Avete mai pensato che tipo di persone sareste diventate se aveste avuto una madre con disturbi mentali?
Questa è la prima domanda che mi sono posta mentre leggevo il romanzo “Io sono una famiglia. Il gabbiano” di Francesca Sivori in arte Liz Chester Brown.
Il romanzo narra la storia di Arianna dalla nascita fino all’età adulta, ma è anche il racconto di due famiglie tanto diverse tra loro: quella del padre (legami indissolubili di affetto e rispetto) e poi quella di sua madre (l’esatto opposto), due nuclei familiari che sono rimasti separati nel tempo per una diversità così evidente che neanche l’amore per i figli ha saputo colmare.
Quando mi sono approcciata alla lettura non avevo idea che fosse l’autobiografia dell’autrice, man mano che leggevo ho capito che quella storia era più di un’opera di fantasia, e ne ho avuto poi la conferma. Non nascondo che mentre divoravo le pagine del libro sono stata presa da un senso di angoscia per la piccola Arianna e i suoi fratelli, cresciuti senza l’affetto materno, una madre che a causa di una malattia mentale mai curata ha deteriorato le personalità dei figli e del marito, l’uomo padre esemplare si è sostituito a lei con i suoi bambini in tutto e per tutto, risucchiato però da un vortice drammatico, ha cercato di proteggerli con un’eccezionale forza interiore e amore viscerale, infatti la prima parte del romanzo è proprio incentrata sul rapporto tra Arianna e suo padre (figura positiva), l’infanzia, il rapporto con i nonni e la madre.
Nella seconda parte invece scopriamo Arianna adulta, con la voglia di uscire da un labirinto che sembra risucchiare tutti i componenti della famiglia. La parte che ho preferito è questa perché scopriamo quanto la volontà è capace di guidarci nelle difficoltà.
Essendo un’autobiografia non voglio esprimere alcun giudizio sui personaggi, ma concentrarmi invece sulle emozioni e sensazioni che mi ha trasmesso Francesca. Soprattutto in questi ultimi due anni c’è stata sempre più attenzione verso le malattie mentali, in parte perché con il lockdown causato dal COVID alcune problematiche si sono aggravate e altre si sono rese più evidenti. Per questo mi sembrava giusto parlare di questa storia, perché la protagonista guidata dalla mano paterna è riuscita attraverso un lungo percorso di psicoterapia insieme alla musica, ha scoperto il suo talento e ancora di più perché è stata la sua ragione di vita, la sua musicoterapia e la spinta per diventare la persona che desiderava, attraverso Claudio (il suo maestro), ha scoperto l’amore e la passione per qualcosa di grande, e ha avuto un’occasione per reinventarsi e realizzare qualcosa di straordinario.
Sullo sfondo della storia il mare della Liguria, evocative ed emozionanti le descrizioni, per la protagonista come un balsamo gli scorci sulla scogliera, la luce e il rumore delle onde, ho capito il senso di volare via leggera e ho provato grande empatia per questa donna, persona straordinaria.
La musica è l’altra protagonista della storia e come ha scritto la stessa Francesca “Un vibrante racconto che rimanda, per analogie di contenuto e di impalcatura narrativa, al Notturno op.48 n. 1 di Fryderyk Chopin.” E questo brano ve lo lascio come sottofondo musicale per la lettura del romanzo.
Consiglio la lettura del libro a tutti quelli che sono alla ricerca di qualcosa: una passione, la spiritualità o semplicemente un po’ di serenità, perché attraverso le parole si può sprigionare l’energia positiva che è in ciascuno di noi, ho scoperto che Francesca è una persona molto interessante così le ho fatto alcune domande riguardo i suoi progetti.
Che lavoro fai?
Sono musicista. Per molti anni mi sono dedicata all’organizzazione e direzione artistica di eventi legati alla musica classica (stagioni musicali, masterclass e altro) e ho lavorato prima a Genova e poi a Milano.
Da 10 anni faccio parte della cooperativa AllegroModerato di Milano, la scuola di musica per ragazzi con disabilità psichica e/o motoria che li educa a formarsi come musicisti per entrare in orchestra.
Oggi sono pianista conduttore nei loro laboratori da camera. Lavoro sia a Genova sia in Madagascar, a Diego Suarez, dove ho fondato un’orchestra AllegroModerato.
Quando è nata la passione per la scrittura?
Per caso. Mi trovavo in una città lontana, da sola. Avevo molto tempo libero e quindi… mi sono messa a scrivere la storia della mia vita. Pensavo di chiudere il manoscritto in un cassetto e invece mi sono trovata a vincere ben 17 premi in Concorsi letterari, senza un editore alle spalle (ci tengo a sottolinearlo). Ora promuovo il mio libro a tempo pieno con firma copie e presentazioni in giro per tutta Italia. Per questo sono stata definita “book trotter”.
Oggi 300 librerie indipendenti, da Nord a Sud, hanno il mio libro e sono state vendute più di 2000 copie.
Hai scritto altri romanzi?
Ne ho in cantiere altri due, uno dei quali narra la storia di Angelino, un personaggio minore de “Io sono una famiglia – il gabbiano”. Un mio racconto ha vinto il Premio Melegnano 2020.
In questo romanzo ci sono tratti autobiografici?
Sì, è tutto autobiografico, a parte il fatto che la protagonista è una violinista e io sono pianista.
Che messaggio volevi trasmettere con questa storia?
Ho voluto portare la mia esperienza: la difficoltà che ho avuto nel crescere con una madre con disturbi mentali. Ma anche e soprattutto raccontare della forza che mi ha portato a liberarmi dai traumi infantili. La speranza, quindi, ma anche la determinazione a non lasciarsi sopraffare dagli eventi, seppur tragici e difficoltosi come sono stati i miei.
Il mio libro, la mia storia quindi vuole essere un forte messaggio di amore, la vera forza in grado di smuovere montagne. E, prima dell’amore verso gli altri, l’amore che bisogna portare a sé stessi, il “sapersi voler bene” che non significa né essere narcisisti né egoisti. Ma è il comprendere quanto male ci possiamo fare da soli nel riflesso del dolore che ci procurano gli altri.
Progetti per il futuro?
Ancora promozione del libro: terminare gli altri due e… volare in Madagascar dalla mia orchestra!
Buona lettura
Aurora Redville