Il 12 aprile 2025 è morto, all’età di 83 anni, l’ultimo e più famoso esponente del banditismo sardo, l’ex primula rossa Graziano Mesina.
Ma tornando indietro nel tempo, fino all’Ottocento, la Sardegna aveva già conosciuto un altro celebre fuorilegge, passato alla storia come il “Re della macchia”: Giovanni Corbeddu Salis.
Nato ad Oliena nel 1844, dopo una giovinezza tranquilla, il suo destino cambiò radicalmente intorno ai 35 anni, quando fu accusato – con ogni probabilità ingiustamente – del furto di un bue. Un’accusa che segnò profondamente la sua vita. Da quel momento si diede alla macchia per 18 anni, rifugiandosi in uno dei luoghi più impensabili, una grotta carsica del Supramonte che trasformò nella sua dimora.
Come fuorilegge, fu ritenuto responsabile di omicidi, furti, rapine, incendi, estorsioni e altri gravi crimini. A suo carico furono emessi una condanna a morte in contumacia, una all’ergastolo, una taglia di ottomila lire e dodici mandati di cattura. Nonostante le accuse, entrò nell’immaginario popolare come un bandito gentiluomo, una sorta di Robin Hood sardo: rubava ai ricchi per dare ai poveri, si batteva contro le ingiustizie, amava leggere e, da uomo religioso, ogni notte si raccoglieva in preghiera con un libricino che portava sempre con sé.
Furono soprattutto due gli episodi che lo resero famoso. Nel 1887 assaltò, con alcuni complici, la diligenza che trasportava, sulla strada Nuoro-Macomer, Michele Angelo Giorgio Spada, comandante della divisione dei carabinieri reali di Sassari. Spada si era vantato di aver debellato il banditismo dal nuorese, promettendo ricompense in denaro a chi avesse fornito informazioni sui latitanti e offrendo sconti di pena a chi si fosse costituito. Promesse che furono disattese. I familiari di questi banditi supplicarono Corbeddu di vendicare un simile sopruso, così il latitante di Oliena organizzò l’assalto spogliando di armi, denaro e persino degli abiti il comandante, che fu letteralmente “lasciato in mutande”.
Pochi anni dopo, nel 1894, il “Re della macchia” collaborò con le autorità per liberare due commercianti francesi sequestrati da una banda criminale, nelle campagne tra Seulo e Aritzo, a scopo di estorsione. Come ricompensa, gli fu offerta una cospicua somma di denaro che però, da uomo d’onore e difensore degli oppressi, rifiutò con sdegno. Accettò invece il permesso di poter girare liberamente per le vie di Oliena per dieci giorni, tra lo stupore dei suoi compaesani.
Morì il 3 settembre 1898, all’età di 54 anni, ufficialmente in seguito a un conflitto a fuoco con i carabinieri di Oliena, per mano dell’ufficiale Aventino Moretti. Secondo alcuni olianesi, sarebbe stato invece avvelenato da un uomo di sua fiducia che lo tradì, tesi sostenuta anche da un cronista dell’epoca, il quale, dopo aver visto il corpo, non notò alcuna traccia di sangue.
Il mistero sulla fine di questo bandito-eroe resta ancora irrisolto, così come permangono i dubbi sulla sua responsabilità nei tanti crimini avvenuti in quegli anni e in quei luoghi. Quel che è certo è che la sua figura è entrata nella leggenda.
La cavità in cui Giovanni Corbeddu Salis si nascose durante la latitanza porta oggi il suo nome: “Grotta Corbeddu”, celebrata anche nel romanzo “L’Edera” dal premio Nobel Grazia Deledda.
Immersa nel cuore del Supramonte di Oliena, nella Valle di Lanaitto – autentico capolavoro della natura tra boschi rigogliosi, sentieri intricati, strapiombi, doline e, appunto, grotte -, la Grotta Corbeddu è uno dei siti più importanti dell’Isola, per il suo valore storico, archeologico e naturalistico.
Lunga circa 130 metri, questa suggestiva spelonca è ancora visitabile e si articola in tre ambienti. Il primo, ampio, asciutto e illuminato da una luce flebile, fu il rifugio di Corbeddu. La seconda sala ha assunto un’importanza scientifica a livello mondiale perché, nel 1967, vi furono condotti scavi archeologici e paleontologici che portarono alla luce reperti risalenti al Mesolitico, al Neolitico antico e perfino al Paleolitico superiore. Tra questi, una mascella e un osso temporale di circa 13.500 anni fa, e la falange di una mano risalente a 20.000 anni fa. Questi rappresentano i resti umani più antichi rinvenuti in un’isola del Mediterraneo, probabilmente appartenenti a una razza endemica. Questo ambiente è collegato al terzo, ricco di stalagmiti, da una galleria formata da colonne calcaree. L’ultima parte della grotta si conclude con l’apertura di un pozzo che, in passato, la metteva in comunicazione con le altre cavità del sottosuolo carsico del Supramonte. Oltre alla grotta, la memoria del leggendario fuorilegge rivive anche nel cuore del paese, grazie a un grande murale che lo raffigura e restituisce l’atmosfera dell’epoca. L’opera è stata realizzata alcuni anni fa dall’artista locale Luigi Columbu nell’ambito del progetto “Il Bandito e il Campione”, con cui ha voluto celebrare, attraverso dei murales, le due figure che, in modi completamente diversi, sono diventate simbolo di Oliena: il bandito Giovanni Corbeddu Salis e il calciatore Gianfranco Zola.