Buon compleanno alla Repubblica italiana che oggi, 2 giugno 2024, compie 78 anni.
Era infatti il 2 giugno del 1946 quando, dopo 85 anni di regno dei Savoia, gli italiani con un referendum scelsero di abolire la monarchia e far diventare l’Italia una Repubblica democratica.
Pur trattandosi di una festa nazionale, ogni anno la cerimonia ufficiale viene celebrata a Roma alla presenza di tutte le massime cariche dello Stato e prevede l’alzabandiera all’Altare della Patria, la deposizione di una corona d’alloro da parte del Presidente della Repubblica in omaggio al Milite Ignoto, l’esecuzione dell’Inno di Mameli e l’esibizione delle Frecce Tricolori sui cieli della Capitale.
Proprio l’Inno d’Italia rappresenta uno dei simboli della nostra Repubblica.
“Il Canto degli Italiani”, meglio conosciuto come “Inno di Mameli” o, più semplicemente, “Fratelli d’Italia”, deve il suo nome a colui che ne scrisse il testo, uno studente di soli vent’anni divenuto poi soldato, Goffredo Mameli.
Nato a Genova nel 1827 – figlio dell’aristocratica genovese Adelaide Zoagli e di un ammiraglio della Marina del Regno di Sardegna, il nobile cagliaritano Giorgio Mameli -, Goffredo, liberale e repubblicano, nel 1847, mentre frequentava l’università, si avvicinò al Mazzinianesimo, la corrente di pensiero che racchiudeva le idee politiche di Giuseppe Mazzini, e partecipò alle manifestazioni cittadine.
Nel 1848, quando scoppiò la prima guerra d’indipendenza contro l’Austria, si arruolò andando a Milano con altri 300 volontari, e qui conobbe di persona Mazzini. Tornato a Genova, incontrò anche Giuseppe Garibaldi con il quale poi andò a Roma dove, nel 1849, venne proclamata la Repubblica Romana. Sempre in prima linea per difendere la città dall’assedio dei francesi, fu ferito ad una gamba e morì per un’infezione nel luglio di quello stesso anno, aveva solo 22 anni.
Parallelamente al suo impegno politico e militare, Goffredo Mameli fu anche un poeta. Il suo componimento più importante risale all’autunno del 1847, una poesia dal forte spirito patriottico intitolata “Il Canto degli italiani”, la cui melodia fu composta nella città di Torino da un altro genovese, Michele Novaro, che ne ricevette il testo in occasione di un incontro di indipendentisti, rimanendone conquistato.
Quei versi divennero ben presto il simbolo del periodo dell’unificazione del Paese, diffondendosi tra i soldati e le persone del popolo, non c’è dunque da stupirsi se restò popolare anche durante il Risorgimento e nei decenni seguenti, fino a quando, nel 1946, l’Inno di Mameli diventò, di fatto, l’inno nazionale della Repubblica Italiana sostituendo la Marcia reale di Casa Savoia. Nel 2017, la Repubblica ha definitivamente attribuito, per legge, lo status di inno ufficiale a “Il Canto degli italiani”.
L’opera si compone di sei strofe, con un ritornello che si alterna alle stesse. Tuttavia, sono soprattutto la prima strofa e il ritornello ad essere conosciuti da tutti perché intonati in occasione di eventi istituzionali e importanti manifestazioni sportive:
Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta,
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò
(RITORNELLO)
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte,
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò. Sì!
Il testo contiene numerosi richiami alla storia d’Italia. Scritto in un periodo in cui ardeva un intenso sentimento patriottico che alimentò poi la guerra d’indipendenza contro l’Austria, fa spesso riferimento, infatti, ad avvenimenti storici del passato. Componendo quelle parole, Mameli trasse inoltre ispirazione dall’inno nazionale francese, La Marsigliese, e dal motto simbolo della Rivoluzione francese “Liberté, Égalité, Fraternité”.
Non tutti sanno che nella versione originaria dell’inno, la prima strofa cominciava con “Evviva l’Italia”, solo in un secondo momento Mameli decise di cambiarla in “Fratelli d’Italia”.
La cultura classica del giovane studente emerge chiaramente già nelle prime frasi del componimento. “Scipio” altri non è che Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano, il valoroso generale e politico romano che sconfisse i Cartaginesi e Annibale nel 202 a. C. a Zama – l’attuale Algeria -, durante la battaglia che decretò l’incredibile vittoria dei Romani e la fine della seconda guerra punica. Pensando dunque alle imprese eroiche degli antichi romani, con un’allegoria Mameli immagina l’Italia, ormai a un passo dal conflitto con l’Austria, cingersi la testa dell’elmo di Scipio.
Con l’espressione “Dov’è la Vittoria”, l’autore si riferisce invece all’antica usanza di tagliare i capelli alle schiave in modo da distinguerle dalle donne libere che, per via del loro status, erano solite portare i capelli lunghi. La dea Vittoria dovrebbe quindi porgere la sua lunga chioma affinché le venga tagliata come simbolo di sottomissione a Roma. È chiara, pertanto, la convinzione del poeta-soldato che gli italiani avranno la meglio sugli austriaci per volere divino.
Nel ritornello, la locuzione “Stringiamci a coorte”rappresenta il momento della chiamata alle armi, la coorte era infatti la decima parte di una legione dell’esercito romano costituita da 600 militari. Goffredo Mameli esorta così il popolo italiano a rimanere compatto e a combattere, a costo di andare incontro alla morte, pur di conquistare la libertà dalla dittatura straniera.
Fu invece Michele Novaro ad aggiungere nell’ultima frase del ritornello quell’enfatico “Sì!” che tutti noi italiani esclamiamo con fierezza ogniqualvolta intoniamo il nostro bellissimo e significativo inno.
Per conoscere il testo integrale dell’Inno di Mameli è possibile consultare il sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri.