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Io Racconto: “Storia di una specie di addio” di Antonio Rubino

di Aurora Redville
7 Agosto 2020
in Libri
🕓 9 MINUTI DI LETTURA
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Bentrovati amici lettori,

per il nostro appuntamento di #ioraccontoaSH vi propongo una storia che sa di rinascita, ma anche di addii.

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L’autore Antonio Rubino classe 1978, torinese ingegnere chimico, da sempre coltiva la passione per la letteratura. Ha scritto poesie, romanzi e racconti. Tra questi vi segnalo il racconto lungo “Caffè Asnake”, finalista al concorso Caffè Letterario Moak 2017 e i romanzi “Cavalcando il bene e il male” (2007), edito da Edigiò (II premio concorso per inediti nel 2009), segnalato al premio internazionale Mario Luzi 2016 (narrativa edita) e “Il discorso delle stelle” (2019) pubblicato dal Gruppo Lit, attualmente in finale al Premio Città di Arce. Collabora con la rivista letteraria Fuoriasse.

Per questo racconto ho scelto come colonna sonora Madness dei Muse, trovo che sia perfetta!

Io vi do appuntamento a venerdì prossimo con un racconto dal sapore molto molto noir ?

Buona lettura
Aurora Redville

Storia di una specie di addio

di Antonio Rubino

Non avrei mai immaginato di esser capace di una cosa simile, eppure da quando ho avuto questa illuminazione, la mia vita è cambiata del tutto: sono due mesi oggi che vivo ogni singolo attimo della mia giornata in funzione di questo straordinario progetto.

Immagino già cosa diranno colleghi, amici o parenti intervistati da giornali e tele-emittenti locali:

“…è spaventoso quel che è successo…era una persona assolutamente normale con una vita normale, non pensavamo mai che potesse arrivare a compiere un gesto del genere!”

“…non gli siamo stati abbastanza vicini…”

“…Da Lisandro non mi sarei mai aspettato un gesto simile! Si è vero che da qualche anno era cambiato molto, da giovane era una persona solare e di compagnia, poi si è chiuso in sé stesso, non so esattamente cosa gli sia capitato…ma mai mi sarei aspettato una cosa del genere! “

“…santo cielo come farà Laura con Eleonora e Paolo? Sono due ragazzi adolescenti…”.

Che si fottano tutti, questa è la mia vita, e per una volta decido io che cosa farne!

La mia vita, tra famiglia e lavoro, vista da fuori, rispecchiava tutti i requisiti del perfetto schema medio borghese.

Da fuori appunto.

Vista da dentro era un cumulo di macerie e per me il binomio famiglia-lavoro era diventato una vera e propria prigione in cui trascorrevo ogni istante nell’infelicità e nella sofferenza.

Ma cosa era successo esattamente per essermi ridotto così?

Cosa mi ha reso una persona arida, mediocre, egoista, totalmente indifferente e insensibile al mondo intorno? 

Via via col trascorrere di quei giorni tutti troppo uguali, la luce della vita dentro di me si affievoliva sempre più, mi sentivo come una candela con lo stoppino bagnato: il fuoco attorno non serviva a nulla.

Quello che mi spingeva avanti era una specie di desiderio folle di consumare il tempo, di far passare i giorni, in vista di un qualcosa che potesse piovere dall’alto come un miracolo. Sognavo a occhi aperti una vincita, senza giocare mai, un’eredità, senza avere parenti danarosi. Vagheggiavo attorno ad un qualche evento esterno che ribaltasse l’ordine delle cose e mi liberasse da quel binomio maledetto.

Passavo le serate e i week end in famiglia nel mutismo più completo, sotto gli insulti di Laura e il disprezzo di Paolo ed Eleonora.

In realtà fantasticavo. Mi rompevo la testa alla ricerca di un’idea, di una scoperta che potesse rendermi milionario ed affrancarmi dalla costrizione di quella routine.

Ma di pratico non facevo nulla per creare il terreno perché ciò potesse realmente accadere, come ad esempio impegnarmi in fatti, specializzarmi in un campo, intraprendere realmente un’attività imprenditoriale nel settore dove avrei dovuto eccellere con qualche idea geniale secondo le mie chimere.

Alla fine di quel percorso non ci sarebbe stato nessun premio, ma solo la morte, la fine della vita, quella vita che da tantissimi anni ormai sprecavo giorno dopo giorno.

Lessi da qualche che parte che sognare ad occhi aperti, senza far seguire delle azioni concrete, è ciò che rende cancerogeni i sogni, rovinando le persone.

Tutto ciò fino a quel sacrosanto giorno di due mesi fa in cui conobbi Carlos.

All’improvviso tutto si fece chiaro nella mia mente. Un’idea geniale, diabolica, che da due mesi mi fa sognare come un ragazzino innamorato della vita.

Un’eccitazione continua contraddistingue le mie giornate: a lavoro come a casa sono un’altra persona, penseranno che abbia fatto una vincita eccezionale o che abbia un’amante.

Quando ebbi questa intuizione capii da subito che quello che volevo fare era estremamente difficile da attuarsi e necessitava di una progettazione nei minimi dettagli: il rischio di essere scoperti e dover passare il resto della propria vita nell’umiliazione e nella vergogna, se non in prigione, era davvero molto alto.

Ma questa volta le azioni concrete da compiere ci sono eccome, e giorno dopo giorno le sto portando a compimento una ad una, come i mattoncini di una casa. E questo mi riempie di soddisfazione e gioia.

Sono due mesi che impiego tutte le mie giornate in ufficio nella pianificazione del progetto; per la navigazione in rete utilizzo l’identità fasulla di Xiung Chian, un cinese di ventidue anni.

Fingere la propria morte è un passo fondamentale del progetto. Se riesce bene non mi daranno la caccia e sarà più facile anche il passaggio successivo: la creazione e la durata nel tempo della mia nuova identità, la mia nuova vita in Brasile, la felicità.

Lascerò l’auto nei pressi di una spiaggia sul mare aperto che ho individuato a trenta chilometri a sud di Valencia. Dovrò essere lì per lavoro tra una settimana. Farò credere di essermi buttato, Carlos passerà a prendermi e inizieremo un lungo viaggio per Lisbona: questa fase del progetto è la più delicata, è fondamentale che in questo frangente nessuno mi veda, altrimenti andrà tutto all’aria.

Il biglietto di addio deve essere abbastanza commuovente e triste, e sto facendo fatica, perché non sono mai stato più felice di ora in vita mia: sto facendo un collage di biglietti di addio reperiti in rete. Lo lascerò sul cruscotto dell’auto assieme a documenti, telefono cellulare ed effetti personali.

Farò perdere completamente le tracce, abbandonerò per sempre gli account di tutti i social network, e-mail, telefoni cellulari, qualunque cosa connessa alla mia vecchia identità.

Sparirò a regola d’arte.

Tutto questo non poteva essere possibile senza Carlos. Da Lisbona mi lascerà imbarcare su una nave mercantile in sua gestione, mi farà stare nel suo mini appartamento durante i dieci giorni di navigazione. Salperemo alla volta di Belem, alloggerò in una casetta di legno sulla spiaggia di proprietà di Carlos, in una località nei pressi di Parnaiba per le prime settimane, poi si vedrà. Con calma studieremo come ottenere la mia nuova identità con tanto di documenti.

Carlos, uno sconosciuto fino a qualche mese fa: nella fiducia cieca in lui sto riponendo tutti i miei sogni.

Fantastico sulla mia nuova vita: sole, mare, interminabili passeggiate lungo la spiaggia, una casa umile, trascorrerò il tempo a leggere, a preparare pasti semplici ma ben cucinati, lontano da internet, dai telefoni. Potrò curare il mio corpo, vivere di me stesso.

Consegno a Carlos ventimila euro, e sarà lui a farmeli avere in Real brasiliani, poco a poco. Così non rischierò di essere derubato. 

Finalmente il giorno fatidico è arrivato, questa è l’ultima cena in famiglia.

Non so cosa mi prenda stasera, sarà che Laura è molto più carina con me da qualche tempo, sarà che i ragazzi sono meno ostili, sarà che il varietà di questa sera alla televisione è molto divertente: mi lascio andare e prendiamo a ridere a catena tutti e quattro come non succedeva da anni. Ogni cinque minuti riguadagno la concentrazione e mi ripeto con convinzione “mi raccomando Lisandro, non farti ingannare, devi continuare sulla tua strada”.

