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Alla Mostra di Venezia ‘Il Mago del Cremlino’, compendio di putinismo e costruzione del potere

di Redazione
31 Agosto 2025
in Cinema & Serie TV
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(Adnkronos) – ‘Il Mago del Cremlino’, presentato in concorso al Festival del cinema di Venezia, è per il regista Olivier Assayas una denuncia della deriva della politica di oggi, “della cortina fumogena dietro cui si nasconde: cinica, ingannevole e tossica” e “contro cui non abbiamo ancora trovato una risposta”. A Jude Law il regista ha chiesto di appropriarsi del personaggio” di Vladimir Putin, senza apparire proprio come lui, per lasciare spazio a “quello che la sua figura rappresenta intellettualmente e storicamente”.  

Anche la scelta dell’inglese parlato da Jude Law/Vladimir Putin, e da tutti gli altri personaggi al Cremlino e dintorni, sembra voler indicare una presa di distanza dalla cronaca specifica dai primi anni Novanta al 2014 in Russia, per raccontare i nuovi strumenti del potere e “l’alleanza fra il premoderno, vale a dire violenza e forza brutale, e il postmoderno, il teatro, Internet, la costruzione di una realtà parallela”, nelle parole di Giuliano da Empoli, l’autore del libro di cui il film è un adattamento. L’esperimento nato in Russia alla fine degli anni Novanta “è ora dappertutto”.  

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Vadia Baranov, modellato sull’ideologo del Cremlino Vladislav Surkov nei primi anni Dieci del Duemila, interpretato da Paul Dano, spiega nel film la costruzione del putinismo e la trasformazione della Russia con il consolidarsi del potere di Putin. Esordisce, studente di teatro, alle feste scatenate nella Mosca dell’inizio degli anni Novanta, diventa produttore di successo alla televisione di Stato che in pochi giorni diventa privata, e poi spin doctor del nuovo Presidente russo, con l’aiuto e il conforto di buone letture. Contrariamente a quello che racconta il film, il Mago del Cremlino Surkov continua a concedere interviste – fra le ultime all’Express in Francia pochi mesi fa – in cui prevede la continua espansione della Russia in ogni direzione”, a canali Telegram russi in cui ribadisce la sua convinzione che “l’Ucraina è una entità artificiale politica”. 

Se l’intento del film, accolto da un lunghissimo applauso del pubblico al Lido di Venezia, è quella di denunciare “i nuovi strumenti del potere”, il racconto si articola in un compendio ben confezionato di quello che è accaduto dopo il crollo dell’Unione sovietica fino all’annessione della Crimea e l’operazione russa nel Donbass, nel 2014, operazione di cui Surkov è stato il promotore. Il film ripercorre gli eventi principali registrati in Russia fino a quel momento. Ma senza una voce alternativa a quella del Cremlino che pure in Russia c’è stata. I pochi contraddittori al ricordo di Surkov/Baranov/Danov sono affidati all’oligarca poi caduto in disgrazia Boris Berezovsky, un paio di battute all’ex campione di scacchi diventato oppositore, Garry Kasparov, in esilio da tempo, e altrettante del personaggio fittizio di Ksenia, la compagna di Surkov.  

La creatività e il disordine a Mosca dei primi anni Novanta, l’ascesa degli oligarchi, il decadimento di Boris Eltsin (“che i russi continuavano ad amare ma avevano smesso di stimare”), la scelta a tavolino dell’allora oscuro direttore dell’Fsb Vladimir Putin da parte di Berezovsky che credeva, sbagliandosi, di poterlo controllare, la guerra in Cecenia (“Non voglio fare la finta guerra che fanno gli americani, non voglio il Premio Nobel per la pace”, dice Putin, senza nessun accenno nel film agli abusi contro i civili durante e dopo l’operazione e agli attivisti, diversi dei quali uccisi, che li hanno denunciati), la popolarità crescente di Putin, l’inciampo del Kursk, quando il Presidente rimane nella sua residenza a Sochi a fare sci d’acqua e grigliate, invece che precipitarsi a consolare i familiari dei marinai a bordo del sottomarino nucleare inabissato o quantomeno a coordinare le operazioni di soccorso.  

Viene ripercorso il controllo delle televisioni da parte del Cremlino, l’arresto di Mikhail Khodorkovsky (a cui nel film viene dato un altro nome), lo scrittore Limonov e i suoi Nashbol, forze alternative cooptate dal Mago per “gestire la rabbia” dei russi non allineati e controllarla, l’appropriazione delle risorse del Paese (“dobbiamo prendere il controllo di tutto e metterlo a disposizione della popolazione russa”, dice Putin/Jude Law, senza nessun accenno di nessuno alle ricchezze accumulate da lui e dal suo entourage già nei primi anni Novanta a San Pietroburgo, ben prima della sua ascesa politica). Si parla della Rivoluzione arancione in Ucraina, delle accuse rivolte a Berezovsky per il suo ruolo di finanziatore delle proteste.  

C’è la fabbrica dei troll di Evgheny Prigozhin (non bisogna intervenire sul web con la geopolitica, ma con l’idiozia, con le ossessioni degli occidentali, generare il caos, amplificare quindi le voci chi è contro i vaccini, chi contro l’aborto, o la caccia). Giochiamo con i loro cervelli, e ci facciamo anche scoprire. Per far capire che “la Russia controlla il mondo moderno”. Un ultimo tè fra Baranov/Surkov e Berezovsky in un albergo di Londra, con battuta sul polonio, poco prima che l’oligarca, che aveva protetto Aleksandr Litvinenko, ucciso davvero dal polonio in una tazza di tè in un albergo di Londra sei anni e qualche mese prima in una operazione dei servizi russi, morisse in un apparente suicidio nel bagno della sua residenza in Inghilterra, dove era costretto in esilio dopo il ripudio da parte di Putin.  

Il film ripercorre la cooptazione di tutti i leader di gruppi marginali, dai motociclisti ‘Lupi della notte’, agli ortodossi radicali, dagli ultrà dello Spartak a nostalgici comunisti, di nuovo, “per assorbire la rabbia” ed evitare che l’arrivo anche in Russia di ‘rivoluzioni colorate’. L’unico accenno all’opposizione, nel film, è per spiegare il motivo della loro mancata cooptazione: perché il ridicolo che evocavano, secondo Baranov, avrebbe dato ancora più forza al putinismo. Non un cenno a Boris Nemtsov, Vladimir Kara-Murza, Aleksei Navalny, alle proteste nelle città. Lo scontro si esaurisce in quello fra Putin e Berezovsky. L’opposione viene riassunta con le Pussy Riot e la loro performance nella Cattedrale di Cristo il salvatore (“in altri tempi sarei stato come loro”, dice Baranov/Surkov, che riesce a imporre i Daft Punk al coro della polizia russa alla cerimonia inaugurale dei Giochi olimpici di Sochi, superando le obiezioni di Igor Sechin, ex segretario di Putin all’Fsb poi diventato patron di Rosneft. “Il Kitsch è l’unico modo che abbiamo per parlare al mondo”.  

“Siete voi i veri patrioti russi”, dice poi, per incoraggiare l’impresa della “Maidan al contrario”, affidata ai vari Aleksandr Zaldostanov, leader dei biker e avanguardia del Cremlino nel Donbass. “Il peggio è che avevo contribuito a riempire Mosca di uomini della forza”, il pentimento tardivo del Mago. “Non salverai la tua anima”, risponde Ksenia, unico elemento femminile del film, che per Assayas incarna la libertà e quello che all’inizio degli anni Novanta la Russia avrebbe invece potuto diventare e non è diventata. Il film non risparmia i cliché: i giovani rampanti che da un giorno all’altro passano dalla bici del nonno alla Bentley blindata. Il perenne bisogno della Russia di uomini forti. La cinica costruzione del potere putiniana, l’impiego di nuovi strumenti, associata a molti altri antichi, è chiara nel “Mago del Cremlino”. Meno gli abusi e la repressione in atto già nella prima fase del putinismo di cui invece il film non parla. Come se il male di questo potere non fosse stato preannunciato. (di Simona Poidomani) 

Tags: adnkronosBiennale di VeneziacinemacronacaItaliaJude LawultimoraVenezia
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