I Marlene Kuntz a Capoterra con il “Post-pandemic Tour”

I Marlene Kuntz a Capoterra con il “Post-pandemic Tour”

Un concerto dal sapore dell’inquietudine e all’insegna della speranza, quello tenuto ieri sera dai Marlene Kuntz. Il titolo del tour, partito l’8 agosto da Carpi, faceva già intuire che si trattasse di uno spettacolo non esclusivamente musicale. Circa 500 persone presenti all’anfiteatro del Parco Urbano di Capoterra: ingresso con esibizione del green pass, posizionamento di un braccialetto di carta per permettere il reingresso, posti assegnati e con la necessaria distanza. Non è un concerto come quelli a cui si è abituati, è chiaro da subito. Ad aprire la serata il cagliaritano Andrea Cannucci, cantautore “cresciuto ascoltando i Marlene” – come ha dichiarato – la cui musica ricorda vagamente i primissimi Verdena.

La band cuneese si fa attendere, classico quarto d’ora accademico allargato, ma quando sale sul palco non tradisce le aspettative del pubblico. Il primo brano, Bellezza, è già di per sé una dichiarazione di intenti: “Noi cerchiamo la bellezza ovunque”, recita il testo; una bellezza che pare difficile da ritrovare in una situazione così anomala e castrante di un concerto “a distanza di sicurezza”.

Una scaletta di un tour che rispecchia e interpreta il particolare periodo pandemico, successivo a quello targato 2020 “Andrà tutto bene?”, composto da tre sole date. Una sorta di rebus cifrato possibile da risolvere con semplicità. L’abbraccio, tratto dall’album Che cosa vedi (2000) racconta del coraggio di un gesto che può giungere inaspettato. Negli abissi tra i palpiti ci ricorda che “l’infelicità non è che stimolo inevitabile” e che “la felicità non è che un esito fugace”. Seguono Gioele – che prosegue il filone dell’imprevedibilità – e Osja, amore mio (2013). È uno dei momenti più intensi del concerto: ispirato al poeta russo Osip Emil’evič Mandel’štam e a sua moglie, la pittrice Nadja Chazina, il brano narra della decisione di Nadja di imparare a memoria tutta la produzione poetica del marito, al fine di tutelarla dal rischio della perdita e della distruzione a cui sarebbe andata incontro nel periodo delle purghe staliniane. Cristiano Godano, nello spiegare l’origine del pezzo, focalizza l’attenzione sulla figura di Stalin, che definisce “uno dei peggiori criminali mai apparsi sulla faccia della terra”, aggiungendo un’estensione che ci riporta ai nostri tempi: “Quello è, secondo il nostro punto di vista, “definitivamente” essere sotto una dittatura. Quella è una dittatura. Se fossimo in una dittatura io non sarei messo nella condizione di parlare da questo palco”.

La riflessione su termini usati ed abusati in questo periodo lascia spazio ad altri successi che vagano sui temi della bellezza e dell’ispirazione provocata dall’amore e della voluttà, dapprima con Musa, tratto da uno degli album più belli dei Marlene, Uno (uscito nel 2007), poi con Ti giro intorno (Il vile, 1996). I successi si alternano, in una sequenza di brani di momenti diversi della loro lunghissima carriera; Cristiano Godano ricorda al riguardo il sodalizio trentennale con il chitarrista Riccardo Tesio. Si passa da La canzone che scrivo per te – la quale tratta il tema universale della disillusione e dell’autoinganno – a Schiele, Lei, Me, conseguenza della fascinazione indotta dal pittore viennese Egon Schiele su Godano. Protagonista del concerto anche lo storico album Catartica (datato 1994), da cui vengono estrapolati due brani che mandano in visibilio il pubblico: Lieve e Nuotando nell’aria. Quest’ultima chiude la serata, introdotta nei tre bis insieme alla profetica Ineluttabile e a Niente di nuovo.

Uno spettacolo con una scaletta armonica e complessa, adatta al momento di transizione e di incertezza che si sta vivendo. La bellezza che contraddistingue il sound dei Marlene Kuntz ha fatto da collante a oltre un’ora e mezza di concerto. Impareggiabile e indimenticabile.

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