Bentrovati amici lettori,
per il nostro appuntamento di #ioraccontoaSH vi propongo una storia misteriosa, enigmatica e oscura, scritta dall’autore già pubblicato qui su S&H col racconto Tagalog. Lui si chiama Paolo Di Crescenzo, ha 47 anni e vive in provincia di Savona.
Ha pubblicato vari racconti in diverse antologie (nella foto a fine pagina potete vedere tutti i libri in cui è presente) e quattro libri tutti suoi: Sguardo Rosso sangue (il primo di racconti) e i romanzi Quando viene la notte, E così sia, Labbra rosse sulle quali morire.
Per meglio creare l’atmosfera suggerisco la bellissima “This Wild Darkness” di Moby.
Vi do appuntamento a venerdì prossimo con un’altra storia, magari dalle sfumature dell’estate.
Buona lettura
Aurora Redville
Buio
di Paolo Di Crescenzo
La luna era piena quella notte. Grande e luminosa giocava a nascondino con le nuvole che scorrazzavano rapide nel cielo.
Luce.
Buio.
Nel bosco i rumori di una vita notturna misteriosa, quasi spettrale. Un velo rarefatto di nebbia stava offuscando ciò che era distinguibile, cancellava le poche certezze che l’oscurità portava con sé. Si alzava dalla terra come esalazioni di una vita che fuggiva dal terreno, uno spirito finalmente libero.
“Vieni fuori dai, parliamone” si lamentò lei spossata.
Era questo che le dava più fastidio di lui. Sembrava che la prendesse sempre per il culo. Ora però si era stancata. Glielo aveva detto. Lui, permaloso, si era offeso.
Era seduta sulle sponde del lago, sopra un grosso masso dalla sommità piatta. Il muraglione della diga riluceva della luce scialba dei lampioni che rischiaravano un breve tratto di strada. Una flebile parte di essa si rifletteva sullo specchio d’acqua dormiente.
E la luna si divertiva con loro.
Luce.
Buio.
Un ramo spezzato alle sue spalle. Uno schiocco secco come uno sparo.
Si voltò ma non vide nessuno.
Cominciò ad avere paura. La sentiva strisciare sulla pelle, morderle lo stomaco, attorcigliarle le viscere, ghermirle le caviglie. Le saliva sulla schiena accarezzandola con dita gelide. Rabbrividì.
“Saro non fare il bambino su” gridò.
Avrebbe dovuto infonderle coraggio la propria voce, squarciare quell’ambiente diventato troppo tetro ormai, ma risultò essere incrinata. Un’unghia sulla lavagna, una lastra di ghiaccio che scricchiola in procinto di rompersi.
Luce.
Un’ombra scivolò dietro il tronco di un albero. Stette per urlare, strillare il terrore ormai insopportabile e però sorrise, nervosa. Che stupido. Non le piaceva quel gioco. Non più. Lui lo sapeva e continuava a farlo.
“Ti ho visto scemo” lo derise con una determinazione che non pensava di avere e che invece aveva ritrovato. “Non mi freghi ragazzo, non mi spaventi.”
Si alzò e gli andò incontro, le labbra distese, gioiose, pronte a perdonare ancora una volta, a baciare.
Buio.
Luce.
Saro era lontano quando sentì un urlo arrivare dalla sponda del lago. Era quasi certo fosse stata lei. Alzò le spalle.
Un animale. Avrà visto un animale.
Buio.