Viaggio tra le umane passioni con la Stagione 2022-2023 de La Grande Prosa e Danza organizzata dal CeDAC/ Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna al Teatro Verdi e al Teatro Comunale di Sassari.
Undici titoli in cartellone tra dicembre e aprile, con i grandi protagonisti della scena italiana e internazionale, tra moderne riletture di classici, da Shakespeare a Molière, e testi di autori contemporanei, spaziando tra brillanti commedie, divertissement in musica e ritratti d’artista, echi della storia del Novecento e intricati intrecci sentimentali, accanto alle affascinanti creazioni di celebri coreografi. Tra i protagonisti lo scrittore Daniel Pennac, artisti del calibro di Remo Girone, Maria Paiato con Mariangela Granelli e Ludovica D’Auria, Emilio Solfrizzi, Lucrezia Lante della Rovere e Stefano Santospago, Elio aka Stefano Belisari, e prestigiose compagnie di danza come l’Ukrainian Classical Ballet, la Koresh Dance Company, il Balletto di Roma e l’Aterballetto.
Una programmazione ricca e variegata, pensata per un pubblico raffinato e esperto, amante della prosa e curioso delle novità, con una speciale attenzione per le giovani generazioni, che potranno (ri)scoprire immortali capolavori e confrontarsi con la nuova drammaturgia, oltre alle incantevoli favole sulle punte e le moderne variazioni dell’arte di Tersicore, con le spettacolari e suggestive coreografie di Roni Koresh, Valerio Longo e Johan Inger.
Viaggio nell’universo narrativo, denso di suggestioni oniriche e fantastiche, di Daniel Pennac – martedì 6 dicembre alle 21:00 al Teatro Verdi – con “Dal Sogno alla Scena”, originale spettacolo creato insieme con Clara Bauer (sua la mise en espace) e Pako Ioffredo dallo scrittore francese, che diventa anche protagonista sulla scena con Pako Ioffredo e Demi Licata per una riflessione sul (suo) teatro, incentrata sulla dimensione del sogno. Tra frammenti e citazioni da “La Legge del Sognatore”, “Storia di un corpo”, “Bartleby – Mon Frère”, “Grazie”, “L’avventura Teatrale – Le mie italiane”, l’autore della saga dei Malaussène (si) racconta, parla dell’ispirazione e della genesi dei suoi libri e delle opere teatrali, spaziando tra letteratura e arti della scena. «Quando sogniamo il nostro cervello produce delle immagini che si trasformano in sensazioni, bellissime, se ricordiamo i sogni come meravigliosi, terribili, se li definiamo incubi al nostro risveglio» – afferma Pennac -. «Nel momento in cui ci affidiamo alle parole, immagini e sensazioni non saranno più le stesse, la nostra intelligenza diurna le reinterpreterà: così nasce il racconto».
Omaggio a uno dei cantautori più conosciuti e amati – giovedì 15 dicembre alle 21:00 al Teatro Comunale – con “Ci Vuole Orecchio / Elio canta e recita Enzo Jannacci” (produzione AGIDI e IMARTS) con drammaturgia e regia di Giorgio Gallione, dove un istrionico Elio (al secolo Stefano Belisari, cofondatore e frontman del gruppo cult Elio e le Storie Tese) reinterpreta alcuni dei brani più significativi del poliedrico artista milanese. «È un viaggio dentro le epoche di Jannacci, perché non è stato sempre uguale: tra i brani c’è La luna è una lampadina, L’Armando, El purtava i scarp del tennis, canzoni che rido mentre le canto» rivela Elio nell’intervista di Anna Bandettini -. «Ne farò alcune snobbate, Parlare con i limoni, Quando il sipario calerà. Perché c’è Jannacci comico e quello che ti spezza il cuore di Vincenzina o Giovanni telegrafista, risate e drammi. Come è la vita: imperfetta. E nessuno meglio di chi abita nel nostro paese lo sa».
Il gioco del potere in un’isola sospesa tra vita e sogno – lunedì 9 gennaio alle 21:00 Comunale – con “La Tempesta” di William Shakespeare con traduzione e adattamento di Alessandro Serra, che firma anche la regia, oltre a scene, luci, suoni, costumi, di uno spettacolo visionario, ricco di pathos e poesia. Sotto i riflettori (in ordine alfabetico) Andrea Castellano, Vincenzo Del Prete, Massimiliano Donato, Jared McNeill, Chiara Michelini, Maria Irene Minelli, Valerio Pietrovita, Massimiliano Poli, Marco Sgrosso, Bruno Stori, che incarnano i personaggi di una favola senza tempo, tra tradimenti e intrighi, ambizione, odio e vendetta, accanto alla forza salvifica dell’amore. «“La Tempesta” è un inno al teatro fatto con il teatro» – sottolinea Alessandro Serra – «la cui forza magica risiede proprio in questa possibilità unica e irripetibile di accedere a dimensioni metafisiche attraverso la cialtroneria di una compagnia di comici… a condizione che ci sia un pubblico disposto a condividere il silenzio per creare il rito».
Il fascino dei grandi capolavori della storia del balletto – venerdì 20 gennaio alle 21 al Teatro Comunale – con il Gran Gala Ballet dell’Ukrainian Classical Ballet: tutta l’eleganza della danza classica, in un’antologia di quadri tratti dalle creazioni di importanti coreografi, tra vertiginosi assoli e raffinati pas de deux, con i primi ballerini e i solisti del Teatro dell’Opera di Kiev. La tournée internazionale della storica compagnia, una delle istituzioni artistiche e culturali più prestigiose al mondo, con un repertorio che comprende le coreografie di grandi maestri, reinterpretate con moderna sensibilità, tra racconti “romantici” e incantevoli fiabe sulle punte, rappresenta idealmente un messaggio di pace e speranza nel segno della bellezza. Tra perfezione tecnica e capacità espressiva, l’Ukrainian Classical Ballet propone le scene più affascinanti e avvincenti dei più famosi balletti, mettendo in evidenza il valore simbolico della danza, un’arte universale e senza confini.
Focus sulla tragedia della Shoah e sulla sete di giustizia – martedì 31 gennaio alle 21:00 al Teatro Comunale – ne “Il cacciatore di nazisti / L’avventurosa vita di Simon Wiesenthal” con drammaturgia e regia di Giorgio Gallione, con uno straordinario Remo Girone, per una riflessione sulla “banalità del male”. Una pièce incentrata sulla figura di Simon Wiesenthal, definito “il James Bond ebreo”, l’ingegnere sopravvissuto ai campi di concentramento che ha dedicato la propria esistenza alla ricerca, l’identificazione e la condanna, attraverso un processo, dei criminali responsabili dello sterminio degli ebrei. Una moderna epopea, avvincente come un romanzo ma fondata sulla accurata documentazione e ricostruzione di eventi storici, per affrontare temi cruciali come la responsabilità individuale e il peso dell’indifferenza e del silenzio che, nel regime di terrore e violenza del Terzo Reich, hanno reso possibile la pianificazione e attuazione di un genocidio.
Suggestioni pittoriche e sonorità ipnotiche – venerdì 10 febbraio alle 21:00 al Teatro Comunale – con “La Danse & Bolero” della Koresh Dance Company: due creazioni del coreografo israeliano Ronen Koresh, che si ispira al celebre dipinto di Henri Matisse, folgorante sintesi, attraverso il dinamismo dei corpi danzanti in cerchio sulla tela, tra forti contrasti cromatici, del ritmo stesso della vita, per comporre una partitura fisica, in una «interpretazione tenera, gioiosa, appassionata e umoristica» del quadro, per accostarla a una versione personale, raffinata e seducente, del “Bolero” di Maurice Ravel. “La Danse” rappresenta la trasfigurazione coreutica del dipinto di Matisse, impreziosita dalle musiche di John Levis e dalle poesie di Karl Mullen, mentre in “Bolero” Ronen Koresh mette in rilievo «la qualità ripetitiva e insistente», quasi ossessiva, del brano: «i ballerini non si fermano mai mentre il movimento, in un processo di stratificazione, genera un’energia che si intensifica fino al climax finale».
Un intenso e coinvolgente ritratto d’artista – martedì 28 febbraio alle 21:00 al Teatro Comunale – con “La divina Sarah” di Eric-Emmanuel Schmitt, da “Memoir” di John Murrel, nella traduzione di Giacomo Bottino, con Lucrezia Lante della Rovere nel ruolo della celebre attrice francese, ammirata e applaudita anche oltreoceano e Stefano Santospago in quello del suo fido segretario, per la regia di Daniele Salvo. Una pièce incentrata sulla figura di Sarah Bernhardt icona del teatro e pioniera del cinema, dotata di uno straordinario talento e dell’inconfondibile “voix d’or”, conosciuta per il suo forte temperamento, donna stravagante e libera, in anticipo sui tempi, che nel corso di una splendida carriera ha interpretato personaggi diversissimi, dalle eroine di Jean Racine, “Ifigenia” e “Phèdre” a “La donna del mare” di Henrik Ibsen, passando per “Théodora” e “Cleopatra” di Victorien Sardou e “La Signora delle Camelie” di Alexandre Dumas, cimentandosi anche in ruoli maschili, come il suo famoso “Hamlet”.
Il pathos e la sensualità, insieme alla struggente malinconia di “un pensiero triste che si balla” – martedì 7 marzo alle 21:00 al Teatro Comunale – con “Astor / Un secolo di Tango” del Balletto di Roma, avvincente Concerto di Danza con coreografie di Valerio Longo e regia di Carlos Branca, per ricordare a cent’anni dalla nascita il grande compositore argentino, tra gli artefici della rivoluzione del Tango Nuevo. Un evocativo racconto per quadri, costruito sulle musiche di Astor Piazzolla e sui brani originali di Luca Salvadori (che cura anche gli arrangiamenti), dove «un soffio, un respiro, quasi una parola, ci sveleranno la fragilità dell’uomo Piazzolla, ma anche quella di tutti noi che abbiamo subìto una distanza forzata, una relazionalità dematerializzata, un contatto interrotto, una vita spezzata». Sulle note del bandoneón e della fisarmonica di Mario Stefano Pietrodarchi, le geometrie di corpi in movimento raccontano la nostalgia, il dolore dell’esilio, il rimpianto, mentre «il mare è il fil rouge che unisce o separa nuovi mondi e speranze».
Ironia in scena – lunedì 20 marzo alle 21:00 al Teatro Comunale – con “Il malato immaginario” di Molière con Emilio Solfrizzi nei panni dell’ineffabile protagonista, accanto a Lisa Galantini, Antonella Piccolo e Sergio Basile, e con Viviana Altieri, Cristiano Dessì, Cecilia D’Amico, Luca Massaro e la partecipazione di Rosario Coppolino, per la regia di Guglielmo Ferro. Una commedia divertente e dolceamara in cui la tendenza all’ipocondria si accentua all’estremo, nell’incessante ricerca di ogni minimo indizio o “sintomo” di presunte e ovviamente terribili patologie, ma offre anche lo spunto per una pungente satira su usi e costumi della società e umane debolezze. «Argante ha più paura di vivere che di morire» – spiega Guglielmo Ferro -, «e il suo rifugiarsi nella malattia non è nient’altro che una fuga dai problemi, dalle prove che un’esistenza ti mette davanti». Una vicenda paradossale e esilarante: «Si ride, tanto» – ricorda il regista – «ma come sempre l’uomo ride del dramma altrui».
Una innocua conversazione porta alla luce tensioni sotterranee, antichi segreti e feroci antagonismi – martedì 28 marzo alle 21:00 al Teatro Comunale di Sassari – in “Boston Marriage” di David Mamet, nella traduzione di Masolino D’Amico, con Maria Paiato e Mariangela Granelli accanto a Ludovica D’Auria, per la regia di Giorgio Sangati. Sullo sfondo dell’America di fine Ottocento, due dame della buona società, un tempo amiche e amanti, si scoprono rivali e sfoderano sotto la maschera dell’educazione una serie di insulti e accuse, così che il dialogo si trasforma in vertiginoso e spietato duello verbale, un distillato d’odio e amarezza, cattiveria e malizia. Il titolo rimanda all’espressione “Boston Marriage”, in uso nel New England tra XIX e XX secolo per alludere a una convivenza tra donne economicamente indipendenti da uomini: Mamet ne parla in una pièce brillante dove al tema dell’omosessualità fa pendant una riflessione sulla condizione femminile, e più in generale sull’ambiguità e precarietà degli affetti, e sui sottintesi che si celano dietro le parole.
Il dramma e le inquietudini di un seduttore, tra antiche ferite e il miraggio di nuove conquiste – giovedì 13 aprile alle 21 al Teatro Comunale di Sassari – in “Don Juan”, una creazione di Johan Inger per Aterballetto (Premio Danza & Danza 2020), ispirata alla figura dell’infaticabile ammaliatore di fanciulle, incapace di amare eppure eternamente innamorato, con la collaborazione del dramaturg Gregor Acuña-Pohl e la musica originale di Marc Álvarez, eseguita da Manuel Busto con l’Orquesta de Extremadura. Il coreografo svedese si confronta con il mito di “Don Giovanni”, attraverso le opere di Tirso de Molina, Molière, Bertold Brecht e Suzanne Lilar e di altri autori, per mettere in risalto la profonda solitudine di un uomo quasi “condannato” a cercare nel volto di ogni sconosciuta l’immagine del suo ideale. Il trauma della perdita della madre, della mancanza d’affetto o dell’abbandono si riverbera sulla psiche e nei comportamenti di questo (anti)eroe moderno, spregiudicato e libertino, fuori dai canoni e dalle regole della società, pericoloso incantatore, prigioniero delle tenebre del suo cuore e ignaro della felicità.