Flavio Secchi: L’arte vive meglio senza condizionamenti

Flavio Secchi [Foto Massimiliano Perasso]

A tu per tu con Flavio Secchi: chitarrista e cantautore sardo, originario di Capoterra. Flavio inizia lo studio della chitarra nel 1986, prendendo le prime lezioni da suo padre. Dal 1994 perfeziona i suoi studi di chitarra classica e del jazz con i maestri Paolo Alfonsi e Gianluca Corona. Una crescita artistica e professionale costante, la quale ha proiettato il cantautore sardo tra le realtà più emergenti del panorama musicale sardo.

Un sound libero, travolgente e totalmente influenzato dal rock’n’roll: quando hai scoperto che la musica avrebbe recitato un ruolo fondamentale nella tua vita?
Ho iniziato a giocare coi tasti del pianoforte che neppure camminavo. Nella mia vita passata molto probabilmente facevo il mio stesso lavoro di adesso. A otto anni, comunque, che io ricordi, ho deciso che avrei suonato la chitarra nella vita, dopo aver sentito le note dell’incipit di “Samba pa ti” di Santana.

Qual è il tuo primo ricordo musicale? C’è un album o un singolo che ha stregato la tua infanzia o adolescenza?
Il ricordo più antico che ho è di mia mamma che suona i walzer di Chopin al pianoforte e di mio padre che mi suona canzoni inventate per me alla chitarra per farmi addormentare. Il mio primo disco preferito, come dicevo, è stato “Abraxas” di Santana.

A che età la prima chitarra? 
Mia mamma racconta che la prima volta che ho detto “mamma” in vita mia, fu rivolto alla chitarra classica di mio padre, appesa al muro. Ce l’ho ancora. È una chitarra modesta ma la custodisco come un tesoro. Raramente esce di casa. Quella fu la mia prima chitarra. Età: un paio di giorni.

Quali difficoltà si possono riscontrare nel tentare di affermarsi artisticamente in Sardegna?
Sinceramente, credo che le difficoltà siano più o meno le stesse che si incontrano ovunque. È un problema che mi sono posto fino a qualche tempo fa. L’arte vive meglio senza condizionamenti a mio parere. Grazie a Dio, oltre che cantare e suonare, ho anche il lavoro dell’insegnamento, che costituisce una garanzia nei periodi in cui suono di meno.

Oltre al tuo percorso artistico musicale, possiamo sottolineare anche una grande passione per Lucio Dalla. Perché ti senti particolarmente legato al cantautore bolognese?
Sì, Lucio è innegabilmente il mio ispiratore numero uno – se parliamo di cantautorato –. Lo sento veramente vicino, artisticamente, umanamente. Lui mi arrivava in modo diverso. E tutt’ora è così. L’amore è così, non ha ragioni. Ami e basta.

Se ti chiedessi di descrivere la tua musica con tre aggettivi, quali utilizzeresti?
Gli aggettivi qualificano. Io non sono capace di farlo con me stesso. Provo a descriverla con tre preposizioni: da, a, per.

La sensazione è che in Sardegna ci siano tantissime realtà musicali di grande carisma e spessore artistico, però, poco valorizzate. Che consiglio daresti ai giovani d’oggi pronti ad abbracciare la musica come futura compagna di vita?
È sempre difficile dare consigli, già quando te li chiedono, figurarsi se i consigli precedono la domanda (ride n.d.r.). Starei piuttosto a sentire cos’hanno da dire e magari nascerebbe un bello scambio di idee e ispirazioni.

Un tuffo nel passato: ricordi il tuo primo concerto? Come descriveresti le sensazioni e le emozioni di quel giorno?
Sì, ricordo. Era un’assemblea di scuola, ai salesiani di Selargius. Suonavo con la mia band. Avevo 14 anni. Suonavamo piuttosto male, ma ci credevamo moltissimo e si rimediavano un po’ di appuntamenti con le ragazze. Suonavamo rock: Dire Straits, Doors, e qualche improbabilissima canzone originale del sottoscritto.

Ora uno sguardo al futuro: quali sono i tuoi progetti imminenti? 
Con i ragazzi della mia band (i 3.0) stiamo preparando il terzo disco. Un lavoro molto stimolante. Lavorare con loro è sempre una grande fonte di ispirazione. A proposito, loro sono Gianrico Manca (batteria), Mauro Mulas (tastiere), Alessandro Atzori (basso). Io canto e suono la chitarra, ovviamente.

 

Foto Massimiliano Perasso
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