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Calcio, come si diventa tifosi: così cambia il cervello durante una partita

di Redazione
12 Novembre 2025
in Calcio
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(Adnkronos) – Lacrime e sangue, cuore che scoppia, inni cantati a squarciagola, gioia incontrollata, esultanza e disperazione. Che sia sugli spalti o seduto davanti a uno schermo con gli amici più cari, per un tifoso appassionato di calcio la partita della squadra del cuore è come un viaggio sulle montagne russe delle emozioni. E comincia fin da piccoli: l’amore per il pallone è una religione, una fede che nasce ‘in culla’, matura negli anni e si porta dentro la tomba. Questione di cervello, di circuiti che si formano nei primi anni di vita. A scoprirlo è stato un team di scienziati che ha studiato i modelli cerebrali dei tifosi di calcio e ha scoperto che alcune regioni si attivano durante la visione delle partite della loro squadra, innescando emozioni e comportamenti positivi e negativi. Lo studio è pubblicato sulla rivista ‘Radiology’ e gli autori sono convinti che questi stessi modelli potrebbero applicarsi anche ad altri tipi di fanatismo.  

Perché partire proprio dal calcio? Perché, spiegano, è un fenomeno globale e gli ‘addicted’ di questo sport mostrano un ampio spettro di comportamenti, dall’essere spettatori a un intenso coinvolgimento emotivo, fornendo un modello utile per studiare l’identità sociale e l’elaborazione emotiva in situazioni competitive. Le rivalità, si sa, sono radicate nella storia dello sport e i tifosi possono essere molto protettivi nei confronti del team del cuore e dei propri giocatori preferiti. Osservandone successi e fallimenti, sperimentano sentimenti variegati, esultando quando segnano o infuriandosi per un fallo. Gli adepti del ‘dio pallone’ sono noti per la lealtà e l’entusiasmo, soprattutto in Europa e Sudamerica, continuano gli esperti. Da qui la genesi della ricerca. 

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“Il tifo calcistico fornisce un modello di fanatismo ad alta validità con conseguenze quantificabili sulla salute e sul comportamento collettivo”, argomenta l’autore principale, Francisco Zamorano (caso vuole, in Italia cognome caro ai fan della ‘pazza Inter’), biologo e professore associato dell’Universidad San Sebastián, Santiago del Cile. “I meccanismi neurobiologici dell’identità sociale in contesti competitivi non sono chiari, quindi abbiamo deciso di indagare le dinamiche cerebrali associate alle risposte emotive dei tifosi di calcio a vittorie e sconfitte delle loro squadre”.  

Per lo studio i ricercatori hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale, che misura l’attività cerebrale rilevando i cambiamenti nel flusso sanguigno, per esaminare 60 tifosi di calcio maschi sani (età 20-45 anni) di due storiche squadre rivali. Il livello di fanatismo è stato quantificato con la ‘Football Supporters Fanaticism Scale’, una scala di 13 punti che valuta due sottodimensioni: inclinazione alla violenza e senso di appartenenza. I dati di imaging cerebrale sono stati acquisiti, mentre i partecipanti guardavano 63 sequenze di gol di partite, che coinvolgevano la loro squadra del cuore, una squadra rivale o una squadra neutrale. E’ stata, poi, condotta un’analisi dell’intero cervello per confrontare le risposte neurali quando i partecipanti guardavano la squadra del cuore segnare contro un rivale storico (vittoria significativa) rispetto a quando il rivale storico segnava contro la loro squadra (sconfitta significativa).  

I risultati della risonanza magnetica funzionale hanno mostrato che l’attività cerebrale cambiava a seconda che la squadra del tifoso vincesse o perdesse. “La rivalità riconfigura in pochi secondi l’equilibrio tra valutazione e controllo del cervello”, spiega Zamorano.  

Cosa succede, quindi, nella mente di un tifoso? “In caso di vittoria significativa il circuito di ricompensa nel cervello viene amplificato, mentre in caso di sconfitta significativa la corteccia cingolata anteriore dorsale, che svolge un ruolo importante nel controllo cognitivo, mostra una sopressione paradossale dei segnali di controllo”. Questa soppressione paradossale si riferisce al tentativo di reprimere un pensiero, un sentimento o un comportamento, e produce il risultato opposto. Quando le squadre dei partecipanti allo studio segnavano contro rivali storici si osservava una maggiore attivazione nelle regioni del sistema di ricompensa rispetto ai gol ‘neutrali’, suggerendo un legame di gruppo e un rafforzamento dell’identità sociale. Zamorano osserva che l’effetto è più forte nei tifosi più fanatici, predicendo un momentaneo fallimento dell’autoregolazione proprio quando l’identità è minacciata e spiegando la sorprendente capacità di persone altrimenti razionali di “cambiare idea” improvvisamente durante le partite. 

“Dal punto di vista clinico, il modello implica una vulnerabilità dipendente dallo stato, per cui un breve raffreddamento o la rimozione dei trigger”, della scintilla che accende l’emozione, “potrebbe consentire al sistema di controllo di riprendersi”, continua il ricercatore. “La stessa firma neurale – aumento ricompensa e controllo in calo in caso di rivalità – probabilmente si può generalizzare oltre lo sport, applicandola ai conflitti politici e settari”.  

Studiare il fanatismo, prosegue Zamorano, “è importante perché rivela meccanismi neurali generalizzabili che possono spaziare dalla passione da stadio alla violenza e ai danni alla salute pubblica a livello di popolazione. Ancora più importante, questi stessi circuiti si forgiano nella prima infanzia”, plasmando “l’equilibrio valutazione-controllo che in seguito rende vulnerabili al fascino del fanatismo. Pertanto, proteggere l’infanzia è la strategia di prevenzione più efficace. Le società che trascurano lo sviluppo precoce non evitano il fanatismo; ne ereditano i danni”. Affrontare questo aspetto è urgente per Zamorano, visti gli attuali conflitti globali e le narrazioni politiche. L’esperto cita come esempio l’assalto al Campidoglio Usa del 6 gennaio 2021, che ha dimostrato come il fanatismo politico possa prevalere sulle norme democratiche quando la fusione delle identità raggiunge una massa critica. “I partecipanti hanno mostrato i classici segni di compromissione del controllo cognitivo, esattamente ciò che il nostro studio ha riscontrato – conclude – Indagare sul fanatismo non è dunque un atto meramente descrittivo: è una forma di prevenzione che può proteggere la salute pubblica e rafforzare la coesione democratica”. 

Tags: adnkronoscalcioultimora
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