Prosegue alla Fabbrica delle Gazzose di Mogoro la XIX edizione della rassegna teatrale “Ultimo Teatro”, organizzata dal Teatro Tragodia.
Domenica 20 novembre alle 18:00 in scena lo spettacolo della Compagnia Bocheteatro “Agnese e l’altra” (liberamente tratto dal romanzo “La madre” di G. Deledda) regia e scene di Giovanni Carroni, con Monica Corimbi, Noemi Medas e Andrea Carroni.
Il tema del romanzo “La madre” di Grazia Deledda, dal quale è tratto l’adattamento drammaturgico di “Agnese e l’altra”, è un tema attualissimo, molto delicato, che tocca uno dei problemi da sempre discussi all’interno e fuori della chiesa: il celibato dei preti.
Se pensiamo che è solo di alcuni anni fa (19/05/2014) la lettera inviata a Papa Bergoglio firmata da 26 donne italiane, che chiedono di rivedere la legge sul celibato dei sacerdoti, ed esordiscono come segue nella missiva: «Caro Papa Francesco, siamo un gruppo di donne da tutte le parti d’Italia (e non solo) che ti scrive per rompere il muro di silenzio e indifferenza con cui ci scontriamo ogni giorno. Ognuna di noi sta vivendo, ha vissuto o vorrebbe vivere una relazione d’amore con un sacerdote, di cui è innamorata. (..) Noi amiamo questi uomini, loro amano noi». Le firmatarie si definiscono solo una parte delle tante donne che vivono nel silenzio una relazione proibita con un sacerdote.
“La madre” della Deledda anticipa di quasi 60 anni il romanzo “Uccelli di rovo” di McCulloug del 1977, che diventerà in seguito una mini serie TV. Narra dell’amore proibito e impossibile di Don Paolo ed Agnese, sacerdote ventottenne lui e giovanissima vedova lei. Tra i due, la madre di Paolo, Maria Maddalena, rimasta troppo presto vedova, che veglia incessantemente sul figlio, indirizzato dalla madre forzatamente al sacerdozio. Madre che incombe e sovrasta e che col suo amore diventa cappio che toglie l’aria a Paolo.
Paolo ha paura di ferire e deludere la Madre, e la sua relazione con Agnese sarà nel continuo nascondimento, con la frustrazione di un amore non completo che non può esistere alla luce del sole e tanto meno può sperare in una paternità.
Agnese, che si rivela invece donna matura e determinata, non vuole assolutamente rinunciare a questo amore, e sfida con forza sia la madre di Paolo, sia la mentalità chiusa dell’intera comunità, poiché un amore così forte “si può radicare comunque nel nome del Signore”.
Una continua lacerazione dell’anima che vede Paolo in un continuo allontanamento e avvicinamento ad Agnese, come dominato dal vento, protagonista sonoro della vicenda, che lo “spinge e respinge” verso la sua amata.
Paolo sa, più della madre, che in questo paesino sperduto dell’interno della Sardegna, un amore clandestino tra lui ed Agnese, sarebbe segnato a dito dalla comunità e destinato alla condanna pubblica se rivelato.
In realtà la Deledda tocca un tema ancora più profondo ed urgente: prima che amare un prete si ama una persona. L’amore di Agnese, dunque, protagonista del nostro spettacolo, va oltre la tonaca che Don Paolo veste nelle sue funzioni; mette di fronte alle sue responsabilità Paolo, lo esorta a superare le sue paure conseguenza di schemi infantili costruiti da un’educazione materna troppo possessiva, per liberare e sentire le emozioni e cominciare a conoscere sé stesso e fare infine una scelta coraggiosa, che non sia il frutto della paura di una condanna della comunità e di sua madre.
Ancora una volta, dunque, come nella maggior parte delle opere della scrittrice nuorese, una donna protagonista. Donne speciali che rivelano, in modo insospettabile, una Grazia Deledda femminista ante litteram.
Il libero adattamento curato da Giovanni Carroni e le soluzioni sceniche rendono ancor più attuale il romanzo della Deledda, con una messa in scena che predilige, oltre il dialogico, forme ed espressività corporee intense, le sonorità e le percezioni visive ispirate alla nostra isola.