Il dramma della solitudine in “Spogliarello” di Dino Buzzati – in prima nazionale venerdì 8 e sabato 9 novembre alle 21 al TsE di via Quintino Sella nel cuore di Is Mirrionis a Cagliari nella mise en scène firmata da Marco Nateri (che ha curato regia, scene e costumi) con Marta Proietti Orzella nel ruolo dell’affascinante e inquieta protagonista e l’attrice-cantante Alessandra Leo per disegnare un contrappunto musicale alle emozioni – in un duplice appuntamento incastonato nella Stagione di Teatro Senza Quartiere 2019-2020 organizzata dal Teatro del Segno.
La pièce in un nuovo e raffinato allestimento che rievoca la dimensione intima e raccolta di una camera da letto o di un salottino per signore, un elegante boudoir, teatro di conversazioni private e “scandalosi” incontri, racconta l’amara discesa agli inferi di Velia, una donna bella ma fragile, desiderosa di conquistare un posto in società o almeno una certa tranquillità economica che la metta al riparo dagli imprevisti e dai rovesci di fortuna. La giovinezza e l’avvenenza son le carte vincenti che si gioca sul piatto del destino, ma la sorte beffarda le porta via all’ultimo istante il dono promesso facendola riprecipitare nella miseria e di nuovo prestiti, investimenti, affari dubbi se non peggio la fanno scivolare sempre più in basso, fino a farle toccare il fondo, trasformandola da mantenuta di lusso in bella di notte, con tutti gli inconvenienti del mestiere più antico del mondo.
La naturale aspirazione alla felicità si confonde per lei con il raggiungimento dell’agognato benessere, con la possibilità di godersi serenamente la vita senza più preoccupazioni di carattere finanziario, ma ogni tentativo in tal senso viene invariabilmente frustrato per l’ingenuità o incapacità di lei o per circostanze esterne, così che ogni volta le tocca ricominciare daccapo, un gradino più in basso. Una certa istintiva astuzia le permette di ottenere fiducia e appoggio sia pure momentaneamente e non rinuncia certo a far valere le sue doti pur di ottenere quel che brama, ma ogni volta qualcosa sembra andare storto, l’amante scompare, l’attività non rende o l’offerta è troppo ingiuriosa e rivoltante perché possa sottomettervisi, costringendola a difendersi con un ultimo scatto d’orgoglio.
Storia di una caduta – in senso materiale e morale – “Spogliarello” racconta, attraverso lo sguardo di Velia, lo squallore e l’ipocrisia della società che la circonda tra mariti fedifraghi e mogli indignate, più per lo scandalo che per il tradimento, avvocati e usurai, benpensanti e perbenisti e onesti mascalzoni, il ruolo fondamentale della chiesa nell’alleviare le coscienze e l’importanza di salvaguardare le apparenze. Un gioco di maschere in cui la giovane con i suoi amori “interessati” e i suoi traffici pericolosi, per cui paga il prezzo dell’emarginazione e dell’oblio, appare più che altro una vittima, non del tutto ignara, anzi spesso consapevole ma incapace di difendersi dalle insidie e dai tranelli di avversari ben più agguerriti.
Un mettersi a nudo – metaforicamente – in uno “Spogliarello” dell’anima in cui la donna rivela i suoi veri sentimenti, la rabbia e lo sconforto, la delusione e la voglia di rivalsa, e si abbandona al piacere di ipotetiche vendette e al gusto per l’insulto con una cattiveria che quasi stona con la sua immagine di creatura dolce e remissiva, sensuale e piacevole, quasi un giocattolo, una bella bambola con cui trastullarsi ma che venuta a noia verrà gettata via. I suoi sorrisi maliziosi e le sue moine celano una volontà di ferro, la determinazione a raggiungere quel solo e fondamentale obiettivo, mentre il denaro (che non possiede) pare diventato la sua ossessione, più si avvicina e più le sfugge eppure nel massimo del degrado trova ancora la forza di sperare di redimersi, se non agli occhi dei suoi simili almeno davanti a Dio.
