uno sguardo spaventoso, mento sino al petto, pelle rugosa e orecchie a punta. Terrorizzati, padre e figlio si resero conto di avere davanti “Su Maschinganna” e si fecero il segno della croce, convinti che ciò potesse bastare per proteggersi.
Malgrado il gesto religioso, la creatura però non si arrese e iniziò a fare dispetti sotto diverse forme, passando dall’essere un mansueto giovanotto al diventare un elegante signore dedito a raccogliere terriccio presso un laghetto. Soprattutto quest’ultima situazione destò sospetti in Giuseppe, giunto anch’egli al lago per procurarsi erbe curative per Federico. Il ragazzo, infatti, si era nel frattempo ammalato di un’insolita febbre, potenzialmente attribuibile al precedente incontro con la creatura.
Catturato quindi l’uomo, Giuseppe lo legò nei pressi di una croce e iniziò a recitare preghiere, che fecero uscire allo scoperto le vere sembianze e lo fecero dileguare in fumo. Facendo questo il demone non sarebbe più tornato per 33 anni e Federico sarebbe finalmente guarito, dimenticando la spiacevole esperienza.
Una suggestiva narrazione che trova terreno fertile anche in altre declinazioni del racconto, diffuse in Sardegna ciascuna con proprie peculiarità. Mentre per esempio a Belvì (NU) si dice che “Su Maschinganna” avesse un aspetto antropomorfo, – caratterizzato dal fatto di adottare un atteggiamento diverso con buoni e cattivi – a Samugheo (OR) esso assume invece connotati più bestiali e misteriosi. Tale versione vede protagonista un uomo, che una notte andò a cercare cibo per i figli e si imbatté in un ariete che decise di catturare. Una volta fatto ciò, sulla via del ritorno fu improvvisamente salutato da un essere simile a quello che stava trasportando e che poi risultò essere la stessa bestia caricata precedentemente sulle spalle, risultanti ora più leggere. A quanto pare non solo quella creatura era “Su Maschiganna” sotto false vesti, ma quest’ultimo aveva dato prova di possedere anche il potere dell’ubiquità.
Al netto del gusto magico, tutti questi racconti rappresentano tasselli di un quadro più ampio, poiché il ruolo de “Su Maschinganna” nel panorama sardo risulta invero assai viscerale. Il piccolo demone può infatti vantare un’importante presenza anche in alcuni Carnevali isolani, a partire da quello di Ulà Tirso (OR) dove la sua maschera presenta pelle di montone o caprone, evocante uno degli aspetti assunti più di frequente. Completano poi il vestiario il forte suono dei campanacci, “sos cosinzos” (gli scarponi), “sos cambales” (i gambali di pelle) e il viso dipinto di nero. Un’estetica che delinea una figura avente il compito di aprire il corteo e di spaventare le ragazze vergini del paese, risucchiando il pubblico in un vortice di fascinazione e tradizione.
