Il Labimus, il Laboratorio Interdisciplinare sulla Musica dell’Università di Cagliari, ha avviato un’importante opera di digitalizzazione e conservazione del patrimonio sonoro della Sardegna. Un archivio che raccoglie circa duemila musicassette e bobine contenenti una vasta gamma di registrazioni legate alla tradizione musicale sarda, tra cui canti religiosi, gare di canto a chitarra, poesie estemporanee e rassegne di canto a tenore. Questi documenti sonori, risalenti agli anni ‘70 e ‘80, sono stati acquisiti e preservati grazie a un progetto sviluppato sotto la direzione scientifica di Ignazio Macchiarella, che ha contribuito a fondare il Labimus nel 2015.
Il lavoro di digitalizzazione e conservazione dei materiali ha avuto inizio con un’idea di Macchiarella, che, arrivato all’Università di Cagliari nel 2004 come ricercatore, ha portato per la prima volta l’etnomusicologia in un ateneo sardo. Nel corso degli anni, il Labimus è riuscito a costruire un archivio che, insieme all’archivio sonoro dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna (ISRE), è oggi tra i più importanti della regione. Il progetto si è sviluppato grazie al finanziamento del Prin e alla disponibilità di numerosi appassionati che hanno contribuito a portare i loro materiali per la digitalizzazione.
Il lavoro del Labimus ha avuto una notevole risonanza, anche a livello internazionale. L’archivio ha attirato l’attenzione dell’International Council for Traditional Music (ICTM), una delle principali organizzazioni scientifiche di etnomusicologia, che ha riconosciuto l’importanza di questo patrimonio musicale sardo.
Tra le registrazioni conservate nel laboratorio, spiccano centinaia di poesie improvvisate in dialetto campidanese registrate negli anni ‘70 e ‘80, fornite dal poeta estemporaneo di Sinnai Paolo Zedda. Inoltre, il materiale comprende alcune delle prime registrazioni di canto a chitarra, risalenti ai primi anni ‘50, che costituiscono la più antica testimonianza di questo tipo di gara tradizionale. Queste registrazioni sono state messe a disposizione da un cultore della tradizione di Bortigali.
Non mancano anche canti religiosi, alcuni dei quali sono stati registrati in Amazzonia e forniti dal sacerdote missionario don Giuseppe Cogotzi, originario di Ghilarza. Un altro importante contributo viene dagli “Incontri di Musica Popolare” di Ghilarza, una manifestazione che dal 1986 raccoglie appassionati della musica tradizionale sarda, il cui materiale è stato registrato e messo a disposizione dall’associazione Onnigaza.
Il Labimus non è solo un archivio, ma anche un centro di ricerca attivo e in continua espansione. Oltre al responsabile scientifico Ignazio Macchiarella, il gruppo di lavoro è composto dal docente Marco Lutzu, specializzato in etnomusicologia, e dalle dottorande Irene Coni e Giulia Pisu. Tra i progetti in corso, il Labimus sta lavorando alla creazione di una rete di archivi sonori in collaborazione con le università di Torino, Firenze e Roma La Sapienza.
La digitalizzazione dei materiali è un lavoro in continua evoluzione, con il Labimus che resta aperto alla ricezione di nuovi documenti sonori. Chiunque possieda materiali di interesse etnomusicale può contribuire a questa importante raccolta inviando una mail a macchiarella@unica.it.
L’archivio sonoro del Labimus è ancora un “cantiere digitale aperto”, come lo definisce lo stesso Macchiarella, il cui obiettivo non è solo quello di conservare il patrimonio, ma anche di renderlo fruibile per la comunità scientifica e il pubblico. Le registrazioni, una volta digitalizzate, vengono restituite ai proprietari, ma al contempo vengono catalogate e rese accessibili per approfondimenti musicologici, arricchendo le informazioni disponibili sui canti tradizionali sardi.
Con la digitalizzazione del patrimonio sonoro della Sardegna, il Labimus sta svolgendo un ruolo cruciale nella salvaguardia e valorizzazione delle tradizioni musicali dell’isola, permettendo che la memoria storica di un’intera cultura musicale sia preservata per le generazioni future.