Velia incarna un modello femminile mai passato di moda, una donna che punta in alto ma identifica necessariamente in un uomo – padre, marito o amante – il mezzo per sfuggire alla miseria e conquistare uno status sociale più elevato, invece di fare affidamento sulla propria intelligenza e abilità. Specchio di una società dichiaratamente maschilista per cui le donne, tranne rare e probabilmente criticate eccezioni, son viste come angeli del focolare o in alternativa dispensatrici di piaceri a pagamento, sante o puttane, le cui eventuali ambizioni professionali appaiono più come velleità che come mezzi di sussistenza e affermazione di sé. Quella bellezza prorompente su cui si fonda il suo potere sugli uomini è anche un’arma a doppio taglio, perché quando non può più scegliere o difendersi, la protagonista è fatta oggetto di profferte non gradite e la sua vita dissoluta, più per necessità che per scelta, la condurrà verso un rapido e irreversibile declino, non senza qualche accenno di tardivo pentimento.
Marco Nateri ricostruisce l’ambiente in cui l’eroina sui generis vive o rivive i momenti cruciali della sua esistenza: «Un grande tappeto bianco a forma circolare per definire la stanza della nostra protagonista, un piccolo boudoir. Tante sedie e un inginocchiatoio per raccontare la storia di Velia, bella e affascinante donna, una donna alla ricerca disperata di quella sicurezza che la faccia vivere senza preoccupazioni. Il racconto si dipana attraverso le “stazioni” che dopo la morte improvvisa dell’ingegnere si trova ad affrontare la protagonista. La Via Crucis di una donna disperata che ha perduto tutto!».
Tra le righe di una tragedia che assume i toni grotteschi della farsa nel crescendo quasi comico delle catastrofi che colpiscono la protagonista fin dal primo quadro, Nateri legge «Il racconto di una solitudine (tema affrontato nei precedenti lavori, come “La parrucca” di Natalia Ginzburg e il “Bell’indifferente” di Jean Cocteau) che ogni essere umano deve affrontare, raccontato in modo crudo e ironico e contrappuntato dalle musiche e dalla voce della cantante in scena».
Un nuovo “Spogliarello” per il costumista e scenografo di fama internazionale, che si cimenta ancora una volta con la regia: «Dopo tredici anni ritorno in scena con questo meraviglioso testo in una versione registica ed estetica diversa dalla precedente, ma sempre con un grande amore verso Velia ed il suo mondo e soprattutto verso il mondo di Dino Buzzati che verrà restituito in maniera rispettosa senza tagli o adattamenti».
“Spogliarello” (nuova produzione del Teatro del Segno) debutta nell’Isola per poi continuare la tournée sulla penisola, portando con sé la cifra inconfondibile, limpida e graffiante, ironica e surreale dell’autore, che preferiva definirsi un pittore dedito anche, quasi casualmente, al giornalismo e alla letteratura, le cui opere appaiono ancora oggi di una sconcertante e quasi profetica modernità nel definire inquietudini, desideri e paure dell’uomo contemporaneo, sradicato e lontano dalla natura, travolto dai ritmi frenetici e alienanti delle città.
Info e prenotazioni: [email protected] – cell. 3914867955 (anche whatsapp)
“Teatro Senza Quartiere” 2019-2020 proseguirà – sabato 23 novembre alle 21 e domenica 24 novembre alle 19 al TsE – con “Revolution” di Rolando Macrini e Manuele Morgese, anche protagonista sulla scena per “un corto circuito storico, irriverente, sarcastico, sprezzante e esplosivo” tra la rivolta di Masaniello nella Napoli del 1647 e la Rivoluzione russa del 1917. Una pièce originale che rappresenta anche una “presa di posizione sul mondo” in bilico tra realtà e finzione, una “sottile farsa” o un “caustico e enigmatico board game” – con la regia di Rolando Macrini, che ha scritto anche le musiche originali insieme con Rasmus Zschoch. Una partitura teatrale che mescola generi e stili – dalla commedia dell’arte alla temperie off-off Broadway – lingue e accenti per mettere a confronto l’insurrezione capeggiata dal giovane pescatore al grido «Viva ‘o Re ‘e Spagna, mora ‘o malgoverno» e gli eventi che portarono alla caduta dello zar e alla nascita della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
Una favola crudele – sabato 30 novembre alle 21 al TsE – con “Jeff. Il gioco delle ossa” di AbacoTeatro, liberamente ispirato alla storia di Jeffrey Dahmer, il famigerato “mostro di Milwaukee”, con drammaturgia e regia di Dafne Turillazzi e Antonello Verachi. Nel ruolo del serial killer Tiziano Polese dà voce ai pensieri e alle sensazioni di un uomo ossessionato dalla morte, già segnato da un’infanzia solitaria, vittima della crudelà dei coetanei, ferito dall’indifferenza e dalla freddezza degli adulti. “Quando ero bambino avevo inventato un gioco. Lo chiamavo il Paese dell’Infinito ed era un mondo popolato da Uomini Stecchino e Spirali” racconta il protagonista: “Se due Uomini-Stecchino si avvicinavano fino a toccarsi si distruggevano a vicenda”. Un’innocente fantasia che si realizzerà poi attraverso gli efferati delitti, finché l’assassino, condannato all’ergastolo, sarà a sua volta ucciso da un altro detenuto: la pièce indaga nei labirinti della mente del giovane, tra i suoi fantasmi, le sue paure e i suoi desideri tra horror e poesia.
Nel segno di Primo Levi con “Il sistema periodico” diretto e interpretato da Stefano Ledda sulle note del sax di Juri Deidda – in scena sabato 14 dicembre alle 21: lo spettacolo, liberamente tratto dall’omonima raccolta di racconti, intreccia ricordi personali e esperimenti di chimica alla storia del Novecento. Una scrittura rigorosa ed essenziale, con una struttura (quasi) geometrica, per mettere l’accento sulle terribili contraddizioni di un’umanità capace di indagare tra i misteri del cosmo, fino a indovinare la sequenza e il peso atomico degli elementi, ma anche di realizzare e incarnare l’orrore della Shoah. Sulla falsariga dell’opera dello scienziato e scrittore, la pièce – sottolinea il regista Stefano Ledda – “ricostruisce, in maniera parziale, ma appassionata, la vicenda di una formazione civile maturata negli anni del fascismo, poi della guerra, della scelta partigiana, della deportazione, del reinserimento faticoso nella vita quotidiana, la tensione morale verso la testimonianza a favore della ragione e della dignità dell’uomo”.
S’intitola “Canzoni a Casaccio” lo spettacolo-concerto di e con Rossella Faa in trio con Giacomo Deiana alla chitarra e Nicola Cossu al contrabbasso – sabato 14 marzo alle 21 al TsE – per un’antologia di brani dagli album “Baa-Bà”, “Sighi Singin’” e “Bella Bella”. Affascinanti melodie e suoni dal mondo per un percorso sul filo delle note e delle emozioni, tra trame vere e inventate tradotte in musica, moderne fiabe e poetici apologhi per affrontare con humour e leggerezza le piccole e grandi tragedie del quotidiano. Focus su temi universali – l’amore e il disamore, il tradimento e la gelosia – ma anche su miti e leggende dell’Isola e sul privilegio d’invecchiare con la capacità di assaporare ogni istante e riscoprire talenti nascosti. Moderna cantastorie, l’eclettica artista di Masullas con le sue ballads attraversa differenti territori sonori – dagli antichi madrigali ai ritmi danzanti del Sud America – per svelare magie popolari e antichi incantesimi, segreti degli specchi e pericoli metropolitani, in una inedita farmacopea dell’anima tra ironia e poesia
Diari dal fronte – sabato 21 marzo alle 21 al TsE – con “Bachisio Spanu. Epopea di un contadino sardo alla Grande Guerra” del BocheTeatro, da “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu con inserti da “Roccu ‘u stortu” di Francesco Suriano (tradotti in campidanese da Rossana Copez), con Giovanni Carroni nei panni di un soldato della Brigata Sassari, per la regia di Marco Parodi. Una narrazione densa e evocativa, in cui un giovane in divisa, strappato alla sua Isola e costretto a partecipare ad un conflitto in terre lontane, ne descrive atrocità e sofferenze, mettendo a nudo tutta l’assurdità e insieme la brutalità del gioco delle armi. “Per il generale Cadorna, all’infuori della vittoria, l’unico riposo è la morte” – scrive nelle note Marco Parodi – “Ma il soldato Bachisio Spanu, nonostante sia semianalfabeta, riesce benissimo a comprendere che i colonnelli e i generali non capiscono niente, ma proprio niente… E gli ufficiali della Brigata Sassari attendono con lucida consapevolezza che arrivi il tempo degli assalti furibondi e disperati, armati solamente di un fucile contro un nemico formidabilmente preparato per la guerra, esacerbati dalla continua e immediata visione di una morte certa e infeconda”.
Atmosfere surreali e accenti grotteschi – sabato 4 aprile alle 21 – con “Il Grigio” di Giorgio Gaber e Sandro Luporini nella versione di Salvatore Della Villa, con le musiche originali di Gianluigi Antonaci: un uomo sceglie di trasferirsi in una nuova casa in periferia per lasciarsi alle spalle una vita di delusioni e fallimenti, ma si trova a fare i conti con un inatteso coinquilino. La fuga dalla realtà e dai nodi irrisolti, dal ricordo di un matrimonio finito, dalla incerta relazione con una donna – per lui, “L’Amore è una parola strana. Vola troppo. Andrebbe sostituita” – e il difficile rapporto con il figlio, alla ricerca di un nuovo equilibrio, lo porta a confrontarsi con una presenza inquietante e ingombrante, e infine con il suo stesso lato oscuro. Un avvincente monologo sulla condizione umana, sulla necessità di guardarsi allo specchio, oltre l’ipocrisia e la volgarità del quotidiano: “Quando l’uomo sprofonda nell’osservazione del sé, poi, riemerge, lentamente. È come la calma dopo la tempesta, si accetta. Tutto qui. Accettarsi”. E riuscire, forse, a perdonarsi.
Focus sulla tragedia della Prima guerra mondiale – sabato 18 aprile alle 21 – anche ne “La Paura” di Federico De Roberto, con adattamento e regia di Francesco Bonomo (produzione Sardegna Teatro in collaborazione con Goldenart Production, La Casa delle Storie e Rialto Sant’Ambrogio) con un bravissimo Daniel Dwerryhouse. Sul Forte del Corbin, in prossimità della “porta dell’Inferno”, è dislocato un plotone al comando del tenente Alfani: uomini proveniente dalle diverse regioni d’Italia, che parlano lingue diverse, ormai armonizzate in una sorta di cacofonica polifonia. In essi è avvenuta una sorta di mutazione, in una strana “osmosi tra paura e rassegnazione”. La routine della guerra di trincea, apparentemente immutabile e ordinata, esente da responsabilità e decisioni personali, si trasforma come insensibilmente agli occhi dell’ufficiale in un mostruoso sacrificio, con una crescente consapevolezza dell’inutilità del massacro. Un rifiuto inatteso suscita nel tenente un senso di colpa, un bisogno di azione, fino al tragico, prevedibile epilogo. Un’altra morte annunciata.
Suggellerà il cartellone della Stagione di Teatro Senza Quartiere 2019-2020 – sabato 2 maggio alle 21 al TsE di Is Mirrionis – “C’era una volta Ettore Petrolini” di e con Emanuele Bosu per un omaggio al grande attore, drammaturgo, compositore e cantante sulle note di Giovanni Pilia (pianoforte), Nadia Cosseddu (violino) e Giovanni Martinelli (trombone) tra ricordi e aneddoti, “macchiette” e canzoni. Un (auto)ritratto in prima persona del grande artista, che “tornerà in scena per ripercorrere la sua vita, dagli inizi della sua carriera fino agli ultimi attimi della sua breve esistenza, il tutto accompagnato da quell’aroma di mistero che lo circonda”. Simbolo di una temperie culturale e di un’epoca, grande innovatore e inventore di un teatro comico raffinato e popolare insieme, in cui si fondono pungente parodia e argute facezie, o “inezie”, giochi di parole e lazzi, Petrolini è il fulcro di uno spettacolo elegante e divertente, a tratti virtuosistico, già vincitore del Premio Giardini Aperti – Città di Cagliari Arte & Natura 2018 (produzione La Maschera).
Conclusa la campagna abbonamenti, sono disponibili i tickets per i singoli spettacoli e anche le tessere per cinque spettacoli – con riduzioni speciali per gli abitanti del quartiere (e per gli abbonati CeDAC) – e si rinnova anche l’iniziativa del “biglietto sospeso” ispirato al più noto “caffé sospeso” napoletano: chi vorrà potrà acquistare un secondo biglietto, da mettere a disposizione di chi non potrebbe permetterselo e sostenere così il progetto e l’idea di una cultura “accessibile” a tutti.