Affiancare il nome di Guillermo del Toro a quello di Frankenstein significa raccontare il sogno di un bambino che, nei primi anni ‘70, rimane folgorato da un film in bianco e nero e dalla “Creatura” protagonista, interpretata da Boris Karloff. Da allora, il bambino decide che prima o poi si cimenterà con la storia di quell’essere tormentato: non a caso, la filmografia di Del Toro è costellata di “mostri”, creature sensibili e autentiche, talvolta crudelmente “giuste”, le cui storie scavano nelle contraddizioni dell’animo umano.
Dopo una carriera di successo, finalmente quel bambino realizza il suo desiderio: “Frankenstein”, scritto e diretto da Guillermo Del Toro, dal 22 ottobre in alcune sale selezionate, sarà disponibile su Netflix dal 7 novembre.
La pellicola, presentata alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia la scorsa estate, ha una durata di 149 minuti e rappresenta la libera interpretazione, sontuosa e spettacolare, del romanzo di Mary Shelley, impreziosita dalle musiche di Alexandre Desplat e dai costumi di Kate Hawley.
Del Toro apre il film con un salto temporale di 40 anni rispetto ai drammatici fatti che hanno coinvolto il dottor Viktor Frankenstein (Oscar Isaac) e la Creatura a cui ha dato vita (Jacob Elordi) attraverso un esperimento fin troppo audace, misteriosamente scomparsi nella vastità inesplorata dei mari artici: è infatti il dottor Pretorius (Christoph Waltz) a muovere le fila del racconto, che si sviluppa dapprima dal punto di vista di Frankenstein, scienziato, padre e creatore, posseduto dal desiderio di sconfiggere la morte, poi da quello della “sua” Creatura, che si affaccia al mondo con ingenuità e tenerezza e ne scopre la crudeltà, personificata proprio dalla figura paterna.
Se Isaac offre al pubblico un’interpretazione intensa e carica di slancio drammatico, Elordi incarna una Creatura meditabonda e poetica: da questi estremi, i protagonisti si muovono l’uno verso l’altro, scontrandosi e aprendosi alle debolezze reciproche, tra paura, rabbia, violenza e, forse, perdono. Al centro della vicenda, si colloca il nucleo femminile della narrazione, a cui presta il volto Mia Goth, interprete sia di Elizabeth Lavenza, interesse amoroso di Frankenstein, sia della sua amatissima madre -con tutte le sfumature psicoanalitiche del caso-, la cui morte innesca nel protagonista il blasfemo desiderio di creare la vita.
Nel suo approccio alla Creatura, istintivo e libero dal pregiudizio, Elizabeth rappresenta un elemento positivo di novità, così come Pretorius è la personificazione dell’incapacità dell’uomo di imparare dai propri errori; attraverso questi personaggi, Del Toro legge con sguardo contemporaneo il mito di Frankenstein, dimostrando ancora una volta quanto il romanzo di Mary Shelley abbia segnato l’immaginario collettivo.
Le suggestive circostanze in cui l’opera ha visto la luce, del resto, sono ancora oggi oggetto di narrazioni e speculazioni: anno fatidico fu il 1816, quando l’eruzione del vulcano Tambora, in Indonesia, oscurò i cieli del Vecchio Continente; la stagione piovosa e lugubre spinse un gruppo di amici -i letterati Lord Byron e Percy Shelley, le sorellastre Claire Clairmont e Mary Wollstonecraft Godwin, futura moglie di Shelley, e il medico John Polidori– a incontrarsi a Villa Diodati, sulle rive del lago di Ginevra, e a cimentarsi in una curiosa sfida: scrivere una storia dell’orrore degna del peggior incubo mai concepito.
Mary, non ancora ventenne, elaborò il nucleo centrale di “Frankenstein o il moderno Prometeo”, romanzo capace di definire il canone dei generi horror e fantascientifico, che il cinema,fin dai suoi albori, contribuirà a rendere immortale; risale infatti al 1910 il film muto “Frankenstein”, diretto da J. Searle Dawley, mentre è del 1931 la pellicola di James Whale con Boris Karloff nel ruolo del protagonista, destinata a segnare generazioni diverse di pubblico, compreso il giovanissimo Del Toro.
Tra la serie dei “Mostri della Universal Pictures”, negli anni ‘30 e ‘40, e i film della Hammer Productions negli anni ‘50 e ‘70, con Peter Cushing e Christopher Lee, è impossibile non citare “Frankenstein Junior”, parodia del 1974 firmata da Mel Brooks, con Gene Wilder nel ruolo del protagonista, e il musical “The Rocky Horror Picture Show” di Jim Sharman (1975), con Tim Curry nei panni del mitico Frank-N-Furter.
Tra le pellicole più recenti, “Frankenstein di Mary Shelley”, fedele trasposizione del romanzo diretta da Kenneth Branagh nel 1994, con Robert De Niro nel ruolo della Creatura, e “Victor – La storia segreta del Dott. Frankenstein” di Paul McGuigan (2015), con James McAvoy -Victor- e Daniel Radcliffe, l’assistente Igor.
Non si contano, del resto, i film ispirati al romanzo di Mary Shelley: nell’era dello streaming, Guillermo del Toro sceglie di raccontare un Prometeo contemporaneo, alle prese con dilemmi che attraversano i secoli, i linguaggi artistici e perfino i mezzi di comunicazione, ma che continuano a parlare a tutto il genere umano.