La notte non dormo per l’eccitazione, l’aereo per Valencia è a mezzogiorno, facciamo colazione tutti e quattro assieme. Ho una sensazione strana che voglio rifuggire, lascio il caffelatte a metà e taglio la corda, non voglio rischiare di ricadere nei ripensamenti dell’ultimo minuto.

Da Milano sorvoliamo la Liguria e penso che non rivedrò mai più l’Italia.

Durante il volo scrivo il biglietto; pensavo di dover ricorrere a fonti esterne per l’ispirazione, invece mi esce spontaneo “…spero che possiate un giorno se non perdonarmi almeno capirmi. Non ce la facevo più a vivere. Con la mia infelicità stavo rovinando le vite delle persone che amo. Se non fossi più che convinto che la vostra vita senza di me sarà più felice, non compierei questo gesto… “.

All’aeroporto di Valencia con i dati della mia vecchia identità noleggio una Peugeot 208, lascio trascorrere un paio d’ore in hotel dove lascio i bagagli e poi mi dirigo verso Cullera, quindi nel luogo esatto dove alle 18,30 ho appuntamento con Carlos. Parcheggio ad una decina di metri dalla spiaggia. Poso il biglietto sul cruscotto dell’auto. Carlos è già lì, scende dalla sua Audi A6, ci salutiamo, poi cammino verso il mare.

“Dai forza Lis è meglio che andiamo”. “Che ti prende? Ci hai mica ripensato?” Mi chiede Carlos. “Se vuoi mandare tutto all’aria puoi farlo, sappi però che mi devi pagare tutto il disturbo, sono venuto qui per te!”

“Figurati se ci ripenso! Quello che ho con te è il biglietto per la felicità!”.

Spalle a Carlos e faccia al mare scuro nella notte, schiarito in parte dalla luna, indugio di gusto.

“Allora andiamo? Se qualcuno ci vede qui assieme salta tutto il piano, e se risalgono a me avrò grane serie! Se c’è un posto dove non ci devono vedere assieme è proprio questo!! Muoviti!”

“Ehi calmati Carlos, dammi solo cinque minuti di silenzio, ho solo bisogno di un attimo, è pur sempre il posto dove sto dando l’addio alla mia vita…”

Mi avvicino al bagnasciuga, mi immergo nello sciabordio delle onde e nella brezza fredda di questa sera buia di inverno.

La luna si riflette e riverbera sul mare: scaglie dorate sotto il pelo libero dell’acqua, come pensieri ed emozioni sottopelle, pronti a riaffiorare dagli abissi di questo mare.

Qual è il segreto imprigionato là sotto?

Lo sento che sale sempre più dal profondo, lo percepisco sottopelle, appena sotto la superficie dell’acqua, è lì che luccica e mi vuole dire qualcosa.

“Lis ti muovi!?” Urla Carlos irrompendo tra i miei pensieri. “Dai!”. 

E poi di nuovo “mi hai seccato lo sai?”.

 “Sono due mesi che lavoro per te, che ti prende??” vuoi rinunciare a quelle spiagge bianche, al chiringuito che ti ho trovato da gestire? Vuoi tornare a quella vita di merda e ammazzarti davvero tra qualche mese? È questo che vuoi!?”

Non rispondo.

Per ora quello che conta è restare qui a vedere cosa la luna sta tirando fuori dagli abissi, trasformandolo in scaglie dorate che escono allo scoperto, verso il mondo e verso la vita.

Tags: Antonio RubinoAurora RedvilleIo RaccontoioraccontoaSHracconti
Aurora Redville

Aurora Redville

Scrittrice, bookinfluencer, blogger e autrice del romanzo “L'effetto Grant”. Nata e cresciuta in Sardegna, vive in Valsesia in una casa ai confini del bosco con il compagno, i due figli e il suo cane Ohm. Le sue più grandi passioni sono la scrittura, il mare, la pittura e il cinema. Tutto è possibile è il mantra che si ripete ogni giorno.

